22/03/2007

Foo Fighters

Talk About The Passion

Capisci di che pasta è fatto Dave Grohl durante l’esecuzione di Stacked Actors. Lascia il palco e s’incammina lungo il carrello di una delle telecamere che stanno riprendendo il concerto. Suona la chitarra e osserva i ragazzi che a loro volta lo guardano estasiati. Il riff della canzone è possente, la tensione palpabile. Improvvisamente, Dave scende in mezzo al pubblico. Sparisce. I tecnici tv scattano in piedi: riprendere la scena è diventato un problema. Perso nel mare di corpi, Grohl continua a suonare. Non ha paura. Cammina in direzione del palco e i fan cercano di toccarlo, fotografarlo, abbracciarlo. Un filo d’isteria attraversa la sala: la gente grida, la gente ride, la gente sta in punta di piedi per non perdersi la scena.

Ci sono intensità e gioia e voglia di condivisione in quel che Dave Grohl sta facendo. C’è tutta la sua storia di gregario di talento nei Nirvana e c’è anche la capacità di trascenderla con una musica vigorosa e all’occorrenza giocosa nata dieci anni fa da un demo e cresciuta come la visione di un singolo uomo. Grohl è passato attraverso la stagione più gloriosa e drammatica del rock anni 90 ed è riuscito a sublimare i sentimenti di disorientamento e disperazione, alienazione e dolore tipici di quell’epoca. E ora eccolo qui, su un palco approntato in un immenso capannone alla periferia di Copenhagen mentre abbraccia – letteralmente – il suo pubblico. Non un dio del rock, ma un rocker che nonostante la fama e 45 milioni di dischi venduti non scorda il luogo dal quale proviene. Trasmette un sentimento di devozione assoluta a ciò che fa, che è poi il senso ultimo del suo nuovo album.

I Foo Fighters sono in Danimarca per presentare alla stampa europea il nuovo, doppio In Your Honor ed esibirsi durante la festa d’inaugurazione del canale locale di Mtv. Nei negozi italiani a partire dal 10 giugno, è il disco più sfaccettato e ambizioso che i Foo Fighters abbiano inciso, ma anche il più difficile e intenso. Il primo estratto Best Of You – che è accompagnato da un video diretto da Mark Pellington, il regista di Jeremy dei Pearl Jam – non ha la piacevolezza melodica di altri singoli dei Foos. Non solo: tutto il primo dischetto di In Your Honor è basato su un impatto rock devastante, che fa pensare ai Probot, il side project di Grohl affiancato da un cast di all star del vecchio metal. Come se non bastasse, il secondo cd di In Your Honor è una raccolta di dieci brani acustici registrati praticamente dal vivo che possono spiazzare l’ascoltatore abituato ai chitarroni e alle melodie scanzonate. Ti chiedi se la doppia anima dei nuovi Foos – metà elettrici e metà acustici, sulla scia dei Led Zeppelin amati da Grohl – sia un esperimento temporaneo o l’avvisaglia di una svolta.

“Intanto è stata un’idea di Dave” ti dice il batterista Taylor Hawkins, seduto col bassista Nate Mendel su un divano nella camera d’albergo del lussuoso Skt. Petri. “Da tempo voleva fare qualcosa di acustico e in un primo tempo aveva pensato a incidere una colonna sonora da solo. In seguito si è convinto che poteva essere un progetto dei Foo Fighters. Inoltre, tutti quanti volevamo fare qualcosa di speciale per festeggiare il decennale della band”. Per dirla con le parole di Dave (al New Musical Express), “nel 2002 ci siamo resi conto di quanto eravamo popolari. Per la prima volta mi sono chiesto: che cosa voglio fare di tanta popolarità? Prendermi quattro anni di pausa o fare qualcosa di speciale? O magari sciogliere il gruppo all’apice del successo?”.

Dave ha scelto la seconda opzione lanciando una sfida che sapeva che la band avrebbe raccolto: mettere sul piatto la capacità dinamica della formazione di affrontare sia brani hard che soft. Inciso il disco, s’è affacciata anche l’idea di esibirsi dal vivo in veste acustica e in posti raccolti. Taylor: “Ci piacerebbe fare un tour elettrico seguito da uno acustico. Oppure alternare concerti di un tipo nei palasport e dell’altro nei teatri”. Nate: “E lì suoneremo seduti. Magari ci saranno altri musicisti sul palco. Non vedo l’ora di farlo”.

Durante il concerto di Copenaghen Dave spiega al pubblico che le canzoni acustiche non faranno parte delle set list regolari dei Foos perché necessitano di un’atmosfera più raccolta per essere eseguite. Poi suona Razor da solo alla chitarra acustica, un pezzo piuttosto impegnativo per le sue capacità. Naturalmente si sente in dovere di rovinare subito l’atmosfera ruttando nel microfono. “Scusate” dice “ma come sapete la musica acustica tira fuori quello che hai dentro”. Anche Taylor il giorno dopo sdrammatizza: “In fin dei conti i fan hanno due album al prezzo di uno, o forse a un dollaro in più. E se il cd acustico non piace loro, beh, lo possono dare alla sorella. Oppure possono lasciarlo nella custodia e tirarlo fuori tra dieci anni quando avranno cambiato gusti”. Nate aggiunge: “I nostri fan non sono del tipo duro-e-puro. Non pensano che i Foo Fighters debbano seguire un qualche codice stilistico e morale. È gente aperta”.

Incisi nello studio personale del gruppo – il 606, un vecchio capannone a Northridge, un sobborgo di Los Angeles, California, che è stato ammodernato al costo di 700mila dollari – i nuovi brani elettrici hanno un’intensità e una forza strumentale che spesso mancava ai precedenti dischi dei Foos, anche se a un primo ascolto ai pezzi del dischetto elettrico difetta la piacevolezza melodica dei piccoli classici del gruppo. “Capisco quel che vuoi dire” afferma Taylor “e credo che la sensazione sia accentuata dal fatto che per quasi tutto il disco Dave urla. Secondo me ha usato un po’ troppo un tono alla Jaz Coleman dei Killing Joke”.

Si finisce per parlare del concerto della sera precedente. “Prove a porte aperte” le chiama Hawkins. “Durante le prove, quelle vere, abbiamo suonato in modo perfetto. Durante il concerto no. Saliti sul palco, proviamo una certa tensione che ci può portare a fare cose egregie, a dare qualcosa di più in termini di intensità, ma anche a perdere un po’ in compattezza”. Gli dici che le canzoni ti sono sembrate più aggressive e veloci. “Non ci posso fare niente: quando suono dal vivo tendo ad andare più veloce del dovuto. Hai mai sentito i Police dal vivo?” chiede. “Ecco, in studio Next To You fa così.”. E comincia a picchiare coi palmi delle mani sulle ginocchia. “Dal vivo invece è così.” dice aumentando il tempo di battuta.

“Ehi, è mooolto meglio più veloce” commenta Nate.

Dave Grohl è un adorabile buffone. Quando gli chiedi di John Paul Jones, l’ospite più illustre del nuovo album, afferma con un’espressione tra il riverente e l’estatico: “Oh, lui è il migliore”. Poi stende il palmo della mano all’altezza della cintola con uno sguardo furbetto, come per dirti: “È un tappetto, è basso così”.

Il bassista dei Led Zeppelin, che si aggiunge a Brian May dei Queen alla collezione di idoli coi quali Grohl è riuscito a suonare, è al piano in Miracle e Another Round. Sono due tra le migliori canzoni del disco acustico di In Your Honor. Molte di esse hanno il tono cupo e melodie che sembrano scritte da Kurt Cobain o Chris Cornell. “Gli arrangiamenti dei pezzi acustici” dice Nate “li ha fatti essenzialmente Dave. Non ha passato molto tempo a preoccuparsene, però. Non voleva fossero curati, come dire, scientificamente”. Taylor tira fuori a sorpresa una tesi bizzarra: “Penso che Dave si sia ispirato alla colonna sonora di Paris, Texas di Ry Cooder”. Sul serio? “Assolutamente. Ascolta la canzone Still e lo capirai. Tra l’altro ho suonato con suo figlio Joachim Cooder: un batterista e percussionista bravissimo”. In quanto a John Paul Jones, “lo abbiamo agganciato quand’era a Los Angeles per i Grammy Awards. È venuto nel nostro studio e per Dave, che è un grandissimo fan dei Led Zeppelin, è stato il coronamento di un sogno che aveva fin da bambino”. Durante la permanenza in studio, Jones ha suonato il riff di Kashmir al mellotron. Pare che Shiflett abbia commentato: “Bello questo, potremmo usarlo nell’album”.

Oltre a Jones, nell’album acustico suonano il tastierista dei Wallflowers Rami Jaffee (Taylor: “Il nostro Billy Preston. o Nicky Hopkins: molto creativo”), la violinista Petra Haden, il fotografo Danny Clinch, Josh Homme dei Queens Of The Stone Age. E naturalmente Norah Jones, che accompagna alla voce e al piano Dave in un numero bossa nova intitolato Virginia Moon scritto all’incirca otto anni fa. Quasi a giustificarsi, Nate afferma che “nei nostri album ci sono state sempre canzoni novelty. Non lo era anche Big Me? Quella con Norah è una vecchia canzone che girava da anni ma che non riuscivamo mai a inserire in nessun disco. Un’anomalia. Lei è venuta in studio, ha preso a suonare il piano e ci ha azzittiti: dolce e bravissima”.

Dico a Taylor che Virginia Moon è un pezzo “peculiare”. Ride. “L’hai detto: peculiar. A dir poco”. Poi se ne va in bagno a pisciare per la seconda volta. “Voi andate avanti senza di me”.

Fin dal titolo e dal testo della title-track, In Your Honor esprime un sentimento di devozione e di impegno estremo. “Esattamente” ti dice Hawkins. “Un impegno totale verso l’amore, verso la musica, verso la vita. È questo il senso dell’album”.

In minima parte, si parla anche di impegno politico. Dave ha dichiarato a rollingstone.com di essere stato ispirato dalla partecipazione in prima persona alla campagna presidenziale del candidato democratico John Kerry. “Giravamo di città in città e da lui accorrevano migliaia di persone per essere salvate. Quel che ho visto mi ha ispirato”. Dave afferma di averlo fatto “non in quanto celebrità, né rockstar, ma come un ragazzo americano di Springfield, Virginia” e di essersi incazzato quando ha “appreso che Bush usava le nostre canzoni per la sua campagna”. Durante gli show in supporto di Kerry, Grohl si esibiva con la chitarra acustica davanti a un pubblico di veterani in carrozzella, insegnanti, contadini, operai. Incontrare l’America profonda gli ha fatto riscoprire la passione che può portare a un reale cambiamento nelle vite delle persone.

Dell’esperienza al seguito di Kerry, Grohl ha apprezzato anche l’atmosfera famigliare, un elemento che non hai difficoltà a ritrovare nei Foo Fighters. Non a caso, nonostante sia lui il capo indiscusso del gruppo, il termine “famiglia” ricorre quando il cantante deve descrivere la band. Ti fai l’idea che sia anche un tipo generoso. La scrittura di tutti i brani è infatti attribuita collettivamente ai Foos, sebbene sia Dave il cantante e il compositore di tutti i testi e di gran parte delle musiche. Anche la produzione dell’album è attribuita a Nick Raskulinecz e ai Foo Fighters, “ma noi c’entriamo poco, il lavoro l’ha fatto sostanzialmente Dave” spiega Hawkins. Anche nei Nirvana le canzoni erano accreditate collettivamente al gruppo, sebbene fosse Cobain il quasi esclusivo compositore. La situazione fu “sanata” da Courtney Love, che convinse Kurt a farsi attribuire – con validità retroattiva – i crediti per la composizione dei brani. L’episodio portò a una frattura mai ricomposta all’interno dei Nirvana.

Probabilmente, Grohl non l’ha scordato.

In fin dei conti, coi loro dischi a volte pacchianamente hard, coi loro gusti musicali strampalati e fuori moda, coi loro videoclip che sembrano elogi alla stupidità, con la loro inestinguibile voglia d’essere sé stessi, i Foo Fighters hanno dimostrato che è ok essere uncool. Che non devi essere per forza alla moda per fare musica. Che le cose che contano sono altre. La storia di Dave Grohl insegna inoltre che ognuno di noi ha una possibilità di rinascita. La sua vicenda artistica era stata apparentemente distrutta dalla morte di Kurt Cobain. Ecco, pensavano quasi tutti, un onesto gregario che viene ricacciato nel nulla dal quale proviene. Dave ha avuto la forza di risalire la china, inventarsi un gruppo completamente nuovo, tirare fuori dal cassetto canzoni sorprendentemente pregiate dal punto di vista melodico. Infine, ha dimostrato che se Cobain era il Lennon conclamato dei Nirvana, lui ne era il McCartney nascosto.

Nonostante Dave sembri avere un rapporto oramai pacificato col passato, molti brani di In Your Honor hanno a che fare con sentimenti di lotta interiore. Non sono canzoni di un uomo completamente in pace con sé stesso, queste. Eppure non sono disperate, non affogano la tristezza nella rabbia. Fanno piuttosto intravedere una possibilità di rinascita. C’è una canzone in particolare che riflette sul passato: Friend Of A Friend. I fan accaniti la conoscono, essendo presente in alcuni demo acustici registrati da Grohl e diffusi sotto forma di bootleg. Parla di un musicista che vive con due amici. Beve troppo. Si apparta in una stanza tranquilla e suona malinconicamente la chitarra usando a mo’ di plettro un gettone che ha trovato vicino al telefono. La strofa ha il medesimo passo stregato e malinconico di Something In The Way dei Nirvana. E non a caso a quel periodo si rifà: è un modo per ricordare Kurt.

“Mettiamola così” ti dice Taylor quando insisti affinché ti spieghi qualcosa in più: “Dave scrisse questa canzone subito dopo essersi unito ai Nirvana. Viveva con Kurt e Krist in un lurido appartamento di Olympia. Era lontano da casa. Si sentiva scoraggiato. Era giovane e solo. Depresso. Non sapeva se era davvero felice di essere lì. Quindi il pezzo non è propriamente su Kurt, ma è su Kurt e Krist, che aveva appena conosciuto”. Ricordando i Nirvana, Grohl ha detto che “sono stati tre anni e mezzo in cui tutto è accaduto velocemente. Non sembrava neanche la realtà, in certi momenti. È come una grande macchia indistinta”.

Incontro Dave Grohl prima del concerto per Mtv. Quando si ferma a parlare con i giornalisti italiani rievoca i giorni in cui venne a suonare al Leonkavallo di Milano con gli Scream, il gruppo hardcore di Washington DC in cui militava prima di passare ai Nirvana. Spiega che conosce qualche parola della nostra lingua perché ha vissuto qualche mese a Bologna, quando stava con una ragazza di lì . Dice che gli squat italiani sono stupendi e hanno palchi grandi così, una cosa impensabile negli Stati Uniti. Con tuo grande stupore si ricorda persino i nomi: il Leonka di Milano, il Forte Prenestino di Roma, l’Isola di Bologna. Racconta un aneddoto con una mimica da circo: “Ricordo che al Leonkavallo chiesi al cantante: quanto abbiamo guadagnato? E lui: 700mila lire. Io sobbalzai: 700mila lire?! Wow! Mi calmai quando mi spiegarono che equivalevano a 700 dollari”.

Sono passati quasi vent’anni da allora, ma Dave sembra mettere in quel che fa lo stesso entusiasmo – lo stesso candido entusiasmo – di allora. Forse ha persino nostalgia di quei giorni. “Ogni tanto col manager ci diciamo: ma perché non lo rifacciamo? Perché non portiamo i Foo Fighters a suonare in posti come il Leonkavallo?”.

Per un attimo gli occhi gli si illuminano.

Poi conclude: “La musica che facciamo, beh, la musica sarebbe ok per un centro sociale, ma non la politica. Voglio dire, oramai siamo un gruppo enorme, abbiamo firmato con una multinazionale, passiamo su Mtv. Non funzionerebbe”.

Lo guardi e ti sembra che un velo di rimpianto gli cali per un attimo sul viso.

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