È un peccato che Paul McCartney, musicista con all’attivo oltre trenta album (tra Beatles e solista), si affidi per i suoi concerti sempre allo stesso blocco di brani (al quale affianca marginali variazioni). Questa scelta si riflette negli album dal vivo: dei 35 pezzi del nuovo Back In The U.S., 24 sono già apparsi su Wings Over America, Tripping The Live Fantastic, Unplugged e Paul Is Live. Un musicista con il suo repertorio dovrebbe osare di più, ma McCartney ormai non abbandona la formula che gli garantisce un vasto successo, com’è puntualmente accaduto con il tour statunitense del 2002.
Chiarita questa fondamentale considerazione, Back In The U.S. entusiasma perché presenta un McCartney meno ingessato e molto più rocker rispetto ai precedenti live. Certo, la voce non è più quella degli anni d’oro (ma ragazzi, il nostro naviga verso i 61 anni!), ma la grinta, la passione e l’entusiasmo sono intatti. Sembra quasi che con il passare degli anni Paul stia recuperando (anche nel contesto di un concerto) un approccio più immediato e diretto alle sue canzoni (tipico dei primi Beatles), che spesso aveva sacrificato sull’altare del suo maniacale perfezionismo.
Poderosa la resa della sua nuova band, che gli permette di rinvigorire e ringiovanire il repertorio. Il risultato è un album caratterizzato da vibranti interpretazioni, percorse da debordanti chitarre elettriche, tastiere molto anni 70, una batteria pulsante che non ripete il beat classico di Ringo Starr. Così anche le canzoni già ascoltate e riascoltate live hanno qualcosa di nuovo e suonano più fresche che mai.
Tra le ‘novità’, buona la resa di Hello Goodbye come brano d’apertura, convincente il rauco impatto di Getting Better (ottime le chitarre), mentre conferma tutta la sua semplice bellezza Mother Nature’s Son. Buona anche la resa di C Moon, un gioiellino a cavallo tra pop e reggae, già presentata in concerto ma mai pubblicata su un live (beh, a dirla tutta un versione tratta da un soundcheck è stata utilizzata come lato B di un singolo estratto da Tripping The Live Fantastic, ma vi sfido a ritrovarlo.). Appena sufficienti i brani della produzione recente. L’unico che convince a pieno è Lonely Road, uno sporco e spigoloso rock che permette alla band di mettere in evidenza tutta la sua esuberante forza). Fa inoltre male ascoltare l’orrenda e reazionaria Freedom in un disco di McCartney, autore che si è sempre (giustamente) vantato di scrivere canzoni che parlavano di “amore, pace e comprensione”.
Tra i brani già apparsi, vanno segnalate in particolare Eleanor Rigby, una bollente Coming Up, una dolente The Long And Winding Road, le travolgenti I Saw Her Standing There, Jet e Band On The Run più convincenti rispetto alle già belle versioni di Tripping The Live Fantastic o di Wings Over America. Indovinato anche il set (quasi) ‘solo’, nel quale Paul, alternandosi all’acustica e alle tastiere, offre spoglie interpretazioni di, tra le altre, Blackbird, Every Night, The Fool On The Hill, You Never Give Me Your Money (un’altra ‘novità’, stranamente non segnata in copertina). Toccante il doppio tributo agli amici scomparsi, Here Today per John Lennon e una divertente versione all’ukulele di Something per George Harrison.
Spiace notare la caduta di stile di accreditare i brani dei Beatles a McCartney-Lennon (cosa per altro già fatta in Wings Over America): un grande artista come Paul non ha bisogno di questi mezzucci per ricordare che Yesterday e compagnia sono più sue che di Lennon.
Nota finale: per ora Back In The U.S. non è stato pubblicato in Italia ed è disponibile solo d’importazione.
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Voto: 8
Perché: rischiava di rivelarsi un doppione, ma le grintose esecuzioni lo rendono un live godibilissimo.