18/05/2007

Lucio Battisti

Il mio canto libero (Numero Uno, 1972)

Il 1972 è uno degli anni  più creativi e di maggior successo per Lucio Battisti. C’è il  cambio di casa discografica dalla Ricordi alla Numero Uno e la  pubblicazione in aprile di Umanamente uomo: il sogno con la nuova  etichetta. Il disco, «trainato» dal singolo I giardini di marzo /  Comunque bella, si stabilisce al primo posto della hit parade  rimanendoci per 28 settimane delle quali 13 in prima posizione. Un  mese prima la Ricordi ha pubblicato Elena no, un brano inedito, quasi  un demo che viene utilizzato per il lato A di un singolo che  comprendeva Una, canzone estratta da Amore non amore ( l’ultimo lp  ufficiale per la Ricordi), mentre il duo Battisti-Mogol scrive per  Adriano Pappalardo È ancora giorno arrivando al secondo posto in  classifica. Nel maggio seguente la coppia firma per la Formula 3  Storia di un uomo e di una donna e Sognando e risognando, brano quest’ultimo  che darà anche il titolo all’album del gruppo. Subito dopo Battisti  produce il primo disco di Alberto Radius sotto lo pseudonimo di Lo  Abracek e replica con Adriano Pappalardo con il singolo Segui lui.  Anche dall’estero arrivarono per l’artista i primi riconoscimenti.  Per la rivista americana Billboard è «la personalità italiana dell’anno»  con la seguente motivazione: «Cantante, compositore, editore musicale  di fama internazionale, ha elevato il gusto del pubblico italiano e  rinvigorito il mercato».

Nel novembre ’72 Battisti  va a mixare negli studi EMI di Londra Il mio canto libero, uno dei  dischi più venduti in assoluto e uno dei suoi lavori musicalmente  più ricchi.

Dell’esperienza inglese  disse: «È stato il mio primo e positivo contatto con un mondo che mi  ha sempre affascinato. È stata una grande soddisfazione poterci  andare a lavorare». Il disco è preceduto dall’omonimo singolo. In  verità la canzone scelta per i lato A è La luce dell’est, poi si  opta per Il mio canto libero su suggerimento di Ennio Melis, direttore  della RCA di allora. Il tema portante dell’album è la libertà dell’individuo,  un concetto ricorrente in questi otto brani, raccontato insistendo sui  risvolti psicologici del rapporto uomo-donna, con riflessioni amare  nei confronti di una società ipocrita e perbenista, con richiami  ecologisti. I testi sono al pari della musica una componente  fondamentale dell’opera battistiana e in questo album la coppia  Mogol-Battisti arriva a una simbiosi perfetta, un’unità d’intenti  totale. Il bilanciamento tra versi e musica è così naturale da  sembrare frutto del lavoro di un’unica persona. Dice Battisti: «I  testi di Mogol hanno avuto un’importanza decisiva nel successo delle mie canzoni. Mogol li scrive sempre dopo, quando c’è già la parte  musicale. Mi fa suonare il pezzo alla chitarra, lo ascolta un paio di  volte e comincia a buttar giù idee. Non mi dice niente. Dopo qualche giorno mi fa ripetere la canzone, dieci, venti, cento volte per quel  lavoro certosino che è l’applicazione dei versi sulle note, parola  per parola, secondo la metrica. Solo quando non c’è più da  spostare una virgola, mi presenta tutte le parole».

L’uso di questa metodologia  di lavoro viene confermata tempo dopo da Mogol: «Lucio scriveva solo  la musica, veniva da me e la suonava continuamente per ore, finché  non avevo composto il testo. Il mio era quasi un atteggiamento  medianico: ascoltavo la musica e rovesciavo fiumi di parole sulla  carta. A volte, quando avevo terminato, mi chiedevo: ma dove sono  andato a finire? Mi sembrava di essere uscito fuori tema perché ogni  testo non era collegato a quelli precedenti. Spesso però era lo  stesso Lucio che mi diceva che mi sbagliavo, che avevo scritto grandi  cose. Mi ricordo I giardini di marzo: ero convinto di aver perso il  filo del discorso e poi mi sembrava di essere tornato senza sapere il  percorso che avevo compiuto. Ero stordito, ma fu proprio Battisti, in  quel caso, a dirmi che avevo scritto dei grandi versi».

Mogol era anche l’ideatore  delle copertine. Solo in Una donna per amico e Una giornata uggiosa  non c’è il suo zampino. Per Il mio canto libero fu prevista in  origine una busta bianca trasparente in modo da far incontrare  graficamente gli avambracci e le mani con le dita aperte del fronte  copertina e con le ginocchia e i piedi nudi del retro per rendere l’immagine  del bosco con le braccia nude protese verso il cielo alla ricerca  della libertà. Si decise poi per un fondo bianco.

In queste canzoni Battisti,  da grande stratega della melodia, dà il meglio di se stesso. «Suono  per ore finché mi accorgo di aver messo insieme una melodia e attorno  a questa trama lavoro finché mi accorgo di aver ottenuto il motivo  giusto». In effetti, l’artista era un compositore estremamente  prolifico e selettivo. L’introduzione di archi diretti da Giampiero  Reverberi apre il disco con La luce dell’est, un brano lirico e  sognante strutturato in due parti nel cambio di tonalità, brano che  diventerà un momento indimenticabile di tutta la sua produzione. Luci  ah è un pezzo dal ritmo moderato arricchito da cori, pause e  vocalizzi. Gli arrangiamenti sono di Vince Tempera e vi suonano i  Flora Fauna e Cemento. Ci fu un litigio tra Battisti e Tempera a causa  di una partitura pianistica un po’ troppo «effettata» che non piaceva assolutamente a Lucio. Dopo un giorno e mezzo di prove Tempera  non si presentò in studio e così la canzone fu rifatta con un altro  pianista. Cosa stranissima, la versione che si può ascoltare nel disco è proprio quella con il pianoforte di Tempera, anche se nei  crediti non compare. Come nel precedente disco, anche qui Battisti  recupera un pezzo, L’aquila, già interpretato da Bruno Lauzi l’anno prima e rivisitato da Battisti in chiave acustica con un bellissimo  controcanto (esiste anche una versione in lingua tedesca cantata da  Bern Stantin). Spiega Mogol: «C’è l’immagine della natura  abbandonata, di cui nessuno si curava, perché il mondo correva in un’altra  direzione». Da quel momento in poi la coppia Mogol-Battisti non  affiderà più canzoni ad altri artisti, l’unica eccezione Patti  Pravo con un singolo uscito in contemporanea. Questa scelta fu così  spiegata da Battisti: «Fra la canzone che incido io e quella che faccio incidere c’è la stessa differenza che esiste tra un bacio  dato e uno spedito per posta o per telefono».

Una gemma poco conosciuta è  Vento nel vento, brano tra i più riusciti come amalgama tra testo e musica: «Io e te vento nel vento / Io e te nodo nell’anima ».  Battisti ne dà un’interpretazione magistrale mentre la musica  raggiunge grandi momenti armonici con improvvise aperture di canto e  maestosi arrangiamenti d’archi. Piccola curiosità, lo strumentale  di questo pezzo fu ripreso alcuni anni dopo da Francesco De Gregori in  La leva calcistica della classe ‘68. Confusione è un rock robusto e  moderato con la chitarra di Alberto Radius in primo piano scelto come  lato B del singolo Il mio canto libero. Qui ci sono due strumenti  particolari, le campane sarde di Reginaldo Ettore e la chitarra  hawaiana suonata dallo stesso Lucio. Inoltre c’è una particolare  pedaliera.Racconta Radius: «Una volta siamo andati a Londra io, Battisti, Mario Lavezzi e Mogol e siamo passati in centro. A un certo  punto eravamo davanti a un negozio di strumenti musicali e notammo una  strana apparecchiatura che sotto aveva tre pedali. Incuriositi entrammo a provarla; a me sembrò fantastica e Lucio disse: ‘’Sì,  bella però…’’. Decisi di comprarla, ma siccome una volta non c’erano  carte di credito dissi che sarei ripassato per acquistarla. Il giorno  dopo non c’era più e allora chiesi chi l’avesse comprata. Mi  risposero che era venuto a prenderla quel mio amico con cui ero stato  il giorno prima. Lucio era andato prima di me a prendersela! Poi l’abbiamo  usata in Confusione, aveva cinque o sei effetti particolari, tra cui  uno splendido wah wah… Era una macchina molto intelligente che  lasciava spazio alla creatività e che ha prercorso tutti gli effetti  di oggi».

Io vorrei… non vorrei… ma  se vuoi… è un altro capolavoro dell’album. La strofa lunga che  introduce un refrain «classico» ricamato da chitarre acustiche  ricalca l’iniziale La luce dell’est; anch’essa è strutturata in  tre distinti temi musicali. Dice Mogol: «La vera protagonista di  questa composizione è l’esitazione di un uomo il quale si trova di  fronte alla possibilità di rivivere una nuova storia d’amore, ma  sente ancora sulla pelle le scottature di quella precedente». Il  brano fu tradotto in inglese da David Bowie col titolo Music Is Lethal  e interpretato da Mick Ronson.

Gente per bene e gente per  male è un’accusa al perbenismo, dove si narra la storia di un  ragazzo isolato dai suoi coetanei che trova conforto nell’incontro  con una prostituta. Una canzone «dialogata» tra voce e chitarra con  un finale d’organo di Reverberi. Chiude il disco la title-track,  ballata d’impronta gospel. Gli accordi di chitarra iniziali e la  sezione fiati inframmezzati da una melodia delicata ed emozionante ne fanno un brano straordinario, al livello dei classici di Battisti, che  esprime il coraggio di amare superando i limiti imposti dal pensare  comune. Mogol: «È una canzone autobiografica, che si ricollega a una  storia che ha avuto anche delle conseguenze in alcune importanti  scelte di vita personale (l’acquisto di un mulino e di un vecchio  cascinale, nda). Mi ero separato e stavo con una giovane donna.  Naturalmente ai miei tempi queste cose venivano condannate dei  benpensanti; ho voluto esprimere la pressione della società, perché  allora al di fuori del matrimonio era tutto illegittimo e illegale».  Da qui i famosi versi: «In un mondo che non ci vuole più / Il mio  canto libero sei tu / Nasce il sentimento, nasce il mezzo al pianto /  E si innalza altissimo e va / E vola sulle accuse della gente / A  tutti i suoi retaggi indifferente ». Battisti farà di questo pezzo  una versione in francese, Ma chanson de liberté, e l’album verrà  pubblicato nel gennaio 1974 in Germania con il titolo Unser freies  lied con testi tradotti da Udo Linderberg, importante cantautore  tedesco. Cinque anni più tardi Battisti inserirà questa canzone in  Images, intitolandola A Song To Feel Alive.

A livello commerciale l’album  fu un trionfo. Arrivò al primo posto il 27 gennaio 1973 e ci restò  per undici settimane, rimanendo cinque mesi nelle classifiche italiane  di vendita superando The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd. Per  forma e contenuti è uno dei passaggi obbligati per capire la canzone  italiana.

DISCHI DELLA  MEDESIMA VENA ARTISTICA

Formula  3 / Formula 3 (Numero Uno, 1971)
 Il gruppo «satellite» di Battisti, una delle sue facce più  interessanti come autore. Dopo diversi episodi divisi con un certo tipo  di rock progressivo, realizzano un bellissimo album di pop «obliquo»  studiato con il manuale di Mogol-Battisti. Qui tutti i brani portano la  firma del duo a cominciare dall’hit Eppur mi son scordato di te.

Riccardo Cocciante / Il mare  dei papaveri (Virgin, 1985)
 Il team Cocciante-Mogol raggiunge, dopo tre lavori a braccetto, il top.  A volte sembra un flashback nella memoria, un balzo delle immagini sotto  la corteccia di canzoni che fanno parte della memoria collettiva. Ancorato ad una forza melodica sbalorditiva, Cocciante coniuga alla  perfezione i bisbigli interiori e le trattazioni emozionali di Mogol con  melodie trasparenti e di grande intensità. Questione di feeling con Mina, ad esempio, sembra uscita dalla penna del miglior Battisti.

Mario Lavezzi / Mario  Lavezzi (CGD, 1991)
 L’incontro con Battisti nei primi anni Settanta non fece che precisare  i contorni della sua scrittura e maturazione espressiva. Questo lavoro  mette in giusto risalto le doti di Lavezzi come autore d’ispirazione  battistiana. Un credibilità artistica che si tocca ascoltando brani  come In alto mare, Se rinasco, Dolcissima e il bell’omaggio a Lucio  con Le tre verità.

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