Il punto dal quale è partita la conversazione con Angelo Branduardi e con sua moglie Luisa, autori il primo della musica e la seconda dei testi dell’ultimo cd dei Branduardi, intitolato Altro ed altrove. Parole d’amore dei popoli lontani, è proprio il senso del titolo. Ma prima della trascrizione (quasi fedele) di questa chiacchierata è bene dire qualcosa di come è fatto il disco che è composto da 14 canzoni scritte tutte, da un punto di vista testuale, sulla falsariga di grandi poesie straniere: irlandesi, latine, cinesi, arabe, giapponesi, inglesi, persiane, pashtun e nell’idioma degli Indiani d’America e dei neri d’Africa. Il disco è reso poi unitario e omogeneo, oltre che dalla limpidezza della traduzione di Luisa e dalla magia della musica e della voce di Angelo, dalla costante del tema d’amore.
“Il titolo lo ha scelto Luisa, ma altro e altrove vuol dire ‘non qui e non ora’; non è naturalmente”, afferma Angelo, “una filosofia di vita, vuol dire che ci siamo rivolti ad una forma d’arte lontana nel tempo e nello spazio. Ma poi, dietro a tutto questo, c’è la mia concezione dell’arte. Per me il senso della musica e dell’arte (per la poesia dirà meglio Luisa) è il senso di un oltre, è questa spinta forte verso l’altrove, spinta che ti muove anche a percorsi, almeno in parte, imprevedibili perché mossa da motivazioni delle quali non sei e non puoi essere pienamente cosciente, da motivazioni che, per semplicità, possiamo chiamare inconsce. Insomma io credo che sia insito nella musica il concetto di oltre. La musica è una forma spirituale, una ricerca di qualcosa che non c’è. Io non ho una fede istituzionale, ma sento molto questa dimensione spirituale della musica.”
Eppure a me sembra che dietro questo esotismo, quest’attenzione verso l’altrove spazio-temporale, vi sia una grande attenzione al presente, un’attenzione quasi politica al tema della fratellanza. “Ecco”, risponde Angelo, “devi sapere che tante volte mi è capitato di sentirmi dire delle cose delle mie canzoni che io non immaginavo per niente. Non bisogna mai dimenticare che certe cose stanno più che nella musica che scrivo nelle orecchie di chi ascolta. Il tema dell’altro – si è sempre, come dici tu, l’extracomunitario di qualcuno – è un tema di grande attualità, però non siamo partiti da lì, dunque non so se c’è un senso politico. Comunque è vero che in questo nostro ultimo lavoro c’è un tema, oltre quello della fratellanza, che mi è molto caro, quello del comune sentire degli uomini al di là delle distanze di tempo e di spazio, un tema a cui tengo molto, però io non parto con un tema, non faccio un concept album, e non ti dimenticare che le liriche le ha scritte a Luisa.” Però nei tuoi primi dischi non risultava che fosse Luisa l’autrice dei tuoi testi. “No, ma in realtà è sempre stato così. e ci tengo molto a dirlo.”
Sull’onda di questo deciso suggerimento chiedo a Luisa, intanto, se si riconosce in questa definizione di arte di Angelo e quale sia in particolare la sua idea di poesia: “Per me la poesia è prima di tutto una passione, un andare verso l’altro e l’altrove, come dice il titolo del disco, e poi la poesia è una fortissima forma di conoscenza.”.
Ma come è nato questo disco nel quale mi sembra crediate molto e che mi sembra profondamente vostro? “Be’, qua dobbiamo fare un discorso più lungo. Tu hai ragione”, dice Luisa, “nel notare che io nelle mie liriche uso poco la rima e che mi muovo in uno spazio che è molto lontano dalla consueta poesia italiana o dal modo di fare canzoni dei cantautori italiani.” “In realtà io amo moltissimo la poesia etnica e.”, aggiunge Angelo “abbiamo la fortuna di avere una vastissima biblioteca di poesia etnica e primitiva. Dopo San Francesco non potevamo fare dodici canzoni dodici e poi non lo abbiamo fatto mai. E allora ci è venuto in mente di usare questo tesoro meraviglioso che avevamo in casa, e che voleva dire che sotto cieli diversi l’uomo ha sempre avuto le stesse passioni anche a distanza di secoli e di migliaia di chilometri.”
Ma come nascono le vostre canzoni, prima i testi o prima le musiche? “Le musiche sono precedenti ai testi: io sono un musicista”, dice Angelo, “e credo che una canzone venga meglio se mettiamo le parole sulla musica, il tutto viene molto più fluido, molto più naturale.” Questo anche il pensiero di Luisa e questa la sua esperienza artistica con Angelo: “Senti la musica e poi cerchi le parole; io ho dei testi, scritti da me o da altri, sento la musica, intuisco che questa musica è adatta a questo testo. insomma io mi devo adeguare alla sua musica. Le mie liriche sono anche una scelta tecnica dovendole combinare con la musica. Ad esempio una delle canzoni del disco, nella sua versione originale, era solo un frammento, era una poesia brevissima: ho dovuto moltiplicarne ed estenderne la portata senza tradirne il senso per darle la forma giusta per la musica”. Angelo dunque non interviene sul testo. “No, o pochissimo, anche se si riconosce profondamente in quello che canta, sono io che mi adatto alla musica perché la musica è precedente il testo. Però, per quel che riguarda la scelta delle poesie e dei testi originari, complessivamente possiamo dire che abbiamo scelto i testi che più ci piacevano, quelli che sentivamo più nostri, e l’esito è stata un’antologia che unisce popoli e paesi lontanissimi tra loro da un punto di vista geografico e linguistico; ma tutti uguali davanti al grande tema dell’amore.”
Ecco, adesso credo di aver capito quale sia il vostro processo di composizione standard e come è nato questo disco, ma concretamente come procedete? “Be’, una volta litigavamo molto”, dice Angelo. “Ero costretto a suonarle il pezzo decine di volte con la chitarra ed era davvero pesante e poi io scrivo delle musiche che non hanno come loro dimensione naturale la chitarra e inoltre modifico continuamente la partitura prima di dargli la forma finale.”
“Sì, è vero”, conferma Luisa, “all’inizio avevamo un metodo che è stato fonte di liti pazzesche: lui si metteva lì con la chitarra e parola dopo parola. Da qualche anno ho imparato a lavorare sulla cassetta che è una forma di lavoro molto più. pacifica.”
“Io sto in studio di registrazione”, prosegue Angelo, “e lei sta sopra nel suo studio coi i suoi libri e tutta la sua roba. Ora è tutto più semplice. Ma forse non c’entra solo il registratore. forse, dopo tutto questo vivere e litigare, ci conosciamo anche in maniera più profonda.”
Ma tu Luisa che formazione hai avuto e come fai a conoscere così tante poesie e di così tante lingue diverse (Angelo ruba la battuta e grida che è lui il vero poliglotta ma noi non gli diamo retta): “Ho fatto il liceo classico e dunque un po’ di latino e di greco me lo ricordo. Poi ho iniziato lingue alla Statale dove tra l’altro ho incontrato Angelo che era iscritto a Filosofia. e dunque attraverso le lingue europee – francese, inglese, spagnolo, ecc. – riesco a leggere un po’ di tutto. In queste lingue europee sono state tradotte moltissime poesie cinesi, giapponesi, arabe, africane.”.
Dopo aver chiesto a Luisa qual è stata la sua formazione in campo letterario, sorge spontaneo chiedere quale sia stata la formazione di Angelo, sia in campo musicale (il violino è sicuramente l’emblema della sua musica e forse della sua personalità anche se nella sua musica è facile scorgere echi del repertorio classico, della musica rinascimentale e barocca, della musica celtica, e anche di tutta la tradizione popolare europea), sia in campo letterario: “La mia prima grande passione è stato il violino, ma poi è vero che ho imparato a suonare la chitarra, il pianoforte e vari strumenti tradizionali dell’epoca medioevale e rinascimentale, insomma tutti quegli strumenti che ho poi usato nei miei vari dischi. In ultima analisi mi ritengo un musicista. Però un musicista aperto alla poesia. E qui devo raccontarti un pezzo importante della mia vita. Finito il Conservatorio, io e la mia famiglia ci siamo spostati da Genova, dove mi ero diplomato a Milano. Qui, per consiglio di mia madre, mi sono iscritto, avevo 15 anni, a un istituto tecnico, anche se io avrei preferito il liceo linguistico, ma questa scelta è stata la mia fortuna perché in questa scuola ho incontrato un altro mio grande maestro; qui infatti, dopo il mio maestro di violino Augusto Silvestri, ho incontrato, come mio professore, il poeta Franco Fortini”. Angelo ricorda così Franco Fortini: “Con lui ho avuto un rapporto bellissimo tra i 16 e i 18 anni, quando ero studente. Fortini, come tu sai meglio di me visto che sei un suo biografo, era stato licenziato dall’Einaudi per le sue idee politiche e, come diceva lui, all’età della pensione e con una bimba piccola, si era messo a insegnare. Aveva insegnato prima a Lecco, poi a Monza e infine a Milano. Poi, dopo aver portato noi alla maturità, andò finalmente a insegnare all’Università. Questo ti dà la dimensione dell’uomo. La sua scuola era quasi una bottega rinascimentale. Lui ci invitava a casa sua il pomeriggio e ci leggeva grandi poeti e anche le sue poesie. A casa sua poi passavano grandi poeti e intellettuali come Sanguineti o Zanzotto. Per me, come anche credo per te, Fortini è stato un po’ un padre, una figura forte di riferimento. Era un uomo molto sicuro e anche molto umile. Non aveva grandi competenze musicali e mi chiedeva continuamente indicazioni e precisazioni musicali. Molti anni dopo quell’incontro che mi ha segnato alla fine degli anni Sessanta ho trovato un foglietto con scritto ‘non perdetelo il tempo ragazzi’. È stata la prima frase di Domenica e lunedì che poi ha dato il titolo al mio album del 1994. So che ha sempre seguito con interesse le cose che facevo e io non l’ho mai dimenticato e non ho mai dimenticato le sue poesie e il suo grande rispetto per l’arte e la poesia. Tra tutte ricordo in maniera particolare le poesie di Foglio di via”.
Un’eco di queste poesie si trova infatti nell’lp Alla fiera dell’Est e Angelo, in un’intervista a Ezio Guaitamacchi, lo ricorda con assoluta onestà e precisione: “Un altro brano a cui mi sento molto legato s’intitola Il funerale e ha un testo stupendo che mi era stato suggerito dal mio amico e maestro Franco Fortini”. Ma a sua volta Fortini l’aveva tratto dalla tradizione est europea e dalla poesia popolare romena e dunque possiamo dire che si trova in Fortini e nelle canzoni dei Branduardi una duplice tensione verso la cultura alta e verso la cantabilità popolare.
Credo che sia questa la chiave complessiva non solo dell’opera di Branduardi, ma in particolare dell’ultimo disco che mischia, con splendido risultato, queste due anime, questa due profonde radici di quell’arte che è l’arte della canzone.