11/05/2007

Zappology

In una fase storica di nuovo oscurantismo, in cui i destini del mondo sembrano essere nelle mani di un nutrito gruppo di individui mentalmente disturbati che credono di giocare a Risiko o a palla avvelenata, ci sono almeno tre buone ragioni per parlare di Frank Zappa.
1) Oggi, a 12 anni dalla sua scomparsa, la sua figura – come compositore, musicista, uomo, sociologo, politologo, antropologo, provocatore con la faccia come il culo, opinionista, fine intellettuale, anarchico, innovatore, talent scout, fantasista – ha e può avere ancora un’influenza tale sulla nostra cultura che una costante analisi (a tratti anche sommaria, purché attendibile e appassionata) può riservare insegnamenti e sorprese per le generazioni presenti e future. Come scrisse Edgar Varése, e come riportò Zappa su Freak Out!, il primo album dei Mothers Of Invention: “The present day composer refuses to die”.
2) In aggiunta al ricchissimo catalogo di cd, lp, video e film già pubblicato, la famiglia Zappa – capitanata da Mrs. Gail e coadiuvata dai dinamici figli – sta per portare alla luce una quantità strabiliante di materiale, attualmente ancora custodito nelle segrete del maniero degli Zappa sito a Laurel Canyon, a Hollywood. Una doverosa precisazione: i fan di Zappa sono (cioè, siamo) persone amabili ed evolute ma incontentabili e quindi avranno parecchie lamentele riguardanti le scelte di Gail & Co; lasciate che i “deranged fans” lancino i loro strali e poi pensate solo questo: l’unica cosa che conta è che giri sempre più materiale autentico di FZ sulla faccia del pianeta.
3) Il riservato chitarrista Dweezil e il viscerale cantante Ahmet, i due figli maschi di Frank e Gail, si sono imbarcati in una folle impresa: portare in tour – inizialmente solo in Europa – un ventesimo del repertorio di babbo Frank. Un ventesimo di 800 brani originali significa quaranta, sui quali i due figli d’arte si cimentano accompagnati esclusivamente da musicisti giovani e/o sconosciuti. Il progetto ha un nome: Zappa Plays Zappa. “In realtà abbiamo invitato anche alcuni dei grandi che hanno lavorato con papà” ci ha detto Dweezil (vedi anche pagina 38) “da George Duke a Steve Vai, ma sono carichi di impegni e non hanno dato un sì definitivo. Magari li vedremo capitare sul palco all’ultimo momento, chissà”. Qualche settimana per familiarizzare singolarmente con gli spartiti e tre mesi estivi di prove, ovvero poco più di due giorni per ogni brano. Non è molto. Finché si tratta di canzoni come Bobby Brown o Big Leg Emma, occhio e croce, non ci sono grossi problemi, ma con pezzi come Drowing Witch o Evil Prince (’84 Version) le cose diventano drammatiche. Stiamo a vedere (non è detto che i brani appena citati facciano parte del repertorio di Zappa Plays Zappa) e nel frattempo prendiamo nota di quanto ci ha detto Gail in un pomeriggio estivo del 2005: “Abbiamo dato una grande opportunità a musicisti che, quando Frank era in piena attività, erano troppo giovani o non erano addirittura nati. Il loro entusiasmo non è minimamente immaginabile”.

Zappa’s Universe
Non è facile raccapezzarsi in mezzo alla babele di musiche originali scritte da Frank Zappa. Si potrebbe tentare un’azzardata suddivisione per generi (c’è davvero di tutto: rock, pop, funk, disco, rap, jazz, soul, blues, country, barocco, tarantella, classica contemporanea, sprechstimme, sperimentazione pura, elettronica, ecc) degli ottocento brani che costituiscono il vastissimo repertorio, per scoprire che nella maggior parte dei casi uno stesso pezzo salta da un genere all’altro con folle fluidità. Quindi? Meglio percorrere strade diverse, che includono anche un’analisi a tutto tondo del personaggio, della sua vita e del suo pensiero.
Nell’universo zappiano il concetto di continuità (artistica, tematica, musicale) viene costantemente sovvertito da un’attitudine dadaista che destabilizza chi ascolta e, ingenuamente, si aspetta qualcosa di consueto. Ci vuole allenamento e apertura mentale per accorgersi che in realtà Frank Zappa è un curioso, continuamente alla ricerca di nuove possibilità espressive e, soprattutto, capace di includere una visione ironica e corrosiva del mondo. Questo per quanto riguarda la musica. E i testi? Spesso i protagonisti delle liriche sono individui o situazioni che descrivono un cambiamento in atto (positivo, negativo o indefinito) dei costumi e della società americana o mondiale.
Uno degli spunti più bizzarri arriva dalla cronaca nera nell’inverno del 1976. Zappa e alcuni dei suoi musicisti stanno ritornando da un concerto tenutosi a Norman, Illinois. Autoradio accesa, sentono l’annunciatore parlare delle gesta di Michael Canyon, il cosiddetto Bandito dell’Illinois, una sorta di rapinatore creativo che è solito introdursi armato e mascherato negli appartamenti in cui vivono coppie, farsi dare tutti i soldi e poi costringere la donna ad autosomministrarsi un bel clistere.
“Che cosa ha detto?!?” esclama Zappa mentre lo speaker non ha ancora finito di sciorinare la notizia. Di lì a pochi giorni scrive una canzone dedicata alla figura mitica (?) di Canyon, che in seguito verrà tratto in arresto – solo per le rapine, visto che obbligare una donna a fare un clistere non costituisce un reato nell’Illinois.

Bananas
La vita on the road offre a Zappa una galleria virtualmente infinita di personaggi e aneddoti.
Al termine di ogni concerto, mentre i vari strumentisti si appartano nel backstage o sui sedili posteriori di qualche auto per dedicarsi alle tipiche attività ricreative con le presenze femminili fisse o occasionali, il serio compositore va a riascoltare la registrazione del live per decidere come catalogarla, selezionare i brani riusciti meglio e pianificarne l’utilizzo. Alla mattina, facendo colazione tutti insieme, tra un ragionamento e una tirata d’orecchi (“Ieri sera il basso ha sbagliato l’ostinato in Keep It Greasey”, “Bella la battuta di Danny durante Yellow Snow… dovremmo inserirla in repertorio e costruirci sopra uno sviluppo strumentale, che ne dite?”, “Stasera finiamo il concerto con la cover di Whippin’ Post?” e così via), Zappa ascolta i racconti legati alle scorribande erotiche dei suoi compagni di viaggio. E ne trae spunto. La canzone Stevie’s Spanking parla di un torrido incontro notturno avvenuto nel novembre del 1981 tra Steve Vai (erotomane con i capelli blu) e Laurel Fishman (femmina prosperosa ben predisposta verso le pratiche erotiche alternative). Vai racconta a Zappa che la signorina Fishman lo aveva messo quasi subito a margine del letto per fare sesso prima con una banana, poi con una spazzola, con la paletta della chitarra e, gran finale, con il manico dell’ombrello di Chad Wackerman (batterista con Zappa tra il 1982 e il 1988). Il compositore, dopo aver chiesto a Vai e Fishman un’autorizzazione scritta completa di liberatoria, scrive la sopraccitata Stevie’s Spanking, all’interno della quale comparirà una sfida tra chitarre elettriche a colpi di assolo.

Topi di strada
“Se vuoi andare in tournée” raccontava Zappa nel 1988 “devi avere una mentalità tutta particolare; non importa quanto possa essere bravo un dato musicista, se non ha la mentalità da topo di strada ci muore, in giro. Ho imparato a mie spese che ci sono persone che sanno suonare benissimo ma che on the road non reggono; non riescono a sopportare la pressione e l’isolamento, e alla fine scoppiano e a te tocca rimandarli a casa”.
Zappa era solito definirsi “antropologo amatoriale”. Uno degli oggetti dei suoi studi erano i musicisti e la loro vita in tour, che includeva aspetti artistici e squisitamente umani, quali ad esempio l’apprezzata compagnia delle groupie ovvero le ragazze che seguono questa o quella band perché, fondamentalmente, amano i membri del gruppo. Una descrizione della tipica giornata di queste intraprendenti fanciulle è contenuta nell’irresistibile The Groupie Routine (che compare sul doppio cd You Can’t Do That On Stage Anymore – Volume 1) e sfrutta la capacità di improvvisazione dei due ex cantanti dei Turtles, Mark Volman e Howard Kaylan, che non si fanno problemi a spiattellare nomi e cognomi, da Stephen Stills a Robert Plant a Elton John (includendo, per quanto riguarda quest’ultimo, anche i groupie maschi). Nel live Fillmore East 1971 ci sono addirittura quattro canzoni affettuosamente (e ci mancherebbe) dedicate alle groupie, quattro momenti uniti come se fossero un’unica suite, che culminano nel brano What Kind Of Girl Do You Think We Are?, le cui liriche affermano: “Vogliamo uno di un gruppo che abbia qualcosa nelle classifiche e se il suo cazzo è un mostro gli daremo il nostro cuore!”. Più chiaro di così.
Nel corso dell’intervista che compare nel bootleg Leatherette Zappa dice: “Con le Mothers del 1971 eseguivamo spesso dei brani dal vivo che facevano parte della groupie routine. Li suonavamo perché si trattava di storie vere, accadute a membri della band. Si trattava semplicemente di celebrare un pezzo di folclore caratteristico del gruppo. I gruppi che ignorano gli episodi, per così dire, folcloristici che accadono ai loro componenti perdono una buona occasione per preservare un po’ di storia. Sono altresì convinto che la storia contemporanea verrà riportata molto più accuratamente dai dischi che non dai libri”.
Un altro aspetto della vita on the road sul quale Frank amava erudire il pubblico dei suoi concerti era lo stato fisico in cui versavano i componenti del gruppo. Intento profondamente apprezzabile, per svelare il lato umano della vita delle rockstar, che sono sicuramente felici di fare concerti su concerti, ma quando soffrono (per una qualsiasi bislacca scocciatura, dal mal di testa alla polmonite) e non possono permettersi di starsene a letto sono guai. Ad esempio, in Disease Of The Band, brano registrato il 18 febbraio 1979 all’Odeon Hammersmith di Londra, il compositore introduce la band, dicendo: “Vi dirò chi suona con me questa sera, dandovi dei dettagli sul tipo di malanno fisico di ognuno. Danny Walley ha un gran dolore al dito del piede. Ike Willis ha un mal di gola tremendo che fino ad ora gli ha impedito di salire sul palco. Tommy Mars… no, lui sta bene e dà la disponibilità. Ed Mann è fisicamente in salute, anche se nel backstage mi ha detto di non essere sicuro di essere ancora mentalmente in salute. Peter Wolf apparentemente sta bene. Vinnie Colaiuta è ok. Arthur Barrow è quello che sta peggio di tutti. Non è neanche riuscito a fare il soundcheck o a mangiare qualcosa al buffet, ma proverà a stare con noi. E, infine, è in buona forma Warren Cuccurullo”.

Pinguini in catene
Lo Zappa antropologo indossava il cappello da sociologo fustigatore dei costumi quando si trattava di prendere in considerazione certe derive della società americana, quali gli strascichi legati al flower power e all’incapacità dei suoi appassionati fedeli di rapportarsi con la realtà in modo lucido e costruttivo. In Flower Punk (qui – siamo nel 1968 – la parola punk non ha ancora assunto il significato che prenderà a partire dalle mirabolanti gesta dei Sex Pistols e di tutti i loro modesti coevi), brano in tempo dispari contenuto nell’album We Are Only In It For The Money, il compositore mette alla berlina gli hippie e il loro stile di vita, quando scrive: “Ehi punk, dove stai andando con quel distintivo sulla maglietta? Beh, sto andando a un love-in, a sedermi e suonare i miei bongo nella spazzatura”.
Va detto che, a distanza di decenni, le cose non sono molto cambiate: per farsi un’idea basta fare un giro nei vari festival musicali estivi e osservare quella parte di pubblico costituita dagli attuali flower punk, quegli innocui, deragliatissimi eredi dei figli dei fiori che vagano senza posa (sguardo vitreo, piedi scalzi e mano costantemente protesa per ricevere monetine, sigarette, o nutrimenti per il corpo e per la mente) oppure si assopiscono tra cani, bonghetti e pattume, quando non si intrufolano nella prima canadese aperta per godere di ospitalità non autorizzata.
Negli anni 60, durante l’esplosione dei movimenti di controcultura che portarono alla gloria gruppi come i Jefferson Airplane e i Grateful Dead, Zappa fu abilissimo a far parte della corrente e diffondere la propria opera, per poi tirarsi fuori al momento opportuno. E lo fece attraverso una condotta inappuntabile: da una parte lo stile di vita che escludeva tassativamente l’utilizzo – anche ricreativo – di droghe leggere o pesanti e di alcolici, dall’altra un percorso artistico in costante cambiamento ed evoluzione, basato più sulla ricerca e sulla decostruzione/ricostruzione di formule esistenti che non sull’ammiccamento al pubblico. Il fatto di variare in continuazione sviluppi e arrangiamenti dei brani metteva spalle al muro sia i musicisti, sia chi andava ai concerti, ma nell’arco di breve tempo divenne la principale ragione per assistere a più di una performance del compositore e musicista californiano. Ogni sera c’erano sorprese e trovate che rendevano il live diverso dal precedente e dal successivo, quindi meritevole di essere visto, ascoltato e ricordato. E, ovviamente, bootleggato, con esiti più o meno soddisfacenti.
Inoltre c’era il discorso legato ai testi divertenti quando non esilaranti, ma spesso sporcaccioni, che suonavano trasgressivi, sfacciati e quindi liberatori alle orecchie del pubblico festante. Su questa cosa Zappa marciò parecchio: “Nella mia opera potete trovare un po’ di ‘fottere’ qui e un ‘pompino’ là, e così via. Non è che io sia ossessionato da cazzi e fighe; è che queste parole (e altre egualmente significanti), unite a immagini figurative e a temi melodici, ricorrono in ogni disco, nelle interviste, nei film, nei video e nella mia autobiografia, al solo scopo di dare una continuità e un senso generale alla collezione”.

Abitudini sporche
Una decina di anni fa Gail Zappa (la moglie di Frankie) annunciò di voler redigere un volume in cui aveva intenzione di prendere in considerazione gli aspetti legati all’uso della lingua da parte del marito. Che, al di là dei temi tipici citati in precedenza (sesso, no droga e rock’n’roll), mostra una certa familiarità con la contaminazione linguistica e un innato spirito etnocentrico fino a non molti anni fa ineguagliati. Nei testi di Zappa è possibile trovare parti in italiano (Tengo na minchia tanta, Questi cazzi di piccione), in simil spagnolo-messicano (Dog Breath, WPLJ), in tedesco (Stick It Out, Sofa), bilanciate da testi in inglese nei quali si fa un uso indiscriminato di forme espressive che vanno dallo slang (Heavy Dutie Judie, Jumbo Go Away) e di allusioni fonetiche che mettono a dura prova gli stessi ascoltatori statunitensi. E poi ci sono i modi di dire nati nei momenti di sapida goliardia che si sviluppa in tour. Durante un concerto tenutosi a Seattle nel 1984, Ike Willis si immedesima nel personaggio dei fumetti Lone Ranger e si mette a dire al microfono “Hi-ho silverrrr”, facendo ridere tutti i musicisti al punto che, quasi, non riescono più a suonare. Nel settembre del 2001, durante la sua incursione in Italia per partecipare al primo Panino Day (il concerto-evento organizzato da Elio e Le Storie Tese e dedicato alla memoria di Paolo “Fejez” Panigada), chiedemmo lumi ad Ike Willis in relazione alla vicenda sopra menzionata. Il cantante, dopo aver riso a crepapelle riascoltando il brano, disse: “Oh Dio, non ricordo perché presi a dire quella frase. Doveva essere legata a qualcuna delle nostre trovate nate sul bus, tra una trasferta e l’altra. So solo che la ripetei tutta la sera, accompagnandola con gesti più o meno sconci. Frank e gli altri erano piegati in due dal ridere, e non riuscirono a farmi smettere”.
Mrs. Gail, restiamo in attesa del suo libro.

Wonderful Vault
“Gail, le cantine di casa vostra strabordano di materiale che vorremmo ascoltare, vedere, consumare. Quando arriverà il giorno che stiamo attendendo?” abbiamo chiesto all’affabile signora Zappa. Lei ha sorriso e, con uno sguardo malizioso, ha ammesso: “Ehi, non lo senti questo rumore? È la porta della cantina che si apre!”.
Bisogna dire che, negli ultimi anni, risolte in parte le solite controversie legali con questa o quella etichetta, gli Zappa hanno cominciato a pubblicare materiale di alta qualità. Le cose migliori sono l’integrale di Läther (in passato comparso in modo frammentario e disordinato – e senza l’autorizzazione di Zappa – su più album), l’ottimo FZ:OZ (registrato dal vivo all’Hordern Pavilion di Sydney il 20 gennaio 1976), il semi-antologico QuAUDIOPHILIAc (dvd audio contenente brani classici in versione alternativa e un pugno di inediti). Ma l’attesa, da parte dei fan, è spasmodica. Tra gli album imminenti ci sono la raccolta di assolo di chitarra, registrati prevalentemente nel fantastico tour del 1988, intitolata Trance Fusion e l’opera Dance Me This (Synclavier + orchestra). E molti dvd che documentano l’attività live del compositore e dei musicisti che hanno lavorato con lui nel corso degli anni. Che dire? Restiamo in fiduciosa attesa, consultando periodicamente il sito www.zappa.com, certi del fatto che, prima o poi, ascolteremo tutto, ma proprio tutto quello che Zappa ha suonato mentre era in vita.

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