07/07/2014

Syd Barrett, otto anni dalla scomparsa

Il primo visionario leader dei Pink Floyd moriva nella sua casa di Cambridge il 7 luglio 2006
Com’è noto, la storica band britannica è in questo momento al centro dell’attenzione dei mass media musicali, dato che Polly Samson – la moglie di David Gilmour –  ha recentemente annunciato l’uscita di Endless River, primo album di inediti a vent’anni dalla pubblicazione di The Division Bell (anche se il materiale per la verità non è poi così “nuovo”, dato che è basato sulle session del ’94). Di Barrett, primo leader visionario della band, si è parlato invece qualche settimana fa, in occasione della proiezione e messa in vendita di Psychedelia, un rarissimo filmato inedito girato nel 1969 dallo studente di scuola d’arte Kevin Whitney

Geniale autore di quadretti pop colorati e lisergici, a partire dalla pietra miliare floydiana The Piper At The Gates Of Dawn (EMI, 1967), Syd Barrett è stato un assoluto protagonista di una stagione creativa irripetibile. L’esclusione forzata dai Floyd del 1968, causata dalle sue precarie condizioni psicofisiche, sarà devastante per la sua fragile personalità: estromesso dal gruppo che lui stesso aveva fondato e fallito anche il tentativo dell’anomala formazione a cinque – con David Gilmour sostituto di Barrett dal vivo – il manager lo convince a registrare del nuovo materiale per un primo album solista.

Ma l’impresa si rivela subito difficoltosa, a causa proprio della sua psiche così instabile. “Avevo conosciuto Syd nel ’66, nel periodo in cui frequentavamo l’università – ricorda l’amico e artista Duggie Fields – anche gli altri Floyd erano iscritti alla mia stessa facoltà, e avevo avuto l’occasione di conoscerlo tramite loro… All’inizio, dopo l’uscita dai Pink Floyd, Syd cominciò a dipingere, ma smise quasi subito: non aveva alcune fede in quello che faceva, nessuna progettualità… Cominciò così a starsene a letto tutto il giorno, in pratica senza mai alzarsi. Non gliene fregava più niente di tutto il resto, e quando si decideva a mettersi a fare qualcosa poco dopo lo interrompeva per qualcos’altro, per questo non concludeva mai niente… Si chiudeva nella sua stanza, nel profondo della sua anima”.

In questo stato psicofisico estremamente subalterno e imprevedibile nel marzo 1969  – più di un anno dopo aver lasciato i Floyd e dopo essere stato qualche mese in una casa di cura – Syd finalmente chiama la EMI per prenotare lo studio di registrazione. La produzione viene affidata in un primo momento a Malcom Jones e al manager Pete Jenner. Barrett decide quindi di chiamare in studio i Soft Machine al completo (Robert Wyatt, Hugh Hopper e Mike Ratledge). “In studio si trattò – ricorda Wyatt – di un’esperienza completamente anarchica, perché Barrett era diverso da tutti gli altri musicisti con cui avevo già lavorato. Non ci parlò mai di quello che aveva intenzione di fare, dicendoci ciò che avremmo dovuto suonare… Così facemmo qualcosa di improvvisato finché lui ci disse: ‘Ok, è abbastanza’… In pratica non ci spiegò niente”. Nel maggio del ’69 la produzione passa a David Gilmour, supportato da Roger Waters. In poche session l’album viene ultimato e mixato il 5 agosto. Tuttavia prima viene lanciato sul mercato il 45 giri Octopus/Golden Hair (Harvest, 14 novembre 1969). Un ’45 storico e raro, l’unico della carriera dell’ex Floyd.

Il 3 gennaio dell’anno successivo esce infine The Madcap Laughs (Harvest, 1970). L’atmosfera precaria, incompiuta e instabile in cui si è registrato questo primo LP suggella il fascino immortale di un’opera meravigliosamente imperfetta, a cavallo tra filastrocche squilibrate, sorrette da un minimalismo sghembo e punte di confusionaria malinconia. La copertina è a cura di Storm Thorgerson e gli scatti sono del fotografo Mick Rock. Il disco non vende molto ma riceve critiche incoraggianti. In una fiammata insperata di lucidità creativa, Syd torna subito in studio (26 febbraio 1970), affidando la produzione nuovamente a David Gilmour (e Rick Wright come spalla). Tra una pausa e l’altra, il 14 novembre esce il secondo LP Barrett (Harvest, 1970). In questo delizioso capolavoro ci sono le canzoni più famose, spesso riprese da vari artisti (Love Song, Dominoes, Baby Lemonade). In generale la produzione è più convincente, omogenea, leggermente più curata e meno improvvisata. L’aria magica di incertezza rimane e Barrett è probabilmente un gradino sopra il debutto.

Negli anni seguenti, il manager Pete Jenner vorrebbe produrre un terzo album, ma il risultato è alquanto disastroso. Per un’opera omnia – o quasi – di grande livello, bisogna aspettare Crazy Diamond (Harvest, 1993). Questo delizioso cofanetto contiene i due album ufficiali, il postumo Opel e varie bonus track, 19 in tutto tra inediti e rarità. Non c’è proprio tutto quello pubblicato da Barrett – manca ad esempio Bob Dylan’s Blues – ma è più che soddisfacente e il libretto è molto curato. Da non perdere nemmeno The Peel Sessions (Strange Fruit, 1988), mini-album di cinque canzoni incise per la BBC il 24 febbraio 1970. L’unica occasione di ascoltare Terrapin, Gigolo Aunt e Baby Lemonade dal vivo con David Gilmour alla chitarra e all’organo e con il percussionista degli Humble Pie Jerry Shirley. Nel 1992 i discografici tentano (invano) di risvegliare il geniale Syd dal lungo letargo: la Atlantic offre a Barrett ben 75.000 sterline per farlo tornare in studio. Carta bianca sul materiale. Ma la famiglia declina ogni offerta.

Ritiratosi da più di 30 anni dal mondo della musica rock, Roger Keith “Syd” Barrett si spegne nella sua casa di Cambridge il 7 luglio 2006. Esattamente 8 anni fa. Ma il diamante pazzo splende tuttora nei ricordi di chi l’ha conosciuto e di tutti gli appassionati di musica rock…

 

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!