20/11/2020

David Gilmour e Roger Waters secondo Gatti e Girolami

Hoepli pubblica una nuova narrazione sui Pink Floyd
Nella collana Storia del Rock – I protagonisti della Hoepli non poteva mancare un approfondimento sui Pink Floyd. Ma con quale taglio? Da quale punto di vista? I Pink Floyd restano uno dei gruppi più raccontati e approfonditi nell’editoria italiana, una risposta interessante arriva da Nino Gatti e Stefano Girolami con David Gilmour & Roger Waters. Le origini, i Pink Floyd, le carriere soliste.
Incontriamo gli autori, tra i principali divulgatori in Italia del verbo floydiano.
 
Raccontare i Pink Floyd senza parlare di Barrett, Wright e Mason: è possibile?
In questo lavoro abbiamo messo l’accento sulle parabole umane e artistiche di due artisti tanto diversi quanto meravigliosi, provando a dare profondità temporale alle loro storie ben oltre il laccio della militanza comune. Ma quando abbiamo declinato il nome Pink Floyd, affrontando tutte le sue fasi lunari, allora la storia si è dispiegata in modo inevitabilmente più ampio.
Riteniamo che le maestrie di Roger e David, le loro scelte e i loro caratteri, pur centrali nella vicenda, non bastino da soli a reggere il peso del mito. Né a dare il senso complessivo della magia di quel Pink Floyd sound che invece è maturato in maniera simbiotica, prendendo linfa da contributi diversi e tagliando trasversalmente anche le vicende di Syd (da cui tutto è partito), Rick e Nick. Ognuno di loro, nei suoi modi e nei suoi tempi, è stata una tessera fondamentale del mosaico e merita paritaria dignità.
 
Sottolineate i momenti di gloria e successo comune ma anche gli scontri, i dissidi e le diversità tra David e Roger. Cosa li accomuna fortemente e cosa invece li divide?
I primi punti in comune sono da ricercare nei trait d’union dell’epoca giovanile: Syd Barrett, Bob Klose, Storm Thorgerson. Poi Cambridge come teatro dei sogni, le inedite libertà del dopoguerra e l’intero corredo di umori della beat generation. Entrambi, pur così diversi per storia e carattere, si sono nutriti del fermento culturale in atto e a Londra hanno trovato terreno fertile cavalcare le nuove tendenze. Alla boa del ’68, dopo l’agrodolce esperienza coi Joker’s Wild, David avvicenda Syd nei Floyd: da quel momento destini e ambizioni si allineano a quelli di Roger, Nick e Rick. Tutti e quattro hanno cavalcato lo stesso sogno e si sono fatti grandi, nutrendosi di quelle differenze umane e artistiche che per anni sono state un punto di forza piuttosto che un limite.
La collaborazione fra Roger e David (e per estensione fra gli “architetti” Waters-Mason e i “musicisti” Gilmour-Wright) ha generato per lunghi momenti una miscela perfetta, capace di portare il motore della band al massimo dei giri. Si sono presi il mondo, insieme. Ma il tempo, pur offrendo ancora gemme preziosissime, ha logorato man mano i meccanismi: spigolature e insoddisfazioni personali (non solo di loro due), le pieghe oscure del successo, i cambiamenti umani, i desideri di esprimersi in ambiti diversi. Pure un crack finanziario che si è abbattuto come un maremoto sulle residue capacità di tenuta della band. The Wall è stato l’ultimo vero colpo di coda. Straordinario, per quanto problematico. Dopo subentra un altro tipo di storia, preludio alle scelte che porteranno i due a imboccare strade diverse non solo dal punto di vista personale, ma anche filosofico e artistico.
 
Qual è il disco floydiano di maggiore equilibrio, quello in cui il talento e le personalità dei due sono perfettamente amalgamati?
Abbiamo votato Dark Side e The Wall. Il primo ha rappresentato la consacrazione mondiale, la zampata finale per l’Olimpo del rock. In quel periodo tutto sembrava bilanciato e a fuoco, c’era la sensazione di essere arrivati al dunque ed è l’ultima volta in cui possiamo davvero narrare di una collaborazione collettiva e volontaria a pieno regime. Ci hanno sputato l’anima tutti e quattro, non solo Roger e David; quel disco è la perfetta sintesi che supera le individualità a favore di un bene superiore.
The Wall, invece, prende forma in un periodo in cui le dinamiche in seno al gruppo sono profondamente cambiate. Eppure, restando strettamente sui due, costituisce la summa perfetta tra le competenze e le qualità di Roger e David: da un lato la geniale quanto profonda portata concettuale del disco, con le liriche perfezionate in modo maniacale da Waters e dal produttore Bob Ezrin, unite alle demo musicali grezze che lo stesso Waters aveva proposto in origine. Dall’altro la sublime capacità di David e di Richard di tessere il telaio musicale dell’opera e di cucire un vestito di vera classe ai brani in scaletta. Gilmour ha anche messo sul piatto alcune intuizioni che avrebbero portato in dote alcune perle del disco come Run Like Hell e Comfortably Numb.
 
Gilmour entra in un secondo momento, eppure è riuscito a ottenere una posizione di livello preminente nei Pink Floyd. Quali sono stati i suoi meriti?
Una voce suadente, un artista di bella presenza, un manico che si è liberato pian piano sino a diventare un elemento imprescindibile del sound del gruppo. Lo ha marchiato. La sua comunione artistica con Wright, anch’egli (non dimentichiamolo mai) colonna portante delle alchimie Floyd, ha ammantato il gruppo di elementi riconoscibili e apprezzati in tutto il mondo. C’è voluto del tempo per raggiungere il perfetto amalgama col resto della band, scrollandosi quella fastidiosa sensazione da “ultimo arrivato” che in origine l’ha un po’ frenato. Ma col tempo si è ritagliato un’identità precisa e poi fondamentale.
 
Waters è una delle grandi eminenze grigie del rock: il suo collega ha mai avuto complessi di inferiorità nei suoi riguardi?
Roger teneva salde le linee guida dei progetti, spesso agendo da torpedine nello spogliatoio e da scudo verso l’esterno, in più dettava i tempi grazie a una propensione quasi stakanovista al lavoro. Leader pugnace e visionario, determinatissimo. Una vera fucina di idee, per di più metodico e minuzioso all’estremo. I Floyd sono stati tanta musica, certo; ma anche organizzazione e pianificazione, unita a una certa visione delle cose che è parsa quasi una missione. Tutti elementi che hanno portato alla consacrazione mondiale.
Fra i due le differenze erano evidenti e non è escluso vi fossero reciproche invidie, bonarie o meno: Roger sapeva scrivere testi pregnanti ed efficaci, nel tempo inoltre è sbocciato anche come prolifico compositore musicale. A livello di carattere metteva in campo spavalderia e carisma, ben trasmessi sia sul palco che nei rapporti con i media. Inoltre con le sue intuizioni la band ha potuto realizzare concerti visualmente sempre più imponenti. David aveva al suo arco la presenza, una voce melodiosa, una naturale propensione al “senso musicale” e un tocco di chitarra di rara bellezza. In più aveva raggiunto una tale dimestichezza con gli apparecchi di studio da poter affiancare Roger nel ruolo della produzione. Un valore aggiunto, certo, ma foriero di battaglie e sgomitate col compagno per imporre il proprio credo . Dal vivo, durante ogni assolo, calamitava l’attenzione generando inevitabili consensi; era inoltre dotato di calma e serenità d’animo, un equilibrio fatto di silenzi e di sguardi che qualcuno avrebbe potuto confondere con timidezza, ma che in realtà nascondeva una forte tenacia. Negli anni, insomma, si è prima ritagliato uno spazio essenziale e poi si è fortemente avvinghiato al suo ruolo di musicista e produttore, deciso a non rinunciare ad una formale parità. 
 
In Rosso Floyd di Michele Mari emergono due diversi approcci e stati d’animo nei riguardi dell’antico sodale Syd. È mancato in modo diverso a entrambi?
Il ricordo di Syd, fra mestizia e uno sfuggente senso di “assenza/presenza” ha aleggiato lungo l’intera storia del gruppo. Con picchi emotivi ben percepibili quando tutti stentarono a riconoscerlo durante la sua improvvisata ad Abbey Road all’epoca delle incisioni di Wish You Were Here. O ancora, in tempi più recenti, quando si diffuse la notizia della sua morte. A livello emotivo Barrett è mancato ad entrambi in modo diverso, in linea con le matrici umane e caratteriali dei protagonisti, ma riteniamo abbia lasciato abissi profondi nell’animo di ognuno.
 
È inevitabile, quando finisce una rock band, che i singoli membri abbiano diverse velocità e diversi risultati commerciali da solisti. Quali sono le differenze tra le due discografie in proprio?
I concept di Roger sono più crudi e asciutti, copiosi di liriche perturbanti, anche se non mancano alcuni passaggi musicali davvero commoventi. Le sue canzoni sono specchi di un processo d’autore che da tempo lo vede concentrato sui destini universali dell’uomo e sui grandi fallimenti della società contemporanea. Un lottatore schierato con animo: veicola la sua musica come forma di protesta, parla d’amore in termini universali, ragiona da decenni sui temi quali empatia, cooperazione e abbattimento dei muri (sociali e materiali) fra culture. Sa essere feroce e ironico; va di fioretto, spada e sovente di mannaia. Dopo alcuni anni in sordina seguiti alla separazione dai Pink Floyd, si è ripreso la scena con un’impressionante sequela di tournée sempre più magnificenti, condotte a ritmi impressionanti. Un uomo che continua ad avere il fuoco dentro, deciso a cambiare il mondo lottando in prima fila nella trincea della vita. Spesso però i suoi lavori mancano di quell’ariosità che è tipica del suo ex compagno: Gilmour ha una sua poesia più eterea, diremmo contemplativa.
Di certo meglio esprimibile con la musica che non a parole, dove invece fatica: chitarre lacrimevoli, fughe strumentali, diapositive nostalgiche. Da anni si è stanziato a ritmi più blandi, e anche la sua musica sembra avere movenze più compassate. Di base, nei loro lavori solisti, David e Roger esprimono al meglio i loro punti di forza, mancando intuitivamente di quella completezza garantita all’epoca dalla controparte. Ma queste sono dissertazioni che lasciano il tempo che trovano, in realtà. Perché pensiamo che, serenamente, la cosa non li riguardi più.
 
Invece di chiedere se è più floydiano Waters o Gilmour, la domanda andrebbe posta diversamente: chi dei due ha maggiormente sposato e veicolato poetica, estetica e sonorità tipiche della band madre?
Giochiamo in contropiede e diciamo Nick Mason!
Col tour di A Saucerful Of Secrets ha messo la freccia e zitto zitto li ha “fregati” tutti! E per inciso, Nick è il Pink Floyd di più lungo corso: c’era prima dell’ingresso di Gilmour e c’è stato dopo l’uscita di Waters. No way: votiamo lui!
 
Waters e Gilmour oggi: due settantenni pacificati e a riposo?
Due giganti a cui abbiamo voluto dedicare un doppio tributo, rispettandoli come uomini e come artisti lungo l’intero arco delle loro vite. Già nel 2019 Roger era pronto per una nuova tournée, del tutto disinteressato alla sua carta d’identità e con la probabile intenzione di dispensare nuovi colpi d’ascia (anzi, di trapano). David, dal canto suo, potrebbe stupirci in ogni momento con musica nuova e ci piace pensare che per entrambi (ma ci mettiamo anche Mason) le sorprese non siano ancora finite.
Purtroppo la pandemia sta sparigliando le carte, ogni considerazione appare aleatoria alle condizioni attuali. Il tempo che passa non gioca a loro favore, questo è certo. Tuttavia, per come ci hanno abituati, meglio tenere sempre un occhio aperto.  
 

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