30/03/2015

Orientarsi con sei batteristi

Intervista ad Alberto Turra / Turbogolfer. Il chitarrista torna con il suo terzo album, Azimuth, un concept con sei batteristi (che sarà raccontato anche in un film)
Un chitarrista e… sei batteristi. Una serie di incontri voluta da Alberto Turra / Turbogolfer per il suo terzo album. Il musicista (Roy Paci-Corleone, Mamud Band, Giovanni Venosta, Kabikoff, Piepaolo Capovilla) prosegue il suo percorso di ricerca e di studio abbracciando soprattutto jazz, post-rock, avantgarde e/o freeform.
Il titolo del nuovo disco è Azimuth e, come per i precedenti Secret of a perfect golf swing e Lamentazioni per la Piave, indica un concept, stavolta legato all’interazione/alchimia musicale chitarra/batteria e a una ritualità da ricondurre ai punti cardinali.
 
Le dodici tracce sono state registrate in diretta in tre giorni, due batteristi al giorno, due brani per batterista. 
Il repertorio è formato da sei pezzi originali che portano ognuno il titolo del batterista a cui è dedicato, più sei “cover”: Resolution di Coltrane, Fire di Hendrix, Platypus di Ben Allison, la celebre Ederlezi, Atas Atas Amimmi (ninna nanna berbera) e Wights Waits For Weights di Steve Coleman.
I batteristi coinvolti sono: Alberto Pederneschi, Marco Cavani, Toni Boselli, Sergio Quagliarella, Tato Vastola e Andrea Rainoldi.
Ogni batterista è identificato con un punto cardinale e poi da Azimuth è nato anche un film, Let Me Stand Next To Your Fire, diretto da Valeria Allievi. Ma di questo e di molto altro ancora abbiamo parlato direttamente con lui, Alberto Turra.
 
Suonare in duo… ma perché proprio con sei batteristi? Quali sono state le dinamiche di interplay?
Suonare in duo è una meraviglia, in generale, ma farlo con un bravo batterista diverte a livelli impensati. Ognuno di questi batteristi è un fuoriclasse del proprio linguaggio e sono tutti estremamente personali e creativi. In questi termini il raggiungimento dell’interplay, dell’ascolto reciproco e dell’intesa è risultato molto naturale. Nessuno accompagna/segue nessuno, ma ogni duo ha scavato nella direzione della migliore realizzazione dei brani. Da ragazzino (come molti) ho iniziato con la batteria e da allora mi sono sempre legato in modo elettivo con i batteristi ispirati che ho incontrato.
 
Perché l’Azimuth? O forse sarebbe più giusto dire: come intendi tu l’Azimuth e quindi il titolo di questo disco?
“Azimuth” è un termine che deriva dall’arabo e significa “la via dritta”. Tecnicamente è l’angolo calcolato nella triangolazione tra il Nord, il punto in cui ti trovi (vertice dell’angolo) e il punto che vuoi raggiungere. In questo senso il significato dell’album (e del titolo) si è svelato strada facendo. E l’assegnazione del punto cardinale ad ogni batterista si è imposta quando ho realizzato che in tutta la mia vita la scelta del batterista, di qualsiasi progetto si trattasse, fosse sempre stata quella generativa di tutte le altre scelte successive. Se scegli il batterista giusto, tutto il resto è in discesa.
 
Due brani per ogni batterista, ma nella tracklist non si segue questo tipo di ordine apparentemente scritto. Scelta voluta?
Certo. Nelle mille tracklist pensate per il disco alla fine abbiamo scelto il percorso Sud-Ovest-Nord-Est-Nadir-Zenith ripetuto per due volte cercando un percorso musicale gradevole nella scelta tra brani originali e “cover”. I brani originali hanno il nome del batterista con cui lo sto suonando. Abbiamo avuto l’immensa fortuna di avere con noi per tutto il tempo Valeria Allievi, amica e pluripremiata regista/documentarista, che ha ritratto (devo dire con una certa indiscrezione) le dinamiche umane e di lavoro nel film di prossima presentazione Let me stand next to your fire.  Nel film si capiscono chiaramente i motivi di alcune scelte.
 
Curiosa anche la “collocazione dei batteristi” rispetto alla questione dei punti cardinali. Ad esempio Sergio Quagliarella è napoletano e rappresenta il Nord…
Esatto. Se lo si osserva senza sapere niente di lui, Sergio è evidentemente un uomo del Nord. In questo senso ho cercato delle assonanze tra musicista e punto cardinale che andassero al di là delle contingenze di vita in cui la persona poi si è trovata immersa dalla nascita. Ho cercato di guardarli in modo intuitivo e di chiedermi: “Ma lui, veramente, da dove arriva? A che direzione/mondo appartiene?”. Questo ha prodotto delle scelte che sono indiscutibilmente personali e che ho già avuto modo di ridiscutere con un sacco di amici che ascoltando il disco hanno trovato queste scelte “lontane” da quelle che avrebbero fatto loro, se non addirittura “sbagliate”. Questo è proprio il senso in cui vorrei venisse fruito il lavoro, con la libertà di un’assegnazione personale da parte dell’ascoltatore.
 
Tra l’altro Quagliarella è il batterista che dopo Marco Cavani ha preso parte al progetto Kabikoff, un’altra parte di rilievo della tua storia artistica. Con loro hai da poco pubblicato un nuovo album, vero?
Sì, a novembre abbiamo pubblicato Pietraia. Suonare dal vivo Pietraia è una delle cose più divertenti e liberatorie che mi siano mai capitate di fare. A volte ci viene il sospetto di volere fortemente Kabikoff soltanto per questo motivo, avere cioè una sorta di Fight Club riservato soltanto a noi quattro, una grande fortuna (gli altri sono Marco Kino Deregibus alla voce e William Nicastro al basso, ndr).
 
Bene, torniamo ad Azimuth. Ci sono coincidenze particolari o altri riferimenti simbolici che riguardano il disco o chi ci ha suonato?
La quantità di riferimenti è enorme e non riesco mai in sede di intervista a snocciolarli come vorrei, ma posso dare delle tracce che possono essere utili, come per esempio il concetto e la pratica della creazione di un mandala, il significato esoterico di ogni punto cardinale secondo le varie tradizioni o la (bio)diversità dei linguaggi suonati.
È interessante raccontare la velocità con cui tutto si è svolto: questo disco è stato registrato in tre giorni, due batteristi al giorno, due brani per batterista. Non mi è mai successa una cosa così.
 
Hai voluto intitolare i brani originali con i nomi di ciascun batterista che li suona anche perché devono essere riconoscibili?
Non lo so, forse un po’ sì. In verità il primo stimolo è stato ricordarmi come questa cosa fosse già successa con il brano John McLaughlin: Miles Davis lo inserì nel celebre Bitches Brew (disco in cui McLaughlin peraltro era presente). Anche Bill Frisell inserì il brano Ron Carter in un paio di suoi dischi. Ecco, questa cosa mi piacque moltissimo…
E allora ho pensato che ognuno di loro è portatore di un’estetica batteristica e musicale talmente interessante che doveva essere ritratta.
 
Come hai o avete scelto le cover?
Ho fatto delle proposte e sono state discusse. Tante scelte sono derivate da circostanze molto semplici e dirette, come ad esempio il fatto di aver già suonato e goduto di quel brano con quel batterista. Suonare Resolution con Toni (Boselli) è sempre stata la cosa più giusta e naturale del mondo, così come Fire con Tato (Vastola) o Ederlezi con Alberto (Pederneschi). Strada facendo ho notato come la “cover” andasse a descrivere il lato in luce del punto cardinale in questione e il brano originale, invece, quello in ombra. Cosa significhi quello che ho appena scritto è discrezione del lettore/ascoltatore. Ascoltate il disco e ditemi se non è così.
 
Dal punto di vista musicale, a quali conclusioni sei giunto dopo la tua “indagine” attraverso Azimuth?
Nessuna. Farlo, di per sé, è stato incredibile. L’abbiamo fatto e, di suo, questa cosa è allucinante (nel senso che provoca allucinazioni). Abbiamo cercato di leggere le cose che accadevano e di chiamarle con il loro nome, in tempo reale. Non è poco, no? Speriamo di esserci riusciti.
  
Unico pezzo cantato (anche se solo il ritornello) è Fire di Jimi Hendrix che chiude il disco. Una semplice chiusura o un ipotetico punto di partenza per un progetto futuro?
Per ora una gioiosa chiusura. In realtà in quel brano io e Tato cantiamo insieme e nel film è evidente quanto il tutto sia stato divertente, ridicolo e quindi irrinunciabile.
 
A proposito, cos’altro ci puoi dire del documentario Let Me Stand Next To Your Fire diretto da Valeria Allievi?
Come accennavo prima, Valeria ha la capacità di scomparire durante le riprese e questo le dona il raro potere di insinuarsi in conversazioni e momenti in cui proprio non sarebbe il caso (ride, ndr). Un documentarista con questo potere è quanto di meglio si possa cercare sul mercato. Questo per dire che non sono molto oggettivo sull’argomento, perché quando lo guardo sono sempre troppo emozionato. Le dinamiche tra di noi sono state rubate in un modo perfetto.
 
Suonerai dal vivo Azimuth?
Certo, per iniziare vorrei fare due presentazioni in “full band”, una a Milano e una a Torino (città dove ha sede Felmay, l’etichetta che mi ha pubblicato) e poi un tour in formazione ridotta per evidenti motivi di budget: sarà un trio con chitarra/batteria/batteria con Pederneschi e Quagliarella.
 
 

 

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