30/12/2017

Ostinatoblu: il ritorno dei Glad Tree

Marcello Capra, Lanfranco Costanza e Mario Bruno in un nuovo disco tra blues, folk e rock
Una bella sorpresa. I nostri lettori conoscono bene la lunga e avventurosa storia di Marcello Capra, dai tempi eroici dei Procession fino alle ultime uscite da solista: molta curiosità qualche anno fa è stata sollevata dal suo ultimo progetto Glad Tree, un unicum a cavallo tra folk, blues e world music. Dopo Onda Luminosa (2015), il debutto tutto “east/west” insieme al flautista Lanfranco Costanza e al percussionista indiano Kamod Raj Palampuri, Capra torna con un terzetto rinnovato nell’album Ostinatoblu (MP Records), che racconta per Jam TV.
 
Ostinatoblu è una bella sorpresa, non solo per la mutata formazione ma anche per la direzione stilistica, quasi un tuffo in antiche passioni blues. Che differenze ci sono tra il debutto Onda luminosa e questo secondo album?
Le differenze principali si colgono immediatamente: avendo conservato la formula di trio, abbiamo rivoluzionato la scelta degli strumenti, io ho ripreso la mia guitar elettrica oltre le acustiche, Lanfranco Costanza con i flauti e l’armonica esordisce anche come vocalist in due cover, poi la novità più significativa, al posto delle tabla e del canto indiano è arrivato Mario Bruno (già hammondista con me nei primi Procession), dopo decenni di lavoro nella prestigiosa orchestra del Maggio Fiorentino, con il suo corno e le tastiere. Abbiamo anche deciso di eseguire brani non solo di mia composizione, ma anche due di Mario e uno insieme a Lanfranco, oltre a due cover e, possiamo dire, una nostra speciale interpretazione della Bourrée di Bach. Quindi abbiamo ripreso un dialogo partendo dalle nostre radici blues, per sconfinare in soli jazzistici, arrangiamenti per “piccola orchestra sinfonica da camera”.
 
Ostinatoblu ha dalla sua la forza della immediatezza e della spontaneità: è un live in studio?
No… sembra… spesso le mie parti di chitarra le abbiamo eseguite insieme alla tastiera, i fiati sono intervenuti dopo che ho inciso le mie armonie, ci sono pezzi che abbiamo suonato solo in due incidendo due strumenti a testa, ma questa immediatezza, che credo si noti fin dai tempi del mio primo lavoro solista Aria Mediterranea (1978), sta nel fatto che come suoniamo in studio amiamo farlo dal vivo, con lo stesso pathos e anche eventuali imperfezioni, che per noi non sono errori, anzi sono “il sale” della musica, è il cuore che deve influenzare le nostre mani.
 
Anche il legame con la musica classica è presente nei Glad Tree: Mario e Lanfranco hanno un pedigree accademico, tra ascolti personali ed esperienze di gruppo – pensiamo ai Procession – l’amore per il progressive e il rock sinfonico non è mai tramontato…
Abbiamo pensato Ostinatoblu come un’opera orchestrale, sezioni di fiati con una coloritura timbrica molto differente, il fatto di essere una piccola “orchestra” ha permesso di studiare soluzioni melodico/armonico/ritmiche originali e molto riconoscibili in un sound personale, misura, equilibrio e serenità che spero siamo riusciti a trasmettere, come alberi felici.
 
Marcello tu torni spesso su tuoi brani, rivisitandoli alla luce dei nuovi progetti o di una rinnovata sensibilità. Stavolta tocca alla deliziosa Giamaica Blues: qual è stata la chiave di lettura data dai Glad Tree?
In Onda Luminosa un intreccio ritmico con le tabla e l’acoustic guitar dove flauto e armonica lasciavano ulteriori colori melodici, mentre in quest’ultima versione diamo sfogo a soli improvvisati, stacchi ben precisi con fraseggi in sezione e finale in crescendo… Giamaica Blues è ormai la mia storia che ogni volta sento il bisogno di riproporre in formule diverse.
 
Per capire ancora meglio lo spirito del disco ci addentriamo nelle tre cover che riflettono sia i gusti personali del trio, sia l’orizzonte artistico verso il quale vi siete mossi. Partiamo dalla fine del disco, da quella Bourrée bachiana che all’ascoltatore rock non può che ricordare i Jethro Tull del 1969…
Una trascrizione riscritta per flauto e corno da quella di Bach, un intermezzo evocativo la versione dei Jethro Tull, solo per due strumenti a fiato… posso garantire che non è cosa semplice, anche per maestri del loro strumento come Mario e Lanfranco, eseguire in duo con intonazione perfetta, ma devo dire che la bellezza del brano è anche nelle sue pause, rispettate con precisione.
 
Il vostro amore per il blues non poteva non incontrare il maestro Mayall con Waiting For The Right Time (scritta con una figura spesso dimenticata, ovvero Jon Mark), dallo storico Empty Rooms, anch’esso del 1969. I Glad Tree che tipo di interpretazione offrono al blues?
Blues meditativo di spazi sconfinati, tra cielo e terra, voce di Mayall non riproducibile ma proprio per questo Lanfranco ha saputo trovare una sua chiave interpretativa, oltre le due strofe cantate ha riprodotto con la voce, il solo del sax in Empty Rooms… poi le lunghe note basse del corno, i fraseggi blues dell’Hammond, il mio solo guitar visionario, immaginato e realizzato in quel momento, senza averlo studiato, mi sono lasciato trasportare dall’atmosfera che si respirava in quel periodo.
 
Con la leggendaria Mystery Train andiamo ancora più indietro, un vecchio blues portato in auge da Elvis prima e poi da molti altri, da The Band a Jeff Beck. Come mai questa scelta?
Ti confesso che all’inizio ho realizzato questa versione con la sola chitarra acustica, credendo di averla sentita in passato dai Rolling Stones, salvo poi ritrovare la versione di Elvis… ho mantenuto un ritmo incalzante, ma a riempire il tutto è la tastiera e i caldi fraseggi di armonica, qui Lanfranco ha mostrato secondo me un timbro “fresco” vocale, come se cantasse una canzoncina natalizia, spirito giusto a mio avviso, come il treno sferragliante nella prateria.
 
Tutti e tre venite da una cultura in cui il disco è un’esperienza, più che un oggetto, dunque non poteva mancare una copertina significativa. Quella di Ostinatoblu è ancora una volta un quadro realizzato da Lanfranco…
Come per Onda Luminosa, Lanfranco  ha fatto il dipinto che poi è stato ben inquadrato dal grafico Daniele Massimi, particolare su juta e sughero… oltre al colore e quelle misteriose striature, una luna o un oggetto luminoso che sembra riflettersi nell’acqua, fa riflettere a mio avviso… ostinatamente blues…
 
Quella cultura rock di cui parlavamo prima, per la quale un disco è esperienza, simbolo, avventura e ritualità d’ascolto, è tramontata da tempo, eppure vi ispira profondamente. Come vivete questo fare “rock” in un periodo storico così disinteressato verso quel tipo di sapere musicale?
Non vogliamo essere snob e neanche oasi del deserto, desideriamo solo suonare la musica che ci piace, quella della nostra immaginazione che il nostro bagaglio tecnico ci permette di eseguire, quella che noi abbiamo dentro e nel corso del tempo assimilato, siamo coetanei e pur avendo avuto esperienze diverse riusciamo ad ogni nostro incontro ad attivare e perfezionare il linguaggio dei suoni, sensibilità diverse per un progetto, lavoro di squadra e grande armonia  tra noi, del resto siamo GLAD TREE!
 

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