26/02/2013

Christopher Owens

Il cantante dei Girls esce dal gruppo e confeziona un concept “indie” che somiglia a un disco anni ’70: chitarre, flauti e sax per raccontare la sua prima esperienza on the road

È un diario ritrovato. La cronaca di una storia d’amore. Un’esperienza sulla strada. Un film sulla vita di un gruppo rock. La foto sfocata del superamento della linea d’ombra. Lysandre è una lettera sonora ritrovata in soffitta: evoca impressioni di un vecchio tour e le ordina come un concept album. Dice una storia antica di amore & musica, eppure è un disco indiscutibilmente del 2013.

L’autore è Christopher Owens, da San Francisco, 33 anni. In copertina ti scruta dietro a una cascata di capelli che paiono nascondere la fragilità violata di un Kurt Cobain. Ascoltando il disco si capisce che è uno che sa benissimo cosa vuole. Ha alle spalle un’educazione religiosa a cui ribellarsi e una serie di brutte esperienze con droga e pillole. Fino a pochi mesi fa leader dei Girls e ancor prima membro degli Holy Shit con Ariel Pink, oggi è un cantautore solista con una gran voglia di dirsi in musica. Coi Girls orchestrava un sound “pieno” e rock, una serie di canzonette dotate dello spirito lieve degli anni ’60 e di certe asperità dei ’90. Lasciato il gruppo, Owens si esprime col linguaggio più sobrio del cantautore.

Lysandre è un disco compatto: 29 minuti densi di musica e parole, non una nota di troppo. È un concept. Christopher dice che è quasi un musical. Racconta la prima tournée dei Girls, anno 2008, attraverso una serie di vignette on the road e il dipanarsi di una storia d’amore con una ragazza francese, la biondina che dà il titolo all’album. La partenza (Here We Go) è gravida di attesa e promesse: si va a New York e non importa «se hai il cuore spezzato» perché «troverai la mia amicizia». La città è la meta di un viaggio fisico, ma anche metaforico: spazza i ricordi di «una canna di fucile puntata in faccia» e delle droghe e delle coltellate e del brutto vivere. New York City è la speranza di un nuovo inizio, ma il passato ti bracca ovunque tu vada e impari presto che in tour incontri vecchie facce e «nulla ti spezza il cuore come un ricordo» di un lui che ti ha tradito con una lei (A Broken Heart). Quando sei in giro con la band impari, pure, a vivere sempre al massimo, a goderti ogni momento, a stare sempre su (Here We Go Again). Ma per ogni up c’è un down. E così Love Is In The Ear Of The Listener è il momento del dubbio, della paura di essere inadeguato, della fifa di salire sul palco: «E se fossi un pessimo songwriter? E se quel che dico fosse già stato detto?». Infine, la storia con Lysandre, nella canzone omonima e in Everywhere You Knew: lui torna a casa e pensa che «mi andrebbe bene se questo aereo cadesse» perché «mi sono innamorato di te durante il primo tour della mia band». Fine della storia. La postilla è Part Of Me, scritta un anno dopo i fatti, a spiegare l’epilogo. Non c’è morale, solo la constatazione che lei era «una parte di me» e che «quella parte è svanita». Una linea è stata superata, una parte di giovinezza è stata messa alle spalle.

È una storia già sentita, vero. Ed è pure narrata in modo semplice. Eppure Owens riesce a renderla coinvolgente. Usa una strumentazione e canoni melodico/armonici classicissimi, non offre nessuna “visione” rivoluzionaria, arriva a usare la stessa tonalità di La per quasi tutto il disco. Però trasmette un’urgenza espressiva contagiosa. Sin dall’apparizione del semplice tema che ricorre in tutto l’album, e che nell’introduzione viene esposto da chitarra classica e flauto, è evidente che Owens ha fatto sua la lezione di certo cantautorato anni ’70, quello di Cat Stevens, di Paul Simon, di Bob Dylan, artisti che cita e ama rifare in concerto. Si accompagna per lo più con la chitarra acustica, canta con voce soffice e lievemente arruffata, spesso vulnerabile e femminea, a volte circondata dal calore dei cori di Hannah Hunt e Cally Robertson. Affida la narrazione alla musica. Qua e là affida brevi pennellate ad armonica a bocca, chitarra elettrica, flauto, sassofono. Convoglia nello stesso pezzo, nella stessa strofa, nella stessa sequenza di accordi sentimenti contrastanti di conforto e malinconia. Alterna passaggi bucolici a rock metropolitani, canzoni e strumentali. Ha un gran gusto melodico e non scorda mai l’obiettivo: comunicare con semplicità. Usa la forma del racconto musicale senza alcun compiacimento: Lysandre è un concept per una generazione affetta da sindrome da deficit d’attenzione dove le canzoni sono compatte e gli strumentali non durano sette minuti, ma quaranta secondi. Owens riesce, in definitiva, a usare in modo ispirato una materia sonora di quarant’anni fa. Perché ci sono album ambiziosi che dicono grandi cose e lasciano un segno duraturo e profondo. E poi ci sono piccoli dischi che non cambiano il corso della musica, ma in cui è bello perdersi.

Lysandre è così. È uno sguardo nuovo su un luogo famigliare. È un diario ritrovato. La cronaca di una storia d’amore. Un’esperienza sulla strada. Un film sulla vita di un gruppo rock. La foto sfocata del superamento della linea d’ombra. È il disco che vi farà conoscere Christopher Owens.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!