16/04/2013

Dear Reader

Una ragazza bianca sudafricana s’interroga in musica sulla storia del proprio Paese. Ne esce un’opera di cantautorato indie pop densa di significati e racconti

Spesso succede così, è quando ti allontani da casa o da un luogo familiare che ne scopri l’importanza: da lontano riesci a notare qualche aspetto sul quale non avevi mai fatto caso. E approfondendo, vieni a conoscenza di fatti e avvenimenti che sanno stupirti. Anche Cheri MacNeil è passata attraverso questa fase, da quando, tre anni fa, ha lasciato la nativa Johannesburg per trasferirsi a Berlino. Da lì, ha scoperto di non sapere nulla sulla storia della propria città e dell’apartheid in Sudafrica. Le ricerche nate per colmare questo vuoto hanno dato origine a Rivonia, suo quarto album (terzo col nome Dear Reader): è un’opera spessa, densa di significati, carica di storie da raccontare e da ascoltare, riuscendo ad essere allo stesso tempo un ascolto piacevole, incredibilmente coinvolgente, orecchiabile e cantabile. È proprio sul canto, infatti, che la MacNeil si è soffermata maggiormente: l’importante presenza di cori e massicce parti vocali colpisce e conquista, segnando una svolta decisiva rispetto ai dischi precedenti, con un’impronta più indie pop. Victory ne è lampante esempio: una sorta di canto da guerra costruito esclusivamente sulle voci, influenzato dagli studi di canto corale degli ultimi anni, che musicalmente ha tracciato il percorso dell’intero disco.

Oltre a una grande ricerca sui testi, tra Internet, libri di storia e l’autobiografia di Nelson Mandela, Cheri ha intrapreso anche un importante lavoro sugli arrangiamenti e sull’approccio alla scrittura: abbandonato il fedele produttore Brent Knopf, ha affrontato le sue paure personali e deciso di comporre interamente da sola, chiusa in casa. Seguendo l’idea di usare la voce al posto di uno strumento, ha registrato e cantato tutte le parti strumentali, chiedendo solo in un secondo tempo ad alcuni amici di raggiungerla e di reinciderle. Ecco quindi che a un lavoro incentrato esclusivamente su voce, percussioni e pianoforte, si aggiungono, tra gli altri, la tromba di Martin Wenk dei Calexico e le percussioni di Earl Harvin, batterista dei Tindersticks. Konstantin Gropper dei Get Well Soon duetta con Cheri in Already Are, un dialogo che sembra essere uscito da un «musical sui cowboy», secondo le parole della cantautrice, la quale non nasconde la sua passione per i film di Walt Disney. «Mi sono dovuta sbarazzare dell’istinto perfezionista, dall’idea di dover fare un capolavoro a tutti i costi», ci ha raccontato, «In fondo è solo musica, e ho deciso di fare qualcosa che mi piacesse e che mi divertisse, solo così sarebbe piaciuto anche ad altri».

I brani scorrono, trascinandoci nel loro ritmo coinvolgente e invitandoci a unirci ai cori, per alcuni dei quali Dear Reader ha raccolto un vasto gruppo di amici, conoscenti e simpatizzanti. Sentendoli tutti assieme, viene da pensare a quanto debba essere stato liberatorio cantare assieme a persone care della propria terra, di una storia dai lati ancora oscuri e nascosti come quella del Sudafrica. È un esorcismo, con il quale MacNeil ha affrontato (e superato) non solo lo scoglio dell’autoproduzione, ma anche i fantasmi del passato, suo e del suo popolo di bianchi invasori, denunciando ma allo stesso tempo rimanendo osservatrice. La sua grande capacità narrativa si proietta all’interno delle storie cantate, viste dal punto di vista dei personaggi: potenti sono brani come Down Under, Mining, sugli schiavi nelle miniere che «prendono l’oro dell’uomo bianco», o 26.04.1994, il giorno delle prime elezioni democratiche. Teller Of Truths racconta la storia del sanguinario capo Zulu che, impazzito per la morte della madre, in preda all’ira inizia a uccidere centinaia di persone del suo stesso popolo: l’unica persona che ha il coraggio di affrontarlo è il suo consigliere, che riesce a consolarlo e a fermare la sua follia. «Ho letto tre semplici frasi su Wikipedia», ha raccontato Cheri, «mi è sembrata una saga, un film di Hollywood». Il testo è consolatorio, mostra il lato umano e ferito anche del più terribile dei guerrieri. Ma il brano forse più significativo è Took Them Away, che racconta del giorno in cui vennero arrestati 19 membri dell’African National Congress. Bianchi e neri si incontravano clandestinamente in un casolare nella fattoria Lilliesleaf, nel sobborgo di Rivonia, proprio dietro alla scuola che Cheri ha frequentato per undici anni, inconsapevole dell’importanza di quel luogo (da qui il titolo del disco). La triste e terribile vicenda è narrata dal punto di vista del ragazzino che denunciò certi movimenti sospetti, anch’egli vittima di una cosa più grande di lui.

Non c’è giudizio sui gesti dei personaggi, solo l’impotenza di fronte all’ingiustizia e alla violenza degli uomini sugli uomini. Non ci sono risposte, non c’è la pretesa di raccontare tutta la storia dell’apartheid in modo obiettivo; quello che riesce a fare questo album è sollevare curiosità e dubbi, affrontare le paure inconsce che accomunano tutti gli uomini, tendendo la mano al nostro lato più umano.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!