26/02/2013

Scott Walker

Un disco difficile: l’attenzione che richiede viene ripagata da un elettrizzante senso di avventura

Della parola “genio” si tende ad abusare un po’ troppo. Forse è per questo motivo che, tanto tempo fa, un insospettabile Julian Cope parlò di «godlike genius» per definire Scott Walker: un genio addirittura divino, celestiale, soprannaturale. Un’iperbole? Sarà. Eppure, difficile smentirlo. Era già così ai tempi del sottovalutatissimo Scott 4, uno dei dischi più profondi e immaginifici del pop d’autore degli anni ’60. Era così ai tempi dei recenti Tilt (1995) e The Drift (2006), dischi che hanno ridisegnato del tutto la figura di questo misterioso e affascinante artista, un tempo idolo pop nei Walker Brothers e oggi instancabile e visionario avanguardista, per nulla incline a compromessi di qualsivoglia tipo. È così oggi con Bish Bosch, opera intensa, profonda e disturbante che si erge inesorabilmente diverse spanne al di sopra dell’attuale produzione discografica. Non per demerito di tutti gli altri: semplicemente, ogni album del sig. Noel Scott Engel trascende i limiti del prodotto musicale e finisce per rappresentare un universo a sé, un’esperienza totalizzante in cui suoni e parole si combinano in maniera personale. È musica, letteratura, cinema. Tutto insieme. È arte nel senso più puro del termine.

Non è quindi un caso il riferimento a Hyeronimus Bosch del titolo: proprio come un artista figurativo Scott agisce sui suoni ora scolpendoli, ora tratteggiandoli, ora cesellandoli, ora riversandoli come secchiate di vernice contro un muro. Il canovaccio compositivo è lo stesso, sconvolgente, di The Drift: non ci sono né strofe, né ritornelli, né progressioni armoniche, al loro posto un flusso narrativo dettato dal canto (la sua voce resta evocativa come sempre) che ora intona una melodia, ora recita, ora declama in uno stile libero, sciolto dai vincoli della metrica.

La sperimentazione maggiore avviene, ancora una volta, sugli arrangiamenti: con un procedimento più cinematografico che musicale Walker costruisce via via immagini e scene che si evolvono in una sequenza fluida, dove ogni singolo suono evoca il testo e viceversa; anche qui, totale libertà e creatività nel rinunciare spesso e volentieri a soluzioni tradizionali (tra le “percussioni” figurano persino un cesello e dei machete, per non contare sgradevoli e grotteschi suoni corporali). Discorso a parte meritano i testi, flash e storie immaginifiche che riflettono la cultura enciclopedica del nostro, con una particolare propensione per la storia (dall’esecuzione del dittatore Ceausescu alle vicende di un buffone della corte di Attila, attraverso Reagan, Gorbaciov e rifugi per nazisti). La fruizione richiede dedizione e attenzione. Ma Bish Bosch sa ripagare ad ogni ascolto, grazie all’elettrizzante senso di avventura che ne percorre ogni secondo di durata. Anche della parola “capolavoro” si tende ad abusare un po’ troppo. Non in questo caso.

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