21/03/2007

Sheryl Crow

Good Morning Sheryl

La differenza tra Roma e Londra è che, camminando per le strade della prima, ci si sente tra i fantasmi di un impero che fu, dominata come è dalle sue immense rovine. Lo diceva anche Bob Dylan: “Oh, the streets of Rome are filled with rubble, ancient footprints are everywhere” (“Le strade di Roma sono piene di macerie, orme del passato sono ovunque”).
Londra, che non è più la capitale di un impero anch’essa, invece ti dà l’impressione di essere ancora il cuore pulsante del mondo, con i suoi maestosi palazzi, le sue colonne altissime che celebrano antiche vittorie, il tutto splendidamente conservato.
Potresti pensare di vedere spuntare la Re-gina Vittoria in qualunque momento. Vale sempre il vecchio motto dei Clash: “Come out of the cupboard all you boys and girls, London calling” (“Uscite dagli armadi ragazzi e ragazze, Londra sta chiamando”).
Quando scrivo queste righe è passata una settimana dalla mia visita lampo londinese, ed è il 7 luglio 2005, il giorno dei terribili attentati nella metropolitana e sugli autobus della metropoli. Un motivo in più per voler bene a questa città meravigliosa e per completare le parole dei Clash, che adesso risuonano maledettamente attuali: “London calling to the faraway towns, now war is declared, and battle come down” (“È Londra che chiama le città più lontane, ora la guerra è dichiarata, comincia la battaglia”).

Il posto dove devo incontrare Sheryl Crow, per l’intervista che sono venuto a farle appositamente fino a qui, è invece quanto di più orribile si possa immaginare, e pensare che è a pochi metri da Trafalgar Square. È il nuovo che avanza, anche nella vecchia London Town, un cubo asettico di vetro che sorge in mezzo a vecchi pub, tutto coperto di tendaggi e neanche la scritta “hotel” fuori. È il segno che “modernità” oggi coincide volutamente con “anonimità”, il vuoto pneumatico che ha ormai conquistato la nostra civiltà occidentale. Eppure il St. Martin’s Hotel, come mi dice un amico inglese, è considerato un hotel “super posh”: in slang, il massimo del trendy. Dentro, invece dei soliti addetti in elegante giacca e cravatta, un gruppo di ragazzi giovanissimi in t-shirt nera che ci metto un quarto d’ora per capire che devo rivolgermi a loro per avere qualche informazione. Ed è orribile anche la mini suite dove devo incontrare Sheryl, fredda e anonima come nello stile generale.
Sono lì, che aspetto da tre quarti d’ora rispetto all’orario previsto dalla mia schedule (e poi dicono che gli italiani sono sempre in ritardo), quando dietro alle mie spalle sento delle voci femminili. Mi volto. Lei, la donna di Run, Baby, Run è lì davanti a me con la sua addetta stampa. È di una bellezza estrema. Ha appena finito una intervista televisiva ed è ancora ben truccata, i capelli di nuovo lisci e lunghi e biondo platino. Glamour al massimo come ci si aspetta da lei. L’ultima volta che l’avevo incontrata, un paio di anni fa nei camerini di Quelli del calcio, era sembrata dimessa e alquanto sciatta, per dirla tutta. Anche l’intervista allora era stata abbastanza povera, bisognava cavarle le parole di bocca. A giudicare da quanto si è letto in giro, sembra stesse uscendo da un brutto periodo di depressione, Questa volta non solo è più affascinante che mai, ma anche più che loquace, come dimostrerà poco dopo. Probabilmente è il nuovo amore, Lance Armstrong, che l’ha resa così splendente, a meno che allora a scioccarla non fosse stato il sense of humour di Gene Gnocchi e Simona Ventura.

Faticando a resistere allo sguardo profondamente sexy di Sheryl (e pensare che ha la mia stessa età. è proprio vero che il rock’n’roll ti rende “forever young”) comincio la nostra chiacchierata con una domanda che mi era rimasta in sospeso tre anni fa, ai tempi di C’mon C’mon. Ho infatti ripensato spesso, in questo lasso di tempo, all’attacco enigmatico del brano Soak Up The Sun che era su quel disco, che fa così: “My friend, the communist.”. “Comunista” non è una parola che si trova facilmente in un disco rock, specialmente americano, e insomma, Sheryl, è ora di farla fuori: non sarà mica Steve Earle, che va in giro a suonare con la falce e il martello sulla batteria e al merchandising dei suoi concerti vende cappellini da baseball con il famigerato logo? Se non ricordo male avevate inciso anche insieme un duetto, il brano Time Has Come Today, dalla colonna sonora del film (molto comunista) Steal This Movie, storia del comunista Abbie Hoffman.
Scoppia a ridere: “Guarda, non posso prendermi delle libertà poetiche su quella frase.”. Le faccio notare che lui dice spesso di essere “il solo musicista rock comunista d’America”. “Non so quanto lui sia serio quando dice di essere un comunista, ma comunque abbiamo avuto molte discussioni interessanti io e lui, sulla politica in generale. In effetti ho scritto Soak Up The Sun subito dopo aver fatto quel duetto con lui al Letterman Show”.”.
Mistero risolto.
Parliamo del nuovo disco, adesso, il bel Wildflower, un cd in cui la cantante lascia le atmosfere rock e pop del passato per concentrarsi su un songwriting che riflette la sua maturazione come donna: tutti brani composti per l’occasione? Sempre ai tempi della nostra ultima chiacchierata, mi aveva detto di essere stata lì lì dal ritirarsi definitivamente dalle scene e di aver cambiato idea solo dopo aver capito che, nonostante l’età, la sua musica migliore doveva ancora giungere: “Solo il brano Chances Are è vecchiotto, gli altri sono tutti stati composti per l’occasione. Dopo C’mon C’mon ho pubblicato una raccolta di successi che ha venduto così bene che mi sono presa un po’ di tempo per pensare a che cosa fare, che tipo di disco far seguire. Quella compilation per me ha significato la fine di un capitolo della mia vita artistica, ho pensato che quello di cui avevo bisogno era un disco un po’ più personale e meno prodotto di quelli fatti in passato. Non so se questa è la mia musica migliore, ma per me significa sicuramente un nuovo inizio”.
E cosa comporta questo nuovo inizio, musicalmente? “È un bel momento questo per me” spiega “perché sono un po’ più vecchia, oggi ci sono in giro un sacco di giovani nel mondo della musica, tutti orientati verso i circuiti più mainstream, così invecchiare per me significa non essere più limitata al mercato pop, mi dà maggior libertà, mi dà opportunità più ampie per scrivere quello che voglio veramente. Mi toglie una certa dose di pressione. E poi questo è un ottimo momento per essere un artista, con tutto quello che succede nel mondo. Ci sono cose attorno a noi che hanno bisogno di qualcuno che dia loro voce. È tipico della storia dell’umanità, momenti in cui c’è bisogno di formulare una espressione culturale, il bisogno di voci che ci aiutino a capire cosa succede, come accaduto in passato grazie a gente come Bob Dylan o Joni Mitchell. È un bel momento se sei uno scrittore, poterti guardare attorno e cercare di esprimere quello che accade.”.

Non posso fare a meno che citare nuovamente il suo amico comunista. “Steve Earle è fantastico” commenta. “Può scrivere di certi argomenti e farlo anche in modo poetico e allo stesso tempo in modo comprensibile a tutti. Invece molti di noi artisti di una certa età ci preoccupiamo di più nel non far incazzare i nostri ascoltatori, vedi Bruce Springsteen. Lui è un grande, ma non dice nelle sue canzoni quello che succede nel mondo di oggi, come fa invece Steve. Credo abbia paura, paura di essere troppo negativo. Grazie a Dio abbiamo Steve Earle”.
È una bella ammissione di onestà la sua. Infatti nel nuovo disco non ci sono vere e proprie canzoni politiche. Ce n’è invece una che si intitola Sending A Letter To God: “Mi trovavo in Europa nel periodo in cui componevo le nuove canzoni, con Lance (Armstrong, nda). Lui era sempre in giro ad allenarsi in bicicletta così avevo parecchio tempo per me. Guardavo spesso i telegiornali e i telegiornali in Europa sono molto diversi da quelli che siamo abituati a vedere in America, diversi nel modo di dire cosa succede nel mondo. In America ci dicono come è il tempo in Sud Africa o cosa c’è al cinema ma non mi aiutano a rispondere alle grandi domande che ho tutti i giorni a proposito di un mondo dove la religione ad esempio è sempre più l’argomento fondamentale. È un mondo religioso, questo, in cui ognuno cerca di capire quale Dio sia il vero Dio, andando però contro a quello che dovrebbe essere il vero significato della parola Dio. Ero in Spagna quando è morto il Papa e quando scoppiò contemporaneamente il caso Terri Schiavo, le persone combattevano fra di loro a proposito della morte di questa donna, ero davvero colpita e interessata nell’osservare le reazioni della gente. La vicenda ha sollevato in me molte domande: chi siamo, che significa ciò, come ci definiamo di fronte a cose come queste?”.

Nel brano Chances Are, uno dei migliori del lotto, c’è una frase un po’ sibillina. Escludendo a priori che possa essere autobiografica, che senso ha “Ero dentro, in prigione, a Los Angeles”? “Credo che qualunque artista la possa cogliere al volo. Per me L.A. rappresenta la città dove mi sono recata per diventare una cantautrice, una città dove dopo un po’ ti trovi intrappolata, imprigionata: devi frequentare un certo tipo di gente, devi andare a certi party, il mondo della celebrità ti cattura. Purtroppo oggigiorno il mondo della celebrità è diventato talmente grosso che finisce anche per colpire le vendite dei tuoi dischi e te stesso come persona. È una cosa buffa, in un certo senso, ma L.A. per me rappresenta la parte peggiore del gioco che devo giocare”.
Wildflower invece, in cui Sheryl ha inciso una delle più toccanti e riuscite performance vocali della sua carriera, dà anche il titolo al disco. È stato difficile scrivere un brano così? “Ci ho messo mezz’ora. (ride, nda). Per altre come Good Is Good ci ho messo una vita. Home, Riverwide, Redemption Song, le mie canzoni migliori cioè, mi vengono velocemente”.
Sebbene in passato abbia già fatto uso di quartetti d’archi, mai come nel nuovo disco si è potuto ascoltare, nelle canzoni di Sheryl Crow, un tale dispiegamento orchestrale: “Sapevo sin dall’inizio che volevo fare un disco che suonasse molto personale, molto riflessivo, molto intimo. Certe cose di Nick Drake sono sempre un riferimento per me, e questa volta più che mai. Proprio perché volevo un certo tipo di disco, mi sono rivolta a David Campbell, il padre di Beck. Ha curato lui gli arrangiamenti, gli davo una canzone per volta e lui ci lavorava. Lui è un grande compositore, è stata la prima volta che abbiamo lavorato insieme, Campbell è una vera ‘bomba’ (lo dice in italiano, nda)”.
Per la cronaca, per il suo prossimo tour Sheryl prevede di farsi accompagnare da una vera e propria orchestra d’archi.
I benefit sono una costante nella vita dell’artista americana, da quelli più impegnati come il sostegno a bambini orfani fino ad arrivare a contribuire all’apertura di un centro acquatico nella sua città natale: “È stato un modo per dimostrare tutta la mia gratitudine alla comunità in cui ero cresciuta e che mi aveva dato tanto . Quando sei così fortunato dal guadagnare molti soldi facendo quello che ami, qualunque cosa essa sia, credo sia necessario dare indietro qualche cosa, non per un senso di colpa ma per gratitudine. Le celebrità sono senz’altro più visibili della gente comune, possono avere un impatto molto forte quando si mettono in gioco, per cui fa un po’ parte di quello che siamo esporci in prima persona per cause che riteniamo abbiano bisogno di sostegno”.
Sheryl è anche il vice presidente della R.A.C., la Recording Artists Coalition, un ente fondato qualche anno fa da Don Henley per combattere la pirateria musicale on line. Si scopre un altro aspetto della donna, quello di un personaggio coinvolto in modo approfondito con la realtà e capace di sfoderare la grinta di un abile avvocato. Recentemente ha fatto il giro di Internet una sua lettera in cui condanna apertamente il sito di Grokster, dove è possibile scaricare musica gratuitamente: “La battaglia con Grokster è tutt’altro che finita. Non è facile combattere con queste realtà, sono sfuggevoli e molto abili, sono dure battaglie. Quello che si può cercare di fare è convertire questi siti pirati alla legalità, come fatto con Napster che poi è diventato la base di quello che è oggi i-Tunes. Il caso dei molti siti dove si possono scaricare i concerti dal vivo è molto diverso e ho un atteggiamento differente nei loro confronti. Chi fa il download dei concerti è come quel vecchio tipo di personaggio che andava nei negozi a comprare i bootleg. Quella gente, chi comprava i bootleg, erano di solito i veri fan, quelli che compravano anche tutti i tuoi dischi ufficiali. Non sono del tutto contraria, poi oggi ci sono organizzazioni come Clear Channel che dopo un concerto ti permettono di comprare la registrazione del concerto stesso. Ma certamente stiamo vivendo un’epoca di transizione tra il vecchio modo di usufruire della musica e uno nuovo che ancora non è stato possibile definire correttamente”.

Ho un’ultima domanda in serbo. Nel dvd relativo all’ultimo tour dei Rolling Stones, 40 Licks, c’è una apparizione di Sheryl Crow durante una sensuale Honky Tonk Women con uno splendente look da vera regina del glam anni 70. Come direbbe lei, una bomba. Io aggiungerei bomba sexy. Paragono questa performance a quella quasi religiosa, da perfetta purista della tradizione, che Sheryl fa del brano No Depression nel disco tributo alla Carter Family. Chi è la vera Sheryl Crow? L’amica del diavolo o la purissima folksinger di quello e di tanti altri tributi?
Se la ride: “Ehi, guarda che non c’è questa grande differenza. Se ascolti bene gli Stones troverai quanto le loro canzoni sono influenzate dalla musica di gente come la Carter Family o Jimmie Rodgers e tutto il vecchio country. Io adoro quella musica, amo alla follia il vecchio country. Anzi penso proprio che il mio prossimo disco sarà in quella vena. Non cover ma canzoni mie in stile old country”.
Alzo il pollice in senso di apprezzamento: faranno così anche i ciclisti quando vincono una tappa? Sarebbe proprio una bella tappa per Sheryl Crow, visto che sta per partire con il suo Lance (per il quale ha scritto la bella Always On Your Side nel nuovo disco) al seguito del Tour de France.
Esco dall’orribile hotel. Ho appuntamento con un mio amico in un vecchio pub distante pochi metri. Entro e respiro con piacere l’aria della vecchia Londra e penso: “La prossima volta lasciate gli alberghi super posh a Madonna o alle Spice Girls. L’intervista con Sheryl Crow organizzatela in questo pub”.

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