26/10/2015

Sophie Auster

Un terzo album raffinato per l’attrice e cantautrice di Brooklyn
Qualcuno probabilmente la ricorderà per il film Lulu On The Bridge o per The Inner Life Of Martin Frost; da allora è passato qualche anno e Sophie Auster, oltre all’obiettivo delle telecamere e delle macchine fotografiche, ha dimostrato di trovarsi particolarmente a suo agio anche dietro al microfono. Con i suoi occhi da cerbiatto e un naturale charme d’altri tempi, la newyorkese di Brooklyn, classe 1987, ha appena pubblicato Dogs And Men, il suo terzo disco, distribuito dalla divisione di Sony CEN/RED Distribution e prodotto da Jared Samuel (che ha già collaborato con Cibo Matto, The Ghost of a Saber Tooth Tiger, Plastic Ono Band). Uomini e cani, ragione e subconscio, l’amore e la sofferenza che da esso deriva (Men), il sogno e il surreale (Dogs). Figlia del regista e scrittore Paul Auster e della scrittrice e poetessa Siri Hustvedt, Sophie è cresciuta in mezzo ai libri, al cinema e all’arte. Non sembra affatto strano, dunque, se l’ispirazione per i suoi testi la cerchi nei versi di Emily Dickinson, William Blake o Tristan Tzara, come racconta lei stessa.
 
Una voce tutt’altro che banale, Sophie Auster in questi anni è cresciuta e con lei anche la sua musica, e, se a soli 18 anni ha debuttato con un disco che non può definirsi esclusivamente farina del suo sacco, Dogs And Men è un lavoro interamente suo, che la rispecchia e in cui ha lasciato una firma leggibile. Per Sophie Auster, il suo primo e omonimo album, la cantautrice scrive pochissimo e utilizza soprattutto testi di poesie surrealiste francesi che il papà Paul ha tradotto in inglese all’inizio della carriera. Il secondo è un progetto quasi di passaggio, si chiama Red Weather ed è un EP di 26 minuti che condensa mood differenti: il primo vero tentativo di lavoro autonomo per Sophie, che lo scrive e lo produce da sola. Dogs And Men è originale e raffinato, abbandona, anche se non del tutto, lo stampo tipicamente folk degli esordi, pur rimanendo fedele alla seducente tradizione delle torch songs. Non rinuncia ad atmosfere bluesy e vagamente jazz come accade in Little Bird o in Our Mistake, né alla sensualità di arrangiamenti semplici supportati da suoni caldi e coinvolgenti, come in I’m Going Down e Find That Girl. Bad Manners è una grintosa apertura per il disco, parla di vendetta e anticipa sonorità più moderne rispetto al passato, più chitarre elettriche e meno strumenti classici. Vale lo stesso per On My Way e Bow Tie Man, un alternative rock che non pretende di profumare di nuovo ma che ha comunque un suo stile ben definito. Undici tracce che alternano e fondono pop, folk e soft rock, e che riflettono un quadro abbastanza chiaro dell’autrice, timida e delicata ma anche grintosa e sicura di sé. Lontana dal lasciare tutti a bocca aperta per la complessità delle costruzioni armoniche o per il mero virtuosismo strumentale, Sophie Auster gioca bene la carta della sensualità vocale e dell’interpretazione sentita di testi che mettono a nudo l’anima.
 
È bella e brava, quindi, la cantautrice di Brooklyn, ha conquistato la copertina di importanti testate, da Vogue a Glamour, dal New Yorker a Rolling Stone, e magari chissà… tra qualche anno riuscirà a realizzare il suo sogno conquistando anche il palco del monumentale Madison Square Garden.
 
 

 

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