23/03/2015

Verdena

Il volume delle registrazioni è alto, a volte troppo. Ma si fa strada anche così, in maniera imprevedibile, la visione corale del gruppo bergamasco
A un certo punto Mauricio Kagel, compositore di musica classica estrema degli anni ’30, decise che nel suo spettacolo ci dovesse essere una mega rullata su sei timpani. All’ultimo colpo, però, il sesto timpano si doveva rompere e il musicista ci doveva finire all’interno con tutto il corpo, provocando l’Endkadenz. Allo stesso modo, immersi nel “timpano da orchestra dalla membrana di carta”, si sono ritrovati i Verdena.
 
I brani dell’album sono lievitati e si sono moltiplicati perché il registratore si è rotto. E in pratica la band, anziché attendere che venisse riparato, ha sfruttato la situazione per dare sfogo a nuovi stimoli compositivi, portando addirittura a 26 i pezzi originali (nel precedente Wow del 2011 erano 27 in un doppio cd, ma qui ci sono circa quaranta minuti in più per un totale di quasi due ore di musica). La casa discografica stavolta ha suddiviso la pubblicazione dell’album in due volumi (il secondo uscirà nei prossimi mesi).
 
Arrangiamenti estremizzati, quasi in controtendenza con i propositi e la prevedibile consequenzialità di Wow, e nati insieme alla scrittura dei pezzi stessi durante le jam session di Roberta Sammarelli e dei fratelli Luca e Alberto Ferrari: basso, batteria, chitarra, ma anche ad esempio ottoni campionati… e poi soprattutto c’è la voce di Alberto Ferrari, strozzata da una distorsione esasperata, che emerge in una decadenza trionfale nel brano di apertura Ho una fissa o anche in Sci desertico. Il volume delle registrazioni è alto, a volte troppo. Ma si fa strada anche così, in maniera imprevedibile, la visione corale del gruppo bergamasco, oltre che nell’immediatezza del primo singolo Un po’ esageri e in quella di Nevischio. Tutto diventa un unico strumento e segue una sua musicalità ordinatamente discontinua come in Derek o in Vivere di conseguenza. Tutti i brani sono slegati tra loro o legati in maniera originale, fino allo sfilacciato (o forse no) Inno del perdersi e alla mestizia dei circa sette minuti di Funeralus.
 
Rock, psichedelia, ma anche elettronica…
e fu così che, una volta caduti dentro il timpano, i Verdena ci portarono pure gli ascoltatori, soavemente rintronati da questo primo vortice e in attesa del secondo.
 
 

 

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