19/05/2021

Rock Poster 1940-2010. Il manifesto diventa arte

La storia dei poster del rock, da strumenti di promozione dei live a oggetti d’arte, nel nuovo libro di Martina Esposito edito da Vololibero
“A un passo dal fenomeno di massa, al rock ‘n’ roll manca un unico tassello: la promozione, ed è proprio qui che inizia la nostra storia”. E la storia cui si fa riferimento qui è quella dei poster dei concerti, manifesti che pubblicizzano i live delle grandi star della musica dal rock ‘n’ roll in poi. La medesima storia viene raccontata in Rock Poster 1940-2010 (Vololibero edizioni), nuovo libro di Martina Esposito. In circa 100 pagine la grafica, illustratrice e docente, che vanta peraltro collaborazioni importanti come quella con Marvel Entertainment per Netflix US, spiega come si sono evolute le grafiche, le tecniche e le idee stesse alla base dei poster che hanno fatto la storia e che sono storia, tanto quanto gli eventi per cui sono stati creati.All’inizio i manifesti ricalcano quelli messi a punto per gli incontri di boxe con i nomi degli artisti che si esibivano al posto dei pugili, ma un po’ alla volta cresce l’importanza dei poster e man mano vengono messi in risalto alcuni aspetti: uno di questi ultimi riguarda le pose iconiche delle rockstar, a cominciare da Elvis e dal suo movimento pelvico per un concerto a Jacksonville, Florida, del 1956, fino a quella di Freddie Mercury per il Live dei Queen allo Stadio di Wembley del 1986; tra i due eventi ne spicca poi un altro con relativa immagine che farà la storia: quella di Pete Townshend degli Who per un concerto al Marquee Club di Londra del 1965 mentre suona la chitarra facendo il windmill, celebre suo movimento/marchio di fabbrica, eseguito roteando il braccio per riprodurre gli accordi. “Se fino a quel momento la grafica musicale ha essenzialmente pubblicizzato gli eventi, – scrive Martina Esposito sempre a proposito del poster che raffigura Townshend – ora sceglie di documentarne le sensazioni” e poi – fa notare sempre l’autrice – “l’ideazione del prodotto non è più affidata alla tipografia, bensì a un artista” che nel caso specifico è Brian Pike.
Tutti questi momenti all’interno del libro sono documentati con il supporto di 36 immagini, di quei poster cioè che aiutano la narrazione, allo scopo di seguire di pari passo la storia del rock: tra questi non mancano ovviamente i colori della psichedelia di San Francisco con grandi nomi della grafica come quello di Rick Griffin, per citarne uno su tutti, prolifico nella sua attività al fianco dei Grateful Dead; c’è spazio inoltre per i grandi eventi, a partire dal Festival di Monterey del 1967 con un poster realizzato da Tom Wilkes; e ovviamente non può non esserci il punk con Jamie Reid a servizio dei Sex Pistols.
Il ruolo del poster è cambiato nel corso degli anni, perché è cambiata ovviamente la fruizione della musica o il supporto su cui la musica stessa è disponibile all’ascolto. E allora i manifesti diventano disegni realizzati attraverso tecniche che non possono prescindere dall’utilizzo dei computer, per poi divenire istantanee in funzione della condivisione sui social network, come avviene inevitabilmente in tempi più recenti.
Chiude il libro “Quando la musica rimbalza sul muro”, saggio breve dell’artista e storico del costume Matteo Guarnaccia.

Da semplici strumenti per la promozione dei live i poster divengono oggetti d’arte, da collezione e magari catalogati su siti Internet specifici.
Nel libro si racconta allora non solo come la storia inizia, ma anche come sta proseguendo… anche perché il sottotitolo è proprio Il manifesto diventa arte.

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