02/12/2013

Tom Waits, Rain Dogs

Gli emarginati di Tom Waits si specchiano nelle fotografie di Anders Petersen

No, quello in copertina non è Tom Waits, come molti erroneamente pensano. Per Rain Dogs (Island, 1985), sua nona fatica discografica, il cantante, attore e cantautore californiano ha scelto infatti uno scatto di Anders Petersen. Lily And Rose – i due soggetti fotografati – sono due habitué del Café Lehmitz, malfamato locale di Amburgo situato nella zona portuale, quella dei bordelli, dei locali a luci rosse e del divertimento notturno, dove sorgevano gli stessi posti frequentati dai gruppi r&b bianchi all’inizio degli anni ’60 – Beatles compresi.

La tenera disperazione espressa da Lilly e Rose è perfetta per le atmosfere da bordello di Rain Dogs, ispirato seguito di Swordfishtrombones, dove Tom Waits aveva vestito per la prima volta i panni del decadente bohèmien che si diverte a spaziare tra Dr. John e Captain Beefheart, country-blues e filastrocche tribali, abbandonando le fumose ballate pianistiche degli esordi.

Pur operando in campi diversi – musica e fotografia – Waits e Petersen rappresentano senza moralismi o luoghi comuni gli ambienti più disagiati ed emarginati della società capitalistica. In questa sua ricerca, Petersen ha scoperto il Café Lehmitz alla fine degli anni ’60, e per oltre tre anni vi ha trascorso la maggior parte dei suoi giorni (e notti) fotografando i clienti – marinai da tutto il mondo, tassisti, prostitute, ballerine, magnaccia – e immortalando quello stesso immaginario di “perdenti” che Tom Waits racconta nelle sue canzoni.

Grazie a questo imponente lavoro sul campo condotto in prima persona, Anders Petersen è considerato una figura centrale della fotografia del vecchio continente. L’immagine che poi diventerà la copertina di Rain Dogs è presa proprio da Café Lehmitz, primo libro del fotografo pubblicato in Germania dalla Schirmer/Mosel nel 1978 e in Francia l’anno seguente. «Le persone al Café Lehmitz avevano una presenza e una sincerità che mi mancava. Andava bene essere disperati, teneri, sedersi da soli o condividere le proprie emozioni in compagnia. C’era grande calore e tolleranza in quell’ambiente», ha dichiarato il fotografo. «La mia prima mostra l’ho allestita lì. C’erano trecentocinquanta immagini. Kurt – il barista – e io avevamo concordato che nel caso qualche persona si fosse riconosciuta in qualche fotografia, avrebbe potuto portarsela via e tenerla».

Waits ha probabilmente visto le opere di Petersen su un libro fotografico o a una mostra, e se n’è innamorato. Non c’è alcun dubbio che l’arte del fotografo e la mitologia della città tedesca abbiano fortemente ispirato il cantante, e The Black Rider – l’opera teatrale scritta con William S. Burroughs e andata in scena il 31 marzo del 1990 al Thalia Theater di Amburgo – lo dimostra.

E per quale motivo Rain Dogs? Che significa? «L’album parla di gente senza fissa dimora», ha dichiarato Waits. «A Manhattan, dopo che ha piovuto, si vedono in giro tutti questi cani che sembrano smarriti. La pioggia lava via gli odori. Non riescono più a orientarsi, a ritrovare la strada di casa. Tutte le persone di cui canto sono tenute insieme dal modo fisico con cui condividono dolore e disagio».

Un’ultima curiosità sulla copertina: il font della scritta è simile a quello impiegato per l’esordio su 33 giri di Elvis e per London Calling dei Clash. Sulla versione europea originale la scritta Rain Dogs è arancio, mentre su quella americana è blu.

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