02/11/2011

STEVE HACKETT

Oltre l’orizzonte

Due anni fa, con Out Of The Tunnel’s Mouth, Steve Hackett ci mandava a dire di essere fuori dal tunnel. Oggi, con Beyond The Shrouded Horizon, può finalmente guardare oltre l’orizzonte. Naturalmente, e chi conosce il mondo virtuoso e ben poco rock’n’roll dei Genesis lo sa bene, il suo tunnel non aveva a che fare con la droga, ma col posto dove lo hanno ripetutamente trascinato una ex moglie e un ex manager avidi: il tribunale. Oggi Hackett ha finalmente messo una pietra su quella dolorosa vicenda: «Tutto sistemato», ci dice al telefono, da Londra. «Ora sono assolutamente libero di lavorare con chi mi pare, ristampare dischi vecchi e pubblicare le cose nuove che voglio. Posso finalmente guardare al futuro con grande ottimismo».
Tornato nel suo habitat naturale (il giudice gli ha anche restituito gli studi di registrazione di Twickenham, che gli erano stati negati per l’album precedente, inciso facendo di necessità virtù nel soggiorno di casa), il chitarrista ha composto i brani del nuovo album insieme al fedele tastierista Roger King e a Jo, novella signora Hackett impalmata a giugno. «Potrà sembrare sorprendente, ma per quanto si possa pensare che Roger non contribuisce ai testi e Jo non partecipa alla composizione delle musiche, in realtà lo fanno spesso. Il disco, dunque, non è solo opera mia, ma di un team di persone. Sono molto aperto alle collaborazioni e preferisco tenere gli occhi aperti, perché spesso gli artisti tendono a ripetersi e i suggerimenti giusti possono anche arrivare da qualcun altro». Nei crediti, anche i nomi di Steve Howe e Jonathan Mover, già compagni di Hackett nel progetto GTR. «C’è un riff, che ho usato in maniera diversa in due canzoni, Turn This Island Earth e Prairie Angel, che risale proprio a quei tempi, mi è sembrato doveroso accreditarli». Ma Howe non è l’unico pezzo da novanta del disco. Chris Squire si alterna infatti al basso con Nick Beggs, creando una formidabile sezione ritmica con Simon Phillips nelle due canzoni finali, risalenti al 2007 e non utilizzate prima per le succitate vicende giudiziarie. La prima di queste, Catwalk, è un blues. Non una novità per Hackett, che alle 12 battute ha dedicato un album intero nel 1994 (Blues With A Feeling), ma stavolta con maggiore convinzione. «Quando abbiamo lavorato insieme, questa era la canzone preferita di Simon. A volte musicisti conosciuti per la loro tecnica e sperimentazione preferiscono le cose più semplici, e so che lui ha particolarmente apprezzato la mia performance alla chitarra e anche alla voce su questo brano. Di tutte le canzoni blues che ho fatto, credo che questa sia la più energica in assoluto. Era stato frustrante non poterla pubblicare su Out Of The Tunnel’s Mouth. Scrissi Still Waters proprio per reazione». L’altra canzone con Phillips e Squire, Turn This Island Earth, è anche la più complessa del disco. «È un viaggio virtuale intorno all’universo, con l’idea di visitare posti e pianeti diversi, dunque inizia sulla terra ma finisce su qualcosa che va ben oltre i limiti terrestri. Da ragazzino, amai molto il film This Island Earth, un’autentica rivelazione in un’epoca, gli anni 50, quando ancora non era possibile viaggiare nello spazio».
Inutile dire che la performance di Steve alla chitarra su tutto il disco è assolutamente spettacolare. «Il fatto è che questo mestiere mi piace ancora da morire. Quando ho paura di essere a corto d’immaginazione, ecco che la chitarra mi sorprende di nuovo. È uno strumento talmente espressivo che, ogni volta che sento qualcuno suonare un assolo, realizzo che c’è sempre qualcosa in più da tentare».
Non tutto il materiale è stato registrato nei MAP Studios («C’è anche qualche frammento registrato in una baita di Tilford, un piccolo villaggio nel Surrey, dove io e Jo andavamo a rifugiarci nei momenti peggiori degli anni passati»), ma l’album mantiene una grossa unitarietà stilistica. Anzi, le canzoni sono spesso collegate l’una all’altra, specie nella prima metà, dando quasi l’impressione di una suite, di un concept album. «Il fatto è che non so bene cosa si intenda con questo termine. Mi chiedo se i Pink Floyd hanno mai realizzato che, con Dark Side Of The Moon, stavano scrivendo qualcosa che in futuro sarebbe stato considerato un concept… Credo che il primo a fare un concept album sia stato Frank Sinatra, con Come Fly With Me. Anche il mio disco, come quello, riguarda i luoghi, ma pure la gente che vive quei luoghi. Non è certamente nato come concept album, ma dato che molte tracce si relazionano a vicenda, credo la maggior parte sia pervasa da un’idea organica. Le prime canzoni in particolare tendono a riecheggiare l’una nell’altra, con Loch Lomond che si fonde a The Phoenix Flown, mentre Wanderlust riflette quel tipo di armonie usate in precedenza». E in effetti anche i titoli degli ultimi due album sembrano l’uno il sequel dell’altro, no? «Sì, vanno a braccetto. Forse anche perché il materiale più recente si miscela a cose che avevo registrato prima di Out Of The Tunnel’s Mouth, ma non avevo potuto utilizzare».
La consueta moltitudine di influenze porta Steve parecchio lontano, questa volta. Basta ascoltare la melodia orientale su Between The Sunset And The Coconut Palms. «È un violino doppiato da un sintetizzatore che suona lo stesso tema, che nella parte conclusiva si trasforma, grazie a strumenti come banjo, penny whistle e fisarmonica, in una sorta di festa rurale». E che dire di Waking To Life? Per esempio che, per la prima volta dal 1978, Hackett lascia cantare una canzone intera a una voce femminile, quella di Amanda Lehmann (sorella di Jo). «Volevo fare un raga-rock influenzato dalla psichedelia e dalla dance. Quindi le sonorità indiane della chitarra sitar si uniscono alle influenze folk degli anni 60 e dance degli anni 80. Adoro sperimentare con gli strumenti. Su A Place Called Freedom, per esempio, usiamo chitarra a 12 corde, banjo, ukulele, armonica e scacciapensieri, in un paio di altre canzoni mando dei nastri al contrario. Ma è fondamentale anche il ruolo degli archi: Christine Townsend al violino, Dick Driver al contrabbasso e il povero Richard Stewart al violoncello, purtroppo scomparso poche settimane fa».
La sezione archi brilla anche su Pieds en l’air nel brano del compositore classico Peter Warlock, su cui, curiosamente, Steve non suona. «Ero tentato, e potrei farlo in futuro per una nuova versione, anche perché, a quanto pare, Warlock fu originariamente influenzato dalla musica per liuto. Ma stavolta ci tenevo che gli archi avessero il giusto spazio; se avessi sovrapposto la mia chitarra, sarebbero inevitabilmente risultati meno in evidenza».
Questo brano è incluso nella Special Edition dell’album, insieme ad altri 9, per un bonus cd da circa mezzora. Materiale interessante, ma per i fan più sfegatati con qualche doppione. Come Re-Conditioned Nightmare (rifacimento di Air Conditioned Nightmare, da Cured del 1981) e la cover di una sezione della suite Eruption dei Focus, Tommy, entrambe già incluse nella versione giapponese di Darktown. «Avevo concesso questi pezzi ai discografici giapponesi per quel mercato e non avrei voluto riutilizzarli, ma mi sembrava un peccato non farli ascoltare a tutti. Specie Tommy, che ha una melodia di chitarra davvero bella che, mi dicono, ha influenzato in seguito anche Santana». Lo stesso destino tocca ad altre due canzoni, opportunamente rinominate e ora parte della breve suite strumentale chiamata Four Winds. «Mi spiace se questo crea confusione nei fan, ma credo che valga la pena ascoltare l’effetto globale. Ci tenevo che la Special Edition rappresentasse un bonus con una sua precisa identità, e non mi sono curato più di tanto di eventuali pubblicazioni precedenti». Anche Enter The Night è un parziale riciclo, trattandosi di una versione aggiornata di Riding The Colossus, per la prima volta con un testo. «Avevo scritto delle parole molti anni fa e l’avevo anche registrata, ma non mi convinceva. Così ho riscritto il testo e ora sono contento di aver portato a termine una versione cantata del brano, dal sound molto immediato».
Steve Hackett non lavora mai con un solo progetto in mente. Negli ultimi mesi ha collaborato ai dischi di svariati artisti (fra cui Steven Wilson e John Wetton), è ospite fisso estivo della band ungherese di etno-jazz Djabe, ha improvvisato sul palco con la star della tromba Randy Brecker in Polonia (una versione di Voodoo Chile di Jimi Hendrix) e con i Goblin in Italia, e ha in serbo ulteriori sorprese, a cominciare dal progetto Squackett, in coppia con Chris Squire, che finalmente uscirà il prossimo anno.
Mentre leggete queste righe, l’artista ha già iniziato il suo Breaking Waves Tour ed è atteso a breve il dvd filmato nel novembre 2010 allo Shepherds Bush di Londra. Ma cos’altro si intravede, oltre l’orizzonte velato? «Ci sono molti programmi, molti sogni, molte idee… Per me questo è probabilmente il periodo più impegnato della mia carriera e c’è già chi mi chiama stakanovista. Ma non m’importa. Mi sento ancora forte come un leone e voglio approfittarne, perché so che le lancette dell’orologio continueranno a girare, che io sia d’accordo o meno».

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