All’inizio degli anni Sessanta William Young decide di lasciare la Scozia per portare la moglie e i suoi otto bambini in Australia, Paese in forte crescita economica. Appena compiuti 15 anni entrambi i figli più piccoli, Malcolm (1953) e Angus (1955), smettono di tormentare i loro insegnanti e lasciano la scuola per cercarsi un lavoro. Ben presto però si accorgono che un lavoro “9 to 5 ” non fa per loro, d’altronde un impiego in una fabbrica di reggiseni perde facilmente appeal se quando torni a casa la trovi circondata di ragazzine che urlano il nome del tuo fratello più grande (George), diventato una star nazionale con gli Easybeats. Malcolm decide così di tentare la carriera del musicista e Angus lo segue a ruota. Dopo qualche esperienza in diverse band locali, decidono che in Australia c’è gran fame di rumoroso rock’n’roll e mettono insieme un gruppo con Larry Van Knedt (batteria), Colin Burgess (basso) e Dave Evans (voce). Il quintetto esordisce il 31 dicembre 1973 proponendo un set di cover di Chuck Berry, Beatles e Rolling Stones, e nell’aprile successivo incide il primo singolo grazie all’aiuto di George che, scioltisi gli Easybeats, lavora come produttore per la Albert con l’ex compagno Henry Vanda. Fin dagli inizi Angus si presenta sul palco indossando una divisa da scolaro, in ricordo dei tempi in cui appena finite le lezioni si precipitava a suonare senza nemmeno passare da casa a cambiarsi, e suona gli assoli agitandosi come un ossesso nel tentativo di attirarsi le simpatie degli ubriaconi che popolano il circuito di locali frequentati dalla band. Trovandosi sempre più spesso ingaggiati in occasione di serate gay, i ragazzi si rendono presto conto che nello slang locale AC/DC significa “bisessuale”, ma accettano qualsiasi ingaggio, determinati a farsi conoscere da più gente possibile.
Nel settembre ‘74 i fratelli Young allontanano Dave Evans, esasperati dai suoi atteggiamenti divistici e dal suo look glam che contrasta con l’immagine dichiaratamente proletaria del resto del gruppo. Tramite un amico comune si ritrovano a jammare con un brutto ceffo di nome Bon Scott che ha già alle spalle esperienze con Valentines e Fraternity e ha appena passato un mese in trazione a causa di un grave incidente motociclistico. Pur avendo iniziato la sua carriera come batterista, Bon è un frontman nato, un sanguigno animale da palco in grado di far schiodare le terga dalle sedie anche al pubblico più indolente, di spezzare cuori, spaccare teste e di provocare la chiusura anticipata di un pub quando dopo un concerto decide di festeggiare con una bevuta. Successivamente la band si mette alla ricerca di un bassista, visto che Rob è troppo alto rispetto agli altri che non superano il metro e settanta, e di un batterista che riesca almeno a tenere il 4/4. Prima ancora di trovare i sostituti viene inciso il primo album High Voltage (1975), discreto lavoro che risente della realizzazione affrettata, ma che consente agli AC/DC di diventare molto noti a Melbourne, città diventata la loro nuova base operativa. Proprio dalla scena locale vengono i due nuovi membri Mark Evans (basso) e Phil Rudd (batteria, precedentemente nei Buster Brown insieme al futuro frontman dei Rose Tattoo Angry Anderson).
A luglio la formazione è rodata a sufficienza e si torna in studio per preparare T.N.T. che esce nel febbraio del 1976 e mostra un songwriting decisamente affinato. Ormai la fama è consolidata in tutto il Paese: è giunto il momento di programmare un tour in Gran Bretagna, reso possibile dall’appoggio offerto dalla Atlantic inglese. A marzo, prima di abbandonare la madre patria, i cinque registrano Dirty Deeds Done Dirt Cheap, che uscirà solo nove mesi dopo rivelandosi ancora migliore del suo predecessore.
Appena sbarcati a Londra scoprono che il loro tour a supporto dei Back Street Crawler è sospeso: l’ex Free Paul Kossof è appena morto di overdose. L’incrollabile entusiasmo della band non viene meno ed inizia una serie di concerti nei locali di Londra. Il pubblico, stufo degli atteggiamenti da star di mostri sacri quali Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin, apprezza immensamente una proposta musicale così semplice, sincera e divertente. Qualche giornalista critica la rudezza degli australiani, ma i più apprezzano la vitalità delle esibizioni, così gli AC/DC diventano l’anello mancante tra il punk in ascesa e il vecchio hard-rock più stantio. Se in Europa la loro fama è in costante ascesa, negli States continuano ad essere praticamente sconosciuti, tanto che la Atlantic vi rinuncia a pubblicare il nuovo album. Visto che le autorità americane hanno rifiutato il visto a Bon Scott dopo aver visto la sua fedina penale (era stato arrestato a 16 anni) la band torna in Australia per preparare il quarto album nei soliti Albert Studio. Pur essendo costantemente incalzati da un’attività concertistica a dir poco massacrante, i cinque riescono a trovare la concentrazione necessaria a dar vita ad una vera e propria pietra miliare nella storia dell’hard rock.
Let There Be Rock, primo disco del gruppo ad uscire in contemporanea in tutto il mondo, è una sintesi perfetta dell’universo sonico e lirico degli AC/DC. Il processo produttivo segue la filosofia live del gruppo, che registra tutti i brani in presa diretta sovraincidendo in un secondo tempo solo la voce e gli assoli. Al momento di entrare in studio la band chiede a George ed Henry di dare alle chitarre un suono più potente possibile: gli amplificatori vengono spremuti al massimo e le conseguenze non tardano ad arrivare. Un giorno Angus, che sta suonando un assolo contorcendosi come se ci fosse il pubblico, nota che i compagni lo guardano ridendo dall’altra parte del vetro. Voltatosi, nota con orrore che dal suo Marshall esce un fumo a dir poco sospetto; torna a guardare in cabina di mixaggio e vede George che gli fa segno di non interrompere, pronto a rischiare l’incolumità del fratellino pur di mettere su nastro la sua brillante performance.
Aneddotica a parte, il disco sprizza energia da ogni solco: le chitarre celebrano tanto la straordinaria sensibilità ritmica di Malcolm quanto l’esplosività delle improvvisazioni di Angus e le canzoni sono tutte magnifiche, tant’è che trentacinque anni dopo gli AC/DC continuano a suonare metà album ad ogni concerto. Apre le danze Go Down, un accorato invito che Bon rivolge ad una sua caliente ammiratrice soprannominata Lips (labbra), dedicandosi poi a mettere tutti in guardia dalle insidie del music business con Dog Eat Dog. La monumentale Let There Be Rock inframmezza strofe che riassumono l’avvento del rock’n’roll negli States a tiratissime parti di chitarra condite dai soliti illuminanti assoli blues. L’energica Bad Boy Boogie è un altro classico: il ragazzaccio Angus la sfrutta da decenni per calarsi le brache davanti al suo pubblico, tanto che solo qualche affermata modella internazionale può affermare di aver mostrato le proprie chiappe a più persone di lui. Nonostante Bon possa descrivere di persona l’esperienza di un overdose, non parla di droga ma descrive in modo un po’ malinconico la dipendenza da una donna. Lo stesso mood è ripreso nella successiva Crabsody In Blue, una sgangherata ballata blueseggiante inopportunamente sostituita dalla pur ottima Problem Child nell’edizione internazionale del disco. Il gruppo torna a pestare sodo con Hell Ain’t A Bad Place To Be che ancora una volta quel romantico etilista di Bon Scott dedica all’amore, in particolare alla poco salutare abitudine di farsi calpestare moralmente dalla propria compagna.
Sette canzoni, sette centri pieni, ma la band ha ancora in serbo l’irresistibile rock’n’roll di Whole Lotta Rosie, ispirata a una cicciona originaria della Tasmania con la quale Bon ebbe il piacere di dissertare di filosofia (a pagamento…). La canzone è ancor oggi uno dei più rappresentativi esempi dell’inarrestabile carica vitale posseduta dall’hard boogie dei quintetto.
La band a questo punto ha di fronte a sé un futuro in ascesa, e la sua incrollabile fiducia nella propria musica la porterà a superare ogni ostacolo. Il 20 febbraio 1980 Bon, dopo una serata di bevute, si addormenta in auto e muore soffocato dal proprio vomito. Nonostante la gravissima perdita, il gruppo prosegue e con Brian Johnson (Geordie) realizza nello stesso anno il suo più grande successo commerciale con Back In Black. Pur privi di un autore di testi all’altezza di Bon, gli AC/DC continuano a celebrare donne e sesso, successo, whisky e la forza vitale del rock, in barba ai soliti benpensanti e alle mode che si succedono a ritmo frenetico. E anche se ora si spostano in limousine, continuano a suonare in jeans e maglietta e i loro concerti sono tuttora una delle esperienze più emozionanti alle quali un appassionato di rock possa assistere.
DISCHI DELLA MEDESIMA VENA ARTISTICA
D.A.D. / Riskin’ It All (Warner, 1992)
Nati come Disneyland After Dark, questi quattro danesi non amano prendersi troppo sul serio, proprio come gli AC/DC. Nonostante la loro fonte d’ispirazione sia palese riescono a personalizzare il proprio sound grazie a parti soliste piuttosto riconoscibili, guadagnandosi un buon seguito dal vivo grazie a qualche trovata bizzarra come il basso a due corde a forma di razzo. A partire dal terzo album No Fuel Left For The Pilgrims (1989) passano su major e iniziano ad affermarsi all’estero. Tre anni dopo pubblicano Riskin’ It All, il loro lavoro migliore, zeppo di brani trascinanti e successivamente iniziano ad indurire la loro musica perdendo per strada qualche fan.
Angels / Face To Face (Albert, 1978)
Eroi dell’underground australiano, devono il loro esordio discografico all’appoggio di Angus Young e Bon Scott che gli permisero di incidere il debutto omonimo per la Albert nel 1976. Come tutte le band del loro Paese incontrano non pochi problemi a farsi conoscere all’estero, nonostante questo convincente secondo album e l’altrettanto piacevole No Exit (1979). Da notare come molti loro album escano a nome Angel City per evitare l’omonimia con una band americana. Dopo una pausa di riflessione a cavallo degli anni Ottanta e Novanta tornano insieme nel 1996 per la gioia di tutti coloro che apprezzano il loro hard rock schietto ed energico.
Turbonegro / Apocalypse Dudes (Bitzcore, 1999)
La battaglia in nome del rock’n’roll combattuta dagli AC/DC in Australia negli anni Settanta viene portata avanti, vent’anni dopo, da questo seminale gruppo di pervertiti norvegesi. Anche se sono più vicini al punk e al glam che al sanguigno boogie rock del quintetto di Sydney, la loro carriera ispira una miriade di band scandinave (tra le quali si distinguono Backyard Babies e Gluecifer) che negli anni Novanta inducono la critica a coniare il termine scan-rock. Nel ‘98, quando Apocalypse Dudes deve ancora essere pubblicato sui mercati internazionali, la band si scioglie per poi tornare a lavorare su un nuovo disco quattro anni dopo.