11/05/2007

Beck

L’ultimo eccentrico del rock

Rieccolo Beck Hansen, il guru del cut and paste sonoro, della canzone degli anni 90 pensata con un frullatore sonico in mano. Rieccolo con un disco nuovo, Guero, che ancora una volta, dopo l’intimista e bellissimo Sea Change, ci spiazza con un ritorno al passato, alla stratificazione di suoni e melodie, riproponendo temi a lui cari ai tempi di O-De-Lay e Midnite Vultures.

Per quelli che hanno amato Sea Change e le emozionanti canzoni scritte da un Beck che si è messo a nudo, è sicuramente una sorpresa. E lo è anche per i fan del cut and paste selvaggio. Ma c’era da aspettarselo da uno come Beck. Ripetersi senza battere nuove strade non è mai stata una sua prerogativa. Se si scorre la sua discografia si capisce quanto si sia tenuto in continua evoluzione e quanto sia stato camaleontico nel suo viaggio a 360 gradi nella musica popolare contemporanea.

——————————————————————————–

Il camaleonte

Mellow Gold, il disco che conteneva Loser (anthem di cui si impossessò la cosiddetta Generazione X e che fece conoscere Beck a molti), era un incontro riuscito di elementi fino ad allora difficili da pensare insieme: l’hip-hop, il country, il blues, l’indie rock e il low-fi.

Per salvaguardare la sua creatività esplosiva, l’artista impone a David Geffen (il boss della omonima casa discografica) di mettere una clausola nel contratto secondo cui, se vuole, può pubblicare dischi, firmati con il suo nome, anche con altre etichette. Il risultato immediato sono due dischi spiazzanti: Stereopathetic Soulmanure (armoniche e white noise, kazoo e chitarre hawaiane, bluegrass, country e low-fi) e One Foot In The Grave (l’estetica low-fi che incontra il country, il blues mischiato al noise), che però, anziché inflazionare il personaggio o svilire l’immagine forte creatasi attraverso Mellow Gold e Loser, gli dà ancora più forza e lo rende figura di culto degli anni 90. Poi due anni di silenzio, coperti dal rumore mediatico, dall’entusiasmo dei numerosissimi fan, da etichette che la stampa gli mette addosso, da Bob Dylan del 2000 a dadaista hip-pop.

Intanto Beck pensa O-De-Lay, al momento considerato il suo capolavoro. Un disco in cui la trama si ispessisce, in cui fa zapping sonoro e mette in atto un lavoro certosino di cut and paste, di stratificazione dei segni opposti, oltre che pensare a un maestoso lavoro di accumulazione di ritmi, percussioni, tambureggiamenti, drum machine e altro ancora. Il risultato è un blob musicale da urlo, che lo consacra come uno dei grandi artisti degli anni 90. Ma quando ormai la formula sembra consolidata, Beck dà alle stampe Mutations, un disco di ballate country folk in cui non c’è traccia di cut and paste, in cui il frullato sonico che lo ha portato al successo non esiste nel modo più assoluto. La Geffen parla di Mutations come di un disco transitorio, un’uscita da considerare non ufficiale. Un modo carino per rassicurare i fan storditi da questo repentino cambiamento artistico.

Poi arriva Midnite Vultures. L'”avvoltoio di mezzanotte” si avventa con nuova foga su un mare di suoni, ribadendo, sia pur con nuove formule, nuovi sample, nuove coordinate musicali, il concetto di accumulazione selvaggia di ritmi e loop tra loro contrastanti. Ma il nomadismo sonoro di Beck non si ferma e lo riporta a un disco che è il fratello maggiore di Mutations: Sea Change. Un disco monocromatico, tendente a un blu che è tipico di dischi malinconici. Lontano anni luce dal puntinismo colorato di O-De-Lay e Midnite Vultures.

Insomma, Beck è da sempre artista zigzagante, sorprendente, imprevedibile. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Basta leggere alcune sue dichiarazioni nel corso degli anni per capire quanto il zig zag artistico sia nel dna di Beck. “Nell’arena del rock si chiede agli artisti di essere monodimensionali, di crearsi un’immagine facilmente riconoscibile. Io al contrario amo fare cose complesse, ambivalenti”, dichiarava ai tempi dell’uscita di Sea Change. Sempre in sfida con sé stesso, qualche mese fa diceva: “Mi sento come se dovessi provare ogni volta qualcosa a me stesso. Come se la terra non fosse mai ferma sotto i miei piedi e fossi costretto a muovermi continuamente. Ma al di là di questa continua fame di movimento e di cambiamento, credo che mi abbia aiutato molto il fatto di essere ebreo. Un ebreo che legge la Torah (i cinque libri di Mosé, ndr), secondo gli insegnamenti che ne può dare cento diverse interpretazioni. Questo mi ha sicuramente insegnato a guardare alle cose da angolazioni sempre diverse e numerose”.

In più, a tutto questo, si aggiungono una creatività esplosiva e un desiderio di non chiudersi in gabbie artistiche. “Mentre facevo Guero”, ha dichiarato alla rivista americana Filter qualche settimana fa in occasione dell’uscita del nuovo album, “ho rimesso le mani su una mole numerosa di canzoni che sono rimaste fuori da O-De-Lay. Guero (la title-track del nuovo disco, in cui canta in quello che negli States viene definito splanglish, un guazzabuglio di inglese e spagnolo, nda) mi ha fatto venire voglia di fare un disco in spagnolo. E ho già diverse canzoni pronte. Mi aiuta a non sentirmi in gabbia, in una prigione, soprattutto quando sono in tour o quando sto ore e ore in uno studio di registrazione, a lavorare a un disco.”

——————————————————————————–

Uno spirito libero

Beck è stato addestrato ad essere uno spirito libero, ad essere creativo. Cresciuto in una famiglia di artisti (la madre, Babbie Hansen, aveva lavorato alla famosa Factory di Andy Warhol; il nonno aveva fatto parte del movimento artistico Fluxus; il padre, David Campbell, è un arrangiatore che in passato ha lavorato con gente come Eric Clapton, Alanis Morissette ed è stato artefice dei bellissimi arrangiamenti di Sea Change), cresciuto in una zona di Los Angeles che ha visto nascere il fenomeno punk (negli anni 70 ha vissuto in un edificio che era proprio di fianco al Egyptian Theatre, in Hollywood Boulevard e a pochi passi dal Masque, locale di punta per la scena punk californiana), fin da piccolo Beck ha iniziato ad accatastare tasselli per quella che oggi è una vera e propria conoscenza enciclopedica di idiomi musicali tra loro diversi. Chi lo conosce dice che è capace di ricordarsi ogni singola nota di centinaia di canzoni di qualsiasi genere: country, blues, bluegrass, funk, r&b, punk, glam, tropicalia, pop, hip-hop.

La madre qualche anno fa dichiarò al New York Times di ricordarsi di lui, quando non aveva nemmeno 10 anni, nella sua cameretta, intento a lavorare su cassette su cui assemblava già suoni, poesie, abbozzi di canzoni e accordi sulla chitarra. Con il fratello Channing, a 14 anni, dà vita a una fanzine (Youthless) dedicata alla poesia e all’arte del collage, collage che egli stesso crea in modo quasi ossessivo (e che sono stati esibiti in una mostra, nel 1998, al Santa Monica Museum Of Art).

Ma la cameretta e la fanzine a Beck, ben presto, iniziano a stare stretti. Prende e se ne va a New York, dove entra a far parte della scena neo folk, insieme a gente come Cindy Lee Berryhill, Kirk Kelley, Paleface e Roger Manning (che diventa il suo tastierista di fiducia). Poi fa un demo (The Banjo Story). Torna a Los Angeles, sfiancato da una vita newyorchese quasi da homeless (ma che, come diceva Beck, “mi ha fatto sicuramente crescere”). Inizia a suonare costantemente in un club (The Onyx), in cui la media dell’audience ai suoi concerti si aggira intorno alla ventina di persone.

Intanto, di giorno, fa un sacco di lavori diversi. Commesso in una videoteca, facchino, cuoco di hot dog in quei baracchini ambulanti che si vedono per le strade delle metropoli americane.

Ma poi arriva Loser e tutto cambia in un baleno.

——————————————————————————–

Vita nuova

Oggi Beck è un artista che ha venduto 4 milioni e passa di copie. È sicuramente una priorità per una multinazionale come la Universal (che distribuisce in tutto il mondo il suo disco). Dovrebbe quindi essere diverso anche l’approccio che Beck ha nella realizzazione di un album. O forse no, conoscendo il personaggio, assolutamente non associabile a logiche di mantenimento di un’immagine o di un suono vincente.

Di sicuro c’è che Sea Change era frutto di un momento difficile per lui (anzitutto la rottura del rapporto con Winona Ryder che durava da molto tempo). Quell’album ha in qualche modo aiutato Beck ad esorcizzare questa perdita (anche se questo senso di perdita lo si percepisce anche oggi, nei testi di Guero).

Oggi si ripresenta al mondo con una vita privata nuova (si è sposato nell’aprile 2004 con l’attrice Marissa Ribisi e la scorsa estate ha avuto un figlio), una band nuova (i due artisti che lo hanno sempre accompagnato in passato, Roger Manning e Joey Waronker, appaiono come guest in alcuni brani, ma, visti gli impegni di Joey come batterista dei R.E.M., Beck ha reclutato nuovi musicisti).

Da quando, nell’estate del 2003, Beck inizia a lavorare ai brani per il suo ottavo album, dimostra come sempre di voler battere nuove strade. “Ho registrato l’ultimo disco senza imbracciare una chitarra elettrica. Poi sono stato per un anno e mezzo in tour proponendo le canzoni di Sea Change. Alla fine ero veramente stufo di chitarre acustiche. Ed ero stufo anche di un suono non molto aggressivo come quello di Sea Change. Ho capito di avere assoluto bisogno di suonare e scrivere pezzi con la chitarra elettrica. E poi, se mi guardo indietro, la chitarra elettrica non è uno strumento che ho sfruttato molto nei dischi.”

Qualcuno inizia già a pensare a una svolta garage per il nuovo album. Quando poi si spargono le voci di una collaborazione con Jack White dei White Stripes, il gossip e i sospetti di una svolta di questo tipo si fanno ancora più forti. Beck però smorza le voci dichiarando che Jack ha semplicemente restituito un favore. “Mi aveva chiesto di partecipare al video di The Hardest Button To Button. Io gli ho chiesto di venire a suonare e buttare giù qualche idea per un brano del nuovo disco (Go It Alone, uno dei pezzi più convincenti dell’album, nda). Ed è stato veramente un piacere lavorare con lui. È elettrizzante il modo in cui suona.” E la cosa strana (ma sicuramente non per Beck) è che Jack in Go It Alone suona il basso, strumento mai contemplato nella realizzazione della musica dei White Stripes.

Chitarre elettriche e Jack White in ogni caso fanno pensare a un ennesimo zig zag, questa volta in territori rock. Ma quando, dopo alcune notizie controverse sulla produzione (prima si sparge la voce che produttore del disco è Nigel Godrich, poi che è Dan The Automator) sulla produzione, si viene a sapere che a lavorare con Beck sono i Dust Brothers (già all’opera con lui in O-De-Lay e Midnite Vultures), si capisce quanto Guero possa essere un ritorno al passato. I dubbi sul produttore (per Beck una scelta importante, visto che per lui, solista, sono gli unici interlocutori con cui confrontarsi, come spesso dichiara quando si parla di figure come i Dust Brothers, vedi anche il box a pagina 36) fanno comunque allungare i tempi di realizzazione del disco. Se a questo ci si aggiunge il fatto che sia lui che i Dust Brothers sono famosi per essere dei perfezionisti, in fase di produzione, si può capire perché l’intervallo tra Sea Change e Guero sia il più lungo mai trascorso finora tra un disco e l’altro di Beck.

Ma lui non si preoccupa. Non si preoccupa quando si decide che il disco, anziché uscire il 25 ottobre, esce il 19 marzo 2005. Qualcuno inizia a dire che Beck ha paura di pubblicare l’album. Lui, nel numero della rivista inglese Clash Magazine dello scorso mese dice: “Non penso che sia una questione di paura. È solo che quando si lavora con i Dust Brothers, ci vuole un po’ più di tempo. Loro sono aperti a mille soluzioni diverse e quindi si lavora tanto sulle canzoni. Magari poi si ritorna alla formula iniziale del brano. Ma intanto si è tentato di imboccare altre strade. Questa attitudine mi piace parecchio, anche se vuol dire stare un po’ di più in studio e lavorare, magari come per questo disco, per 14 mesi. Ma non è un problema… E poi bisogna anche mettere in conto il processo creativo e le canzoni. Le canzoni a volte le trovi subito. A volte no. È come andare a pescare, sperando di beccare qualcosa. A volte in due ore fai il pieno. A volte in una giornata non prendi nemmeno un pesce”.

——————————————————————————–

Autocannibalismo

Beck si dimostra inflessibile anche quando il disco viene messo on line. Iniziano infatti a girare parecchi brani che si dice appartengano a Ubiquitus (questo il titolo dell’album che era girato on line). La casa discografica corre ai ripari. I brani on line, dichiara, sono canzoni non definitive (un po’ quello che si era detto con i Radiohead ai tempi dell’uscita di Hail To The Thief). E per gli States si decide di far uscire, in tiratura limitata, un cd con confezione deluxe, contenente, oltre alle tredici canzoni di Guero, tre bonus track e quattro remix, oltre che un dvd con materiale video e due clip.

Ma a Beck, anche questa vicenda dell’album on line non sembra interessare molto. Interpellato a riguardo risponde: “Sono la persona sbagliata a cui chiedere cosa penso dei download. Non ne so molto di Internet, non ho un cellulare. Sono una persona poco tecnologicizzata da questo punto di vista”.

Ora comunque il disco sta per uscire. Non è un disco rock. Non è un disco garage. Non è più un disco intimista come lo è stato Sea Change, anche se Beck dice che è un mix tra l’ironia che ha sempre accompagnato le sue canzoni e l’introspezione e l’emozionalità dell’album precedente. C’è un ritorno alle rime dadaiste, ai nonsense rap del passato. I ritmi sono spesso curati e portano chiara la firma dei Dust Brothers (soprattutto nelle battute del funk futuristico e urbano di Hell Yes e nelle bellissime sincopi trip-hop di Earthquake Weather). L’approccio funk che aveva incendiato Midnite Vultures viene riproposto in Hell Yes, ma soprattutto in Rental Car e Go It Alone, anche se si nota un’attitudine più rock che dà ai brani ancora più groove (grazie soprattutto al basso in odore di desert rock di Jack White in Go It Alone).

Il rock c’è quindi, come detto. C’è anche nel blues funk di Black Tambourine, incendiata da riff quasi rollingstoniani e nel funk rock groove di E-Pro. Ritorna l’interesse, già dimostrato in Mutations, per la musica brasiliana nella bellissima Missing, in cui, a parte l’attenzione per quei suoni tropicalisti, Beck ci regala arrangiamenti per archi che fanno pensare alla tradizione bollywoodiana. Ci sono diversi passaggi in cui si dimostra in linea con il cosiddetto movimento pre war (quello di artisti come Antony & The Johnsons, Devendra Banhart, Coco Rosie e altri, che pescano in un passato remoto della musica, quello, appunto, che appartiene al periodo precedente alla Seconda guerra mondiale). Basta ascoltare la chitarra o la voce crooner di Missing, oppure la battuta jazzy, sincopata, di Black Tambourine.

In molti brani si fa avanti il blues (quello che lo aveva accompagnato nei suoi esordi). Ascoltare Farewell Ride, il bellissimo blues desertico e notturno di Broken Drum o il blues lisergico di Scarecrow per capire.

Insomma, come sempre c’è tutto e il contrario di tutto in Guero. L’impressione finale? L’avvoltoio in passato ha sempre frullato ogni cosa. Oggi, sarà perché ormai il patchwork musicale è quasi diventato un suo marchio di fabbrica, Beck sembra ormai arrivato a cannibalizzare sé stesso.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!