01/11/2019

Beyond, il ritorno dei There Will Be Blood – Intervista

Nuovo concept album dopo la trilogia conclusasi tre anni fa, una formazione più ampia e altre novità nel “raw blues” dei There Will Be Blood
(Foto di Simone Marazzi)
 
Blues, funk, rock ‘n’ roll, riferimenti alle colonne sonore western. Tutto molto crudo, diretto, grezzo. Loro lo sintetizzano come “raw blues”.
Sono i There Will Be Blood, gruppo di Varese nato nel 2009 e che ha pubblicato da poco il suo nuovo album Beyond. Dopo la precedente trilogia del viaggiatore solitario che si è chiusa con Horns nel 2016, la band ha pubblicato un nuovo concept basato sulle vicende sovrannaturali di un ragazzo in lutto per la scomparsa della madre. La storia e le immagini legate ai brani sono presenti in formati diversi a seconda del tipo di edizione. Il nuovo lavoro è disponibile infatti in versione cd, vinile e digitale. La copertina è di Martin Wittfooth, artista americano che ha realizzato anche le cover per Hollow Bones e Feral Roots, gli ultimi due album dei Rival Sons.
Beyond è stato inoltre pubblicato con una formazione che adesso è composta da cinque elementi anziché tre e che si è evoluta anche “a distanza”, quando il cantante Davide “Kowalski” Paccioretti si è trasferito per un anno e mezzo a Chicago prima della realizzazione del lavoro. E proprio da lui ci siamo fatti raccontare questa ed altre curiosità che ha spinto (o spingerà) il gruppo ad andare “oltre”.
 
Beyond: un nuovo ciclo dopo la precedente trilogia del viaggiatore solitario?
Non so se da Beyond nascerà un ciclo più lungo perché in realtà nasce come un concept autoconclusivo. Magari in futuro potremmo narrare le vicende dello stesso protagonista, però con gli album precedenti eravamo già interessati all’idea della trilogia, mentre il nuovo lavoro è stato pensato proprio come concept singolo.
 
È un concept autobiografico?
No, perché il metodo è lo stesso del passato. Il blues rimane una realtà che ci piace, ma che non viviamo perché viene dagli Stati Uniti, ha delle tematiche e delle radici ben precise e quindi eventuali vicende autobiografiche sarebbero sempre un po’ “stiracchiate”. Anche questa volta abbiamo deciso allora di scrivere di personaggi fittizi, attingendo comunque anche da altre nostre influenze come il cinema, i fumetti o i libri. È tutto molto separato dalla nostra vita reale. Sono storie inventate come quella o quelle che si potrebbero inventare per un film.
 
Beyond è anche il vostro primo album con la formazione a cinque, anziché a tre. Quando avete deciso di ampliare il gruppo?
Dopo il penultimo album Horns ci siamo resi conto che potevamo fare tanto in termini live perché il terzetto con me, Riccardo Giacomin alla chitarra e Mattia Castiglioni alla batteria ha un grande impatto dal vivo, ma abbiamo anche capito che eravamo limitati rispetto alle stesse registrazioni, perché per gli altri dischi avevamo invitato in sala alcuni musicisti o dato vita a collaborazioni e c’erano quindi parti di strumenti realizzate in studio che poi dal vivo non potevamo rendere. Quindi abbiamo iniziato a coinvolgere Davide Varoli e già con lui, che ha riarrangiato le parti di sax, armonica e tromba con le tastiere, abbiamo capito che potevamo allargare la formazione senza snaturarci. Poi, con l’arrivo di Emanuele “Nebu” Nebuloni, si è aggiunta una chitarra in più vera e propria perché io prima facevo semplicemente la seconda chitarra e quindi facevo solo accompagnamento.
 
E comunque dopo dieci anni ancora non avvertite la mancanza del basso.
Ogni tanto ci pensiamo, però tra le note basse che fa adesso Davide con la tastiera e quelle che già faceva Riccardo usando tanto il pollice sulla chitarra, siamo sempre riusciti a sopperire a questa mancanza, ma forse in futuro ci risulterà difficile rinunciare a un bassista vero e proprio.
 
Tu, rispetto agli altri componenti della band, sei stato per un anno e mezzo a Chicago prima di registrare Beyond. Questo ha cambiato il vostro modo di concepire i brani, vero?
Sì, è vero, ma non è stato molto difficile lavorare nella prima fase perché gli altri mi inviavano il materiale mentre ero lì e poi io scrivevo i testi e li rimandavo con la mia parte registrata. Una volta tornato, abbiamo rimesso il tutto in discussione e lo abbiamo rielaborato. È stato un lavoro più lungo questa volta, ma siamo molto soddisfatti del risultato.
Sicuramente comunque c’è stato un forte cambiamento influenzato dalla mia permanenza per un anno e mezzo a Chicago perché ci siamo separati per un po’. Però, come dicevo prima, mentre ero lì altre due persone hanno iniziato a suonare più attivamente nel gruppo e quindi la band si è evoluta molto nel periodo senza di me e si è concentrata molto sulla musica.
 
Nel periodo trascorso a Chicago hai scoperto nuova musica o più musica del solito?
Questa distanza alla fine si è rivelata un valore aggiunto, unita al fatto di trovarmi negli Stati Uniti e in particolare a Chicago, dove ho potuto vedere e ascoltare diversi artisti che seguivo da tempo ma che non fanno tour in Europa: mi viene in mente il rock ‘n’ roll di JD MacPherson o il funk di un gruppo come gli Orgone.
Poi in realtà con Riccardo, il chitarrista, avevo già fatto un pellegrinaggio qualche anno fa seguendo il Mississippi da Chicago a New Orleans. Eravamo in macchina e di volta in volta ci siamo fermati per le varie tappe legate alla storia del blues: ad esempio abbiamo visto la tomba di Robert Johnson, abbiamo visitato il museo del blues a Nashville e lì ci siamo fermati anche dove c’è la Third Man Records di Jack White, abbiamo visitato le piantagioni di cotone dove si sa che suonava Charley Patton…
 
Bene. Un’altra curiosità quasi in chiusura legata alla copertina: com’è nata la collaborazione con Martin Wittfooth?
È stato più facile del previsto: è nata perché non ci siamo mai fatti scrupoli nel puntare “in alto”. Il merito è soprattutto di Riccardo che scrive sempre a tutti tra artisti, etichette e chiunque pensiamo possa essere interessato alla nostra musica o riteniamo possa aiutarci. Già ad esempio quando abbiamo fatto l’album Without eravamo riusciti ad ottenere un’immagine da Jeff Jordan che ha fatto diverse copertine per i Mars Volta. In questo caso, vedendo le belle copertine di un gruppo che ci piace molto come i Rival Sons, abbiamo provato a scrivere a Martin Wittfooth e ci è andata bene.
 
Ultima domanda prima di salutarci e torniamo quasi da dove avevamo cominciato: per riprendere il titolo del vostro nuovo album Beyond, c’è qualcos’altro in cui come There Will Be Blood vorreste andare “oltre” a dieci anni di distanza da quando avete iniziato?
Sicuramente vogliamo andare “oltre” l’Italia. Siamo già usciti dall’Italia, ma solo sporadicamente, per cui ci piacerebbe ad esempio partecipare ad alcuni Festival in Europa. A noi è già successo in Norvegia e speriamo di riuscire a tornare lì, però vorremmo provare ad andare anche in Francia o in Germania perché vediamo tra sito e social che lì c’è gente che ci segue o che compra i nostri vinili o il nostro merchandise.
Il massimo sarebbe poi andare a suonare negli Stati Uniti…
 
 
Intanto sarà possibile assistere ai concerti dei There Will Be Blood in Italia e le prossime date al momento in programma sono:
 
8 novembre 2019, Officina Klee – Cavriglia (Arezzo)
23 novembre 2019, I vizi del Pellicano – Correggio (Reggio Emilia)
7 febbraio 2020, Hi Folks – Vittuone (Milano)
21 marzo 2020, Cox18 
– Milano
 
Per tutti gli altri aggiornamenti è possibile consultare la sezione live del sito ufficiale del gruppo.
 

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