11/05/2007

Crosby & Nash

Milano, Teatro Smeraldo, 8 marzo 2005

Il mattatore dell’intera serata è stato lui, l’inglese, come lo chiamano loro (e cioè i suoi amici David, Stephen e Neil). In forma fisica eccellente ma soprattutto in forma vocale a dir poco strepitosa per un sessantenne, Graham Nash è uscito trionfatore dal concerto milanese dell’intenso tour italiano della coppia d’oro della California che fu.

Da sempre considerato il punto debole del quartetto, Nash ha stupito e anche divertito, nella sera in cui si giocava Milan contro Manchester United. Originario di Manchester, ha regalato qualche sorriso a noi interisti, aggiornandoci su desiderate ma inesistenti goleade della squadra inglese. Crosby con la sua aria da piacione ma anche alquanto catatonico si è risparmiato per il finale, con una Almost Cut My Hair urlata così rabbiosamente da far venire giù il soffitto dello Smeraldo.

Un impianto sonoro maneggiato con incredibile dabbenaggine ha purtroppo rovinato la prima metà dello show, con l’audio tenuto a livello quasi minimo, tanto che, quasi come a un concerto dei Beatles, gli applausi e le urla addirittura coprivano la musica. Meglio nella seconda parte, dove l’uomo del mixer si è finalmente reso conto della cazzata e ha portato i fader al livello giusto.

I due hanno incantato in pagine alcune delle quali mai sentite dal vivo in Italia (ché come duo Crosby & Nash non erano mai venuti), le sempre emozionanti Southbound Train, Marrakesh Express, Cathedral, Carry Me, Immigration Man e Just A Song Before I Go; Crosby ha zoppicato alquanto nel cercare di rendere uno dei brani più difficili del suo songbook, la splendida In My Dreams, mentre se l’è cavata meglio nella jazzata Delta.

Unico siparietto in completa solitudine i due l’hanno offerto in una eterea e dolcissima Guinnevere, mentre nel resto si sono fatti accompagnare da una solidissima band composta da tre CPR (il figlio di Croz, James Raymond, bravissimo alle tastiere; Andrew Ford al basso; Steve Di Stanislao alla batteria) più l’eccezionale Dean Parks – ex Steely Dan – alle chitarre. Sono piaciuti anche i brani dal recente album in coppia, il loro primo in quasi trent’anni, specialmente Milky Way e Jesus Of Rio.

Finale strappalacrime, quando una generazione di cinquantenni (il 90% del pubblico in sala) ormai senza capelli, in giacca e cravatta e cellulare nel pugno per scattare foto manco fossimo a un concerto dei Blue, è scattata sotto al palco per intonare a squarciagola e per intero (cosa sentita, in Italia, solo ai concerti di Paul McCartney e Springsteen) gli scampoli di una West Coast che evidentemente è ancora uno “state of mind” duro a morire: Wooden Ships, Teach Your Children e Our House.

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