07/06/2007

CSI

Noi non ci saremo

Nel 1993 i CSI approntarono un manifesto d’intenti interno al gruppo. I CSI faranno pochi dischi, recitava approssimativamente, e non diventeranno la priorità dei musicisti che ne fanno parte. Per dirla con il cantante Giovanni Lindo Ferretti, i CSI dovevano esistere solo per il “piacere della musica”. Le cose sono andate in modo differente. Il semplice “piacere della musica” ha trovato soprattutto con il secondo album Linea Gotica temi profondi, importanti e spaventosi cui abbinarsi, trasformando i CSI da un’esperienza musicale part time in una realtà culturale importante. Il lavoro del Consorzio Produttori Indipendenti ha trasformato i musicisti in imprenditori discografici. Il (relativo) successo commerciale del terzo album Tabula Rasa Elettrificata, innestatosi su una situazione d’incomunicabilità interna, ha spinto i CSI sull’orlo del precipizio, togliendo loro il “piacere” di fare musica. La frattura tra due membri fondatori, gli ex CCCP Giovanni Ferretti e Massimo Zamboni, ha dato il colpo di grazia. Diventati ingombranti, soprattutto per se stessi, i CSI si sono sciolti. Come dire: fedeli alla linea. Quella che si erano dati sette anni prima. JAM ha intervistato Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, rispettivamente bassista e tastierista della band, per farsi raccontare i motivi dello scioglimento e per parlare del primo volume di Noi non ci saremo, una raccolta di rarità e incisioni dal vivo che chiude la storia del gruppo e che offre lo spunto per un bilancio della storia dei CSI.

Che effetto fa guardarsi indietro?
Maroccolo: Io sono orgoglioso e addolorato. Orgoglioso per il lavoro fatto. Addolorato perché il gruppo è finito a causa dei nostri limiti umani. Siamo cinque persone eccessive e come tali commettiamo degli errori. Non essendo più giovani, anche le scelte di vita hanno contribuito a creare dissapori. Ma non ho rimpianti, solo orgoglio.

Non c’è stata chiarezza sui meccanismi che hanno portato allo scioglimento. Il primo annuncio lo diede Alberto Campo su Musica!…
Maroccolo: Era assolutamente prematuro.

Mi stupisce: lui è l’autore di una biografia su CCCP/CSI scritta con Ferretti e Zamboni. Una persona vicina al gruppo, pare di capire…
Maroccolo: Intervistò me e Zamboni, ma nessuno dei due parlò di scioglimento. Ai tempi di Tabula Rasa non esistevano problemi tra Zamboni e i CSI, semmai tra me e Ferretti. Eravamo insoddisfatti, ma non capivamo il perché: non ci parlavamo.

Fammi capire: v’hanno fatto il funerale quand’eravate ancora vivi?
Magnelli: Un gruppo si scioglie quando chi ci suona lo annuncia. Non quando lo dicono gli altri.
Maroccolo: C’hanno dati per spacciati ancor prima che noi ci accorgessimo di avere qualche problema. Forse perché nel ’98 era stato chiuso il Consorzio Produttori Indipendenti, non so. In realtà quando tutti erano sicuri che i CSI fossero un capitolo chiuso, non lo erano. Quando tutti si sono abituati all’idea che non lo fossero, noi siamo giunti a diverse conclusioni.

Si è detto che il litigio tra Ferretti e Zamboni abbia causato la fine del gruppo…
Maroccolo: Il primo motivo dello scioglimento è che, contrariamente al nostro manifesto d’intenti, i CSI erano diventati la priorità delle nostre vite. Avevamo deciso che sarebbe stato un impegno leggero. Dal ‘93 al ‘98 non abbiamo fatto altro che smentirci: abbiamo fatto sei album, cinque tournée, viaggi, libri, un’etichetta indipendente, colonne sonore… Alla fine siamo scoppiati. La vita privata di ognuno di noi ha cominciato a reclamare ciò che fino ad allora era stato messo in secondo piano.
Magnelli: Non immaginavamo che col tempo i CSI avrebbero assunto un ruolo tanto importante.

Non siete riusciti a gestire la situazione?
Maroccolo: Non siamo stati capaci di farlo lucidamente. Nel momento in cui tutto sembrava andare per il meglio, Tabula Rasa vendeva bene e noi riempivamo i palazzetti, alla fine dei concerti nemmeno ci guardavamo in faccia. Evidentemente quella non era la nostra dimensione. Avevamo già dato. L’errore è stato non metterci intorno a un tavolo tutt’insieme e dircelo in faccia.

Però, che successo quei concerti…
Maroccolo: A volte suonavamo male, pensavamo ad altro, ma davanti a noi c’erano 6 mila persone che godevano come pazzi. Scendevamo dal palco e ci rendevamo conto che per il pubblico non faceva differenza. C’incazzavamo. Alla fine del tour di Tabula Rasa nessuno ne poteva più dei CSI. O almeno, quella era la sensazione mia, di Massimo e di Giovanni. Nel ’98 ci siamo lasciati con la promessa di smettere per un paio d’anni, di calmarci.

Facendo altro…
Maroccolo: Sì, nello spirito del manifesto fondante dei CSI. Massimo e Giovanni sono andati a Berlino, Francesco ha fatto il disco con Ginevra, Canali ha inciso il suo album solista e ha prodotto alcuni dischi, io ho continuato a seguire l’etichetta. Ma fare altre cose non è bastato. Il colpo di grazia l’ha dato la frattura tra Massimo e Giovanni: quando ci siamo accorti che era diventata insanabile, era troppo tardi.

Avete lottato per mantenere in vita il gruppo?
Maroccolo: Per due anni abbiamo provato a tenere viva una storia che in realtà non poteva continuare. Ci siamo resi conto che con o senza Massimo la band non sarebbe stata la stessa. Spero di continuare a suonare con tutti, anche con Massimo. Vedi, fondamentalmente hai di fronte due musicisti. E i musicisti non chiedono altro che avere la possibilità di suonare e comporre. Il gruppo con gli strumenti in mano era una cosa bellissima. Quando apriva la bocca, ultimamente, non era più un gruppo.
Magnelli: Ci sono gruppi in crisi che restano insieme perché vendono dischi. Noi CSI invece abbiamo cercato motivazioni forti per ogni progetto che abbiamo affrontato.

A Monza, nel luglio 2000, la dichiarazione ufficiale: i CSI si sciolgono. Con una postilla: Ferretti, Canali, Magnelli e Maroccolo continueranno a fare musica assieme. E’ vero?
Magnelli: Non c’è nessuno progetto. C’è però una realtà di fatto: i concerti estivi ci hanno ricompattati. Ma qualsiasi discorso è prematuro.
Maroccolo: Diciamolo onestamente: questa estate si era pensato di continuare. Quel tour era stato utilizzato per scoprire se c’era ancora il piacere di stare insieme. In qualunque caso non ci saranno mai i CSI senza Zamboni.

Si era parlato anche di un disco cui gli ex CSI stavano lavorando la scorsa estate. Vero?
Magnelli: Falso.

E così chiudete con Noi non ci saremo. Come nasce?
Maroccolo: Come momento di passaggio tra Tabula Rasa Elettrificata e l’album successivo dei CSI. Strada facendo s’è trasformato nel disco dell’addio.

Il primo volume contiene solo due inediti, Il resto e lo strumentale Velluto rosso. E’ stata una scelta o non avete quelle che gli americani chiamano outtakes?
Maroccolo: Siamo abituati a lavorare con tempi stretti e quindi incidiamo solo quello che finirà sul disco.
Magnelli: Abbiamo spunti musicali inutilizzati, quelli sì, ma in ogni caso Giovanni dovrebbe trovare un testo. E non è tipo da abbinare un testo nuovo con una musica di sei anni fa.
Maroccolo: Noi non ci saremo nasce dalla voglia di chiudere in bellezza la storia – per quanto possibile, perché tra di loro i CSI non stanno certo chiudendo in bellezza. C’è la voglia di valorizzare cose dimenticate, aggiungendo qualcosa alla nostra storia anche per impedire che in futuro ci siano pubblicazioni antologiche di scarsa qualità. Questo disco è autorizzato da tutti e cinque anche se l’ho curato io. È lo stile dei CSI al 100%.

Hai lavorato da solo alla selezione?
Maroccolo: Sì, ma confrontandomi di continuo con Francesco. Non hanno partecipato tutti i CSI perché i CSI non esistono più.

L’album è uno strano ibrido: ci sono pezzi vecchi su cui avete fatto overdub e brani live ritoccati. I CSI non ci sono più, ma hanno lavorato per l’ultima volta insieme?
Maroccolo: Ci spedivamo i nastri. Io mandavo una base a Canali, lui registrava la chitarra a casa sua, poi ci lavorava Zamboni e così via…

Che strano: Zamboni appare nei brani tratti dal concerto d’inizio 2000 a Firenze… ma sul palco non c’era!
Maroccolo: Questo è pur sempre un disco dei CSI, no? Era assurdo pubblicare il pezzo senza le sue chitarre.

Che cosa c’era di pianificato e che cosa d’istintivo nei dischi dei CSI?
Maroccolo: Di pianificato, se vogliamo usare questa parola, c’era la ricerca di musiche minimaliste, l’idea che una singola nota può contare di più di centomila note, che una pausa può essere meglio di sei note suonate insieme, che l’intensità prodotta da tre strumenti all’unisono vale più di un virtuosismo, che essere un sottofondo musicale a una frase può essere meglio che fare il solista. Senza falsa modestia: è ipersensibilità. Ne eravamo consapevoli e l’abbiamo coltivata.

L’insieme era meglio della somma dei singoli musicisti, tecnicamente parlando…
Maroccolo: C’era molta elasticità dal punto di vista tecnico. Tranne Francesco, i CSI non erano strumentisti eccezionali.
Magnelli: Eravamo bravi a smentire noi stessi: dopo un disco epico come Ko de mondo abbiamo fatto l’esatto opposto, In quiete. Con Linea gotica abbiamo cercato il minimalismo, poi esce Tabula rasa che era un disco rock.

I CSI sono stati il miglior gruppo rock degli anni Novanta, eppure non vedo band che in un modo o nell’altro ne seguono le tracce…
Maroccolo: Forse perché non siamo stati precursori di uno stile. Forse perché siamo difficili. Ma a me piace l’idea di non avere cloni in circolazione… mi fa sentire meno vecchio. E poi bastava vedere il pubblico dei CSI per capire che il gruppo non era facilmente omologabile: dai genitori ai ragazzini di 15 anni.

I CSI erano composti da cinque musicisti con personalità differenti. Era un po’ la forza del gruppo, no?
Magnelli: La forza, sì, ma anche il limite. Diciamo che, provenendo da esperienze differenti, non abbiamo mai sentito la necessità di identificarci in tutto e per tutto nei CSI. Eravamo un ‘gruppo non gruppo’…

Lo strano equilibrio di personalità che teneva in piedi i CSI, e che rendeva la musica del gruppo tanto interessante, alla fine ne ha decretato la fine, non credete?
Maroccolo: Ferretti ha un rapporto strano con la musica: è un pensatore, un artista vero, e non ha certo lo spirito del musicista puro. Zamboni è una via di mezzo tra le due cose, ma in fin dei conti è un creativo. Io e Magnelli siamo musicisti al 100%, meno attenti al ragionamento e al lato intellettuale delle cose. Giorgio, che è un genio impazzito, può stare bene, anche se per brevi periodi, in una qualsiasi di queste posizioni. Quindi, sinceramente, da parte di Giovanni e Massimo non c’era lo stesso tipo di passionalità che ci mette un musicista…

Credete che senza il successo di Tabula Rasa Elettrificata le cose sarebbero andate diversamente?
Maroccolo: Penso di sì. Al tempo c’eravamo già resi conto di avere fatto troppo, avevamo deciso di ridurre l’impegno, come avevamo già fatto chiudendo il CPI. Troppa pressione…

Pressione da parte di chi?
Maroccolo: Della casa discografica, dei giornalisti… Qualsiasi cosa Ferretti dicesse, si scatenava un putiferio. Se diceva la stessa cosa, chessò, Ramazzotti non accadeva niente.

Probabilmente perché Ramazzotti non ha alcun impatto culturale…
Maroccolo: Sì, ma che senso ha che Ferretti parli di politica sul Mucchio Selvaggio, su un giornale di critica musicale? Due battute sì, ma di politica parlerà su Panorama o sulla pagina culturale del Corriere…

Pensate che il lato intellettuale dei CSI sia stato sovresposto rispetto a quello musicale?
Maroccolo: Troppo è stato detto. E’ stato un nostro errore, ma la stampa ha contribuito attribuendo eccessivo valore a quello che dicevamo. Ma non voglio fare il vittimista: non siamo riusciti a tenere in vita una bell’esperienza. La colpa è solo ed esclusivamente nostra.

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