01/07/2011

DAVE STEWART

THE BLACKBIRD DIARIES (FRONTIERS)

«Vorrei realizzare un album in 5 giorni, registrato dal vivo con tutti i musicisti insieme in studio, usando strumenti vintage, fare alcuni duetti qua e là e per il resto me che interpreto le mie canzoni, senza cercare di fare del country, solo il mio stile, un po’ di Dylan che incontra Leonard Cohen che incontra Tom Petty che incontra Lou Reed che incontra Johnny Cash suonando un po’ nel mio tipico cantato basso e un po’ con accordi strambi alla Beatles e melodie».
È concentrata in queste righe della mail inviata da Dave Stewart all’ingegnere del suono John McBride tutta la filosofia del progetto Blackbird Diaries. Una parentesi leggermente folle incastrata in un anno speciale per Stewart, che si è dedicato agli album di Stevie Nicks e Joss Stone come co-autore e produttore, ha scritto alcuni pezzi per il cd di Bryan Ferry e si è permesso anche il lusso di scrivere un musical ispirato al film Ghost, che ha ottenuto un ottimo successo in Inghilterra. In mezzo un viaggio a Nashville, alla ricerca delle radici del rock, ispirato dall’incontro con la chitarra di un cantante country texano, Red River Dave, avvenuto a Londra. Dopo aver conosciuto McBride nel suo primo viaggio nella città del Tennessee, Stewart ha deciso che voleva assolutamente registrare qualcosa negli studi ricchi di fascino di proprietà di John e sua moglie Martina, per l’appunto i Blackbird Studio. Per fare tutto in tempi rapidi e con i risultati migliori, Stewart ha raccolto un pugno di musicisti di livello assoluto. Una formidabile sezione ritmica con Chad Cromwell (Neil Young, Crosby, Stills & Nash) alla batteria e Michael Rhodes (Faith Hill, Dixie Chicks) al basso. Alla pedal steel guitar Dan Dugmore, una vera leggenda di Nashville, mentre la chitarra elettrica era quella di Tom Bukovac che, come il tastierista Mike Rojas, ha suonato praticamente con chiunque nella scena country-rock. Una vera potenza di fuoco i cui risultati sono evidenti. I brani suonano immediati e compatti. Punto di forza è la registrazione (i cui meriti vanno a McBride) e la produzione, opera dello stesso Stewart e del suo braccio destro Mike Bradford. Suoni pieni e potenti, cristallini ma anche caldi come una vera ripresa live permette. Gli strumenti sono spesso registrati su canali diversi, come nella tradizione della stereofonia di una volta, e l’impasto è perfetto lasciando al contempo ogni singolo elemento in evidenza.
L’album si apre con So Long Ago, midtempo blueseggiante che incarna un po’ il manifesto dell’album racchiudendone i tratti distintivi: liriche autobiografiche, registrazione in una sola sessione, chitarre in grande evidenza e, in questo caso, con gli strumenti che entrano progressivamente, quasi una metaforica entrata in scena. È uno dei momenti più brillanti insieme a Magic In The Blues, potente e trascinante, guidata dalla slide guitar di Bukovac. In generale colpiscono di più i pezzi energici (da segnalare anche The Gypsy Girl And Me), dove l’impasto chitarristico e la sezione ritmica possono contribuire in maniera più incisiva, che non i lenti. Lenti interpretati per la maggior parte in duetto. Per l’occasione infatti Stewart non ha messo da parte la sua propensione a condividere oneri e onori e così Blackbird Diaries è ricco di brani cantanti con altri artisti, principalmente locali ma non solo. Peccato che a queste collaborazioni non siano stati riservati sempre i pezzi migliori. All Messed Up, cantata con Martina McBride, per esempio, parte con un ricalco di Sorry Seems To Be The Hardest World di Elton John per sfociare in un ritornello insistito e banalotto. Meglio Cheaper Than Free, cantata con la Nicks (e presente anche sull’album di Stevie) e ispirata da una frase detta a Dave dall’attrice Reese Witherspoon durante una cena. Di gran classe è invece il duetto con Colbie Caillat in Bulletproof Vest, un lento dal sapore più metropolitano. E se in tutto l’album aleggia lo spirito del Bob Dylan più elettrico, eccolo materializzarsi nelle vesti di co-autore di Worth The Waiting For.
Pur immerso nell’atmosfera della patria del country, Stewart non si è lasciato portare su quella strada, e alla fine delle registrazioni si è ritrovato senza canzoni di quel genere nel lotto. Lacuna presto riempita in tempo zero con Country Wine, cantata in duetto con le straordinarie Secret Sisters; un divertissement leggermente di maniera ma piacevole grazie anche all’apporto dell’intreccio vocale delle due sorelle, protagoniste anche nella suadente e sognante One Way Ticket To The Moon.
Nel complesso, di fronte a Blackbird Diaries non è certo il caso di gridare al miracolo. Ma con la sua freschezza e spontaneità questo album regala un salutare effetto elettrizzante. Realizzato con la volontà di fuggire dall’appiattimento dei nostri tempi e fare un salto all’indietro, un obiettivo lo ha certamente raggiunto: dimostrare che in fondo basta poco per ottenere qualcosa di molto migliore di ciò che ci viene offerto oggi.

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