31/10/2007

Eagles

Long Road Out Of Eden, Universal

Dai, non facciamo i furbetti. Già vi vedo tutti quanti a ridermi in faccia e a citarmi quella scena de Il grande Leboswki, quando Drugo (il formidabile protagonista del film, interpretato da un altrettanto formidabile Jeff Bridges) si incazza perché in macchina qualcuno ha messo gli Eagles: “Butta via quella merda e metti i Creedence”, sbotta. O qualcosa del genere. Perché sì, lo so, dirsi fan del gruppo di Don Henley e Glenn Frey non è mai stato cool, non lo era trent’anni fa e tantomeno lo è oggi, che questi hanno sessant’anni anche loro e che ci fanno ancora in giro, con le loro melense melodie di una California “peace & love” che ci ha proprio rotto i coglioni.

Cavoli vostri: mi piacevano allora (ancora ricordo quando, con un amico, ascoltammo alla radio un pomeriggio del tardo 1976 per la prima volta Hotel California, saltando in giro per la stanza eccitati da quello che ci sembrava “l’assolo di chitarra più fico della storia del rock”) e mi piacciono ancora, che questo disco lo aspettavo da 28anni, tanti ne sono passati da quando uscì The Long Run. Avevo paura, questo sì, di trovarmi di fronte quel pop infarcito di synth e ritmi dance che ha caratterizzato tanta della produzione anni 80 e 90 di Henley e Frey e anche se li avevo visti nel 2001 in un concerto strepitoso, dubitavo fossero in grado di mettere giù due canzoni che fossero due di livello accettabile. Invece parte la prima traccia, No More Walks In The Wood (e vabbè che, stando ai credits, risale al 1993 ed è stata scritta dal solo Don Henley con l’apporto di un paio di collaboratori) e stento a credere a quello che ascolto: voci che armonizzano grandiosamente con un soffuso accompagnamento di chitarra acustica, quasi fosse un pezzo del primo disco di CSN. Poi quando parte How Long (e vabbè che l’ha scritta uno che non è degli Eagles, J.D. Souther, e risale al 1973, anche se lui ha scritto tanti hit degli Eagles anni 70) comincio a saltare intorno al tavolo: sembra Take It Easy, no sembra Already Gone. Cazzo, ma questi sono gli Eagles addirittura pre Hotel California, quelli country-rock che di più non si può. Henley e Frey si alternano alle strofe di un incalzante rock’n’roll intinto di California e il disco per me potrebbe già finire qui che sarei a posto così. Invece Busy Being Fabulous – terza traccia – è ancora sospesa nei 70’s, una ballatona ariosa impostata su chitarre acustiche da sogno (e questa l’hanno scritta proprio loro, Don & Glenn, come ai vecchi tempi). E si prendono anche in giro: “Sono tornato a casa e ho trovato un biglietto ‘Non aspettarmi stasera, credi non sappia che sei in giro con i tuoi amici sballatoni? Ma dove pensi di andare quando il party sarà finito, sei stato troppo impegnato a crederti favoloso per pensare a noi’”. Già, troppo impegnato a fare la rock star, una vita da scemo: “Hai fatto sempre la bella vita alle feste ma adesso amico, sei solo uno scherzo”.

Già ai tempi di Hotel California Don Henley si lamentava che tutti si scaldassero per i testi delle canzoni di Bruce Springsteen e considerassero i loro “robetta commerciale”. Peccato che in pieno 2007, la miglior canzone anti-establishment, dopo le vaccate di Neil Young e tanti colleghi “impegnati”, la scrivano proprio loro, gli Eagles, nei dieci minuti della title track. Che non solo ha le liriche più poetiche e meno qualunquiste sentite fino ad oggi in un brano che attacca Bush, la guerra in Iraq, i petrolieri, l’american way of life senza scadere nel linguaggio da pamphlet iperideologico, ma è anche una solidissima rock ballad che comincia con una melodia mediorientale e si dipana poi su robuste chitarre e un assolo da favola (Joe Walsh).

Certo, questo disco poteva essere un solo cd (che a volte sfugge loro la mano e si perdono in qualche melensaggine soft rock al limite dell’overdose di saccarina, come What I Do With My Heart o I Don’t Want To Hear Any More, per non dire dell’orribile Last Good Time In Town, e tante grazie Joe Walsh per questo insulso rockaccio caraibico), ma insomma, ci hanno messo quasi tre decenni e lasciamoli sfogare. Che di buona musica ce n’è ancora tanta, come il rock ruvido di Somebody, il funk di Frail Grasp On The Big Picture (“Le tue fissazioni romantiche non hanno nulla a che fare con la domanda eterna: ‘Chi cazzo ha dimenticato di mettere il tappo al dentifricio?’”; “E preghiamo nostro Signore, sappiamo che Lui è americano”), lo splendido folk con tanto di pedal steel di You Are Not Alone, la grinta black con fiati incalzanti della superba Fast Company. Ad esempio. E quando Glenn Frey decide di chiudere il discorso, con il tex-mex di It’s Your World Now (scritta con Jack Tempchin, altro collaboratore degli Eagles dei tempi d’oro), sappiamo che ok, loro non saranno più i “new kid in town”, ma l’onestà di guardarsi in faccia, pochi altri “stagionati colleghi” ce l’hanno: “È il tuo mondo adesso, la mia corsa è finita, un giorno capirai quanto duramente ci abbia provato e quanto tu abbia significato per me, è il tuo mondo adesso, usa bene il tuo tempo”. Loro passano la mano: “Sii parte di qualcosa di buono, lasciati dietro qualcosa di buono, per me il sipario cala”. Gli Eagles, alla faccia di Drugo, ne hanno lasciate di cose buone.

No More Walks In The Wood
How Long
Busy Being Fabulous
What I Do With My Heart
Guilty Of The Crime
I Don’t Want To Hear Any More
Waiting In The Weeds
No More Cloudy Days
Fast Company
Do Something
You Are Not Alone
Long Road Out Of Eden
I Dreamed There Was No War
Somebody
Frail Grasp On The Big Picture
Last Good Time In Town
I Love To Watch A Woman Dance
Business As Usual
Center Of The Universe
It’s Your World Now

Prodotto dagli Eagles

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