15/05/2007

Eric Clapton

Me And Mr. Johnson – Duck/Reprise

Che Eric Clapton ribadisca il proprio amore per Robert Johnson incidendo un album fatto di sole sue canzoni desta interesse, ma non certamente meraviglia. È fin troppo noto il debito che Slowhand dichiara da sempre nei confronti del più misterioso e forse geniale bluesman della storia. Quando da ragazzino scoprì i due album Columbia che raccolgono i ventinove blues (opera omnia) di Johnson, Clapton fu stordito dall’intensità emotiva che emanavano e a suo stesso dire dovette ascoltarli a piccole dosi per non rimanerne turbato. Col passare del tempo riuscirà a stabilire un contatto più equilibrato con questa musica e a farne delle versioni personalizzate che si possono trovare sui dischi registrati con John Mayall, Cream e naturalmente da solista.

Robert Johnson è una specie di sciamano che ha rubato la fantasia e spesso l’anima di un’intera generazione di musicisti folgorata sulla strada del Delta del Mississippi. Valga per tutti il tortuoso percorso realizzato da Peter Green, chitarrista dei primi Fleetwood Mac, che dopo varie vicissitudini è arrivato in questi ultimi anni a incidere ben tre album di canzoni di Johnson esaurendone completamente il repertorio.

Comprimere in quattordici tracce un amore che abbraccia in modo sconfinato l’intero corpus non deve essere stata cosa semplice, ma se si pensa che sono stati volutamente scartati i brani già incisi precedentemente, la scelta, forse, non è stata così struggente. Clapton sceglie alcuni piccoli gioielli come Little Queen Of Spades, Me And The Devil, Traveling Riverside Blues, Come On In My Kitchen, Love In Vain e Hellhound On My Trail, ma anche brani molto meno noti come They’re Red Hot e Stop Breakin’ Down Blues e li ripropone alla sua maniera, con una band piuttosto corposa alle spalle e in modo decisamente personale. Non stravolge nulla, ma si guarda bene dal non essere didascalico; se si pensa all’ansia esistenziale sprigionata dalle cupe interpretazioni di Johnson la distanza c’è ed è anche piuttosto netta.

Giusto che sia così perché se si cerca di copiare Robert Johnson è certo che la partita è persa in partenza, anche se chi ci prova si chiama Eric Clapton. Questione di carattere e pathos, non ovviamente di tecnica. Eric si circonda di musicisti di gran classe, gente che conosce il sapore del blues per averlo masticato per una vita: alla chitarra chiama i fidatissimi Andy Fairweather e Doyle Bramhall II, all’armonica Jerry Portnoy, alle tastiere Billy Preston, al basso Nathan East e alla batteria Steve Gadd. La sezione ritmica è il vero asso nella manica del gruppo quando vuole accelerare i ritmi: in They’re Red Hot, pezzo anomalo per il Mississippi e molto più vicino alle sonorità del Piedmont, il tempo è quello del rag e la band lo amplifica ulteriormente, proprio come succede in Last Fair Deal Gone Down e 32-20 Blues. Il vero artefice di questa operazione è Preston che guida con il piano nella direzione voluta.

L’ostacolo maggiore che Clapton deve superare è però quello relativo ai pezzi più esistenziali, quelli in cui Johnson imputa al diavolo la causa di tutti i suoi mali, blues come Me And The Devil o Hellhound On My Trail in cui la voce è inimitabile e lo stesso Clapton è costretto a qualche caduta. Sono troppo lontani gli stili di vita dei due e le paranoie che ne conseguono, che portano Johnson a voler incidere con le spalle ai discografici per paura che si scoprano gli accordi e gli accorgimenti usati durante la seduta. La sofferenza, la rabbia e la giusta diffidenza nei confronti del business hanno conferito uno stato d’animo impossibile da riproporre. Ciò nonostante, Clapton è ben centrato con la voce e dà il meglio che un musicista bianco può dare. Ci sono ancora delle chicche come Come On In My Kitchen e Love In Vain, la prima con una bella armonica nell’incipit insieme alla chitarra e l’altra con un impatto musicale parecchio più forte rispetto all’originale, a cui seguono un’introversa Kind Hearted Woman Blues, Milkcow’s Calf Blues e altro ancora.

Una dichiarazione d’amore senza appelli del più grande chitarrista blues bianco verso un istintivo e lunatico uomo di colore che ha messo le basi per lo sviluppo del blues di Chicago. Con tutte le sue implicazioni.

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Voto: 8
Perché: Clapton si mette a nudo per omaggiare il suo più grande eroe blues. Con la chitarra è sempre superbo, ma con la voce gli è impossibile rivaleggiare con il maestro.

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