17/11/2009

GENESIS

L’epopea live

I signori Balme ci tengono molto al loro rampollo. Così quando Anthony compie la maggiore età vogliono fare le cose in grande e organizzano presso la loro casa di Chobham, villaggio del Surrey, un party come si deve: ricchi banchetti e goliardia, minigonne e giacche tipicamente inglesi, rossori e primi turbamenti post adolescenziali. E naturalmente tanta musica. Quella del giradischi, ma anche quella di un gruppo. Dove canta il giovane figlio dei vicini, i signori Gabriel. Quel gruppo ha appena pubblicato un album per la Decca che non ha impressionato praticamente nessuno, e quella è la prima volta che viene pagato per esibirsi. Quel gruppo si chiama Genesis, e da quel 23 settembre 1969 sono passati 40 anni.

I Genesis cominciano l’attività live con Peter Gabriel (voce), Tony Banks (organo e chitarra), Anthony Phillips (chitarre e voce), Mike Rutherford (basso e chitarra) e John Mayhew (batteria). Il vero esordio avviene il 1° novembre 1969 alla Brunel University. I Genesis sono ancora acerbi a livello di tecnica e di presenza scenica e attingono in prevalenza al primo album (In The Beginning, The Serpent, In Limbo, Window, The Conqueror, In Hiding) con l’aggiunta di versioni embrionali di canzoni che usciranno in seguito (Going Out To Get You, Visions Of Angels, White Mountain, Image Blown Out, Pacidy, Let Us Now Make Love). Un repertorio fin troppo sofisticato per i tempi: un elogio della lentezza e della musica acustica, ma privo dell’appeal orecchiabile delle cose che in quegli anni arrivano dalla west coast americana. Il gruppo si accorge che una parte del pubblico tende a distrarsi durante le intricate sessioni acustiche, per questo comincia ad aggiungere brani un po’ più ritmati come Looking For Someone, Twilight Alehouse e The Knife, strategicamente posti in scaletta con l’obiettivo di creare un flusso organico dove la performance comincia in maniera soft per diventare man mano più aggressiva. È così che la band fa più colpo fra gli addetti ai lavori, al punto da essere chiamata per la prima volta al Marquee Club il 19 febbraio 1970. Mentre Gabriel si inventa storie surreali per tenere distratto il pubblico mentre i musicisti accordano le chitarre, a quello bucolico si aggiunge anche un lato più grintoso, in accordo con alcuni testi che stanno venendo fuori e che andranno a costituire l’ossatura del secondo album Trespass. La strada sembra quella giusta ma Phillips, indebolito dalla vita on the road e dalla fobia del palco, decide di lasciare il 18 luglio 1970. Il momento di sbandamento è grande, ma Peter, Tony e Mike restano uniti e decidono di dare il benservito anche a John Mayhew. La band onora gli impegni suonando in quattro appena arriva Phil Collins, formidabile batterista capace di trascinare i compagni in avventure ritmiche precedentemente inaccessibili, mentre Tony applica un fuzz al piano elettrico per supplire all’assenza del chitarrista solista. Con l’arrivo di Steve Hackett si compone la line up più amata di sempre: meno innovativo di Phillips alla 12 corde, Hackett apporta però un notevole incremento di elettricità, restando comunque lontanissimo dal cliché del guitar hero suonando sempre seduto a eccezione del bis di The Knife. La notorietà dei Genesis varca intanto i confini nazionali e il 7 marzo 1971 arriva il primo concerto estero in assoluto, in Belgio, dove fanno la loro comparsa Happy The Man, The Light e The Musical Box. Ad Aylesbury, il 19 giugno, durante un’infuocata versione di The Knife Peter prende la rincorsa per lanciarsi sulla folla di sotto, rovinando per terra e rompendosi una caviglia. A novembre esce Nursery Cryme. La scaletta prende una forma più definita ma continua a rispecchiare l’idea del crescendo, cominciando con una canzone (Harlequin o, in alternativa, Happy The Man) che vede il batterista con tamburello cantare insieme al lead vocalist accompagnati da tre chitarre (Hackett, Rutherford e anche Banks). Un video filmato negli studi della televisione nazionale belga, dove i Genesis registrano dal vivo quattro brani, testimonia la totale non spettacolarità della band, i cui musicisti sono esclusivamente concentrati sui propri strumenti. Gabriel, però, mostra già un certo carisma: vestito completamente di nero, mima i personaggi di Musical Box e si compenetra nell’avvincente storia dell’Hogweed gigante con una performance vigorosa. È il preludio a qualcosa che sta cambiando nella mente del poliedrico artista.
Dopo il primo tour italiano (aprile 1972), il 29 maggio i Genesis partecipano al festival di Lincoln; non ne sono naturalmente headliner, ma si esibiscono davanti a circa 50 mila spettatori e Gabriel non perde l’occasione di farsi notare rasandosi un triangolo di capelli, truccando gli occhi pesantemente e indossando un vistoso collare sopra la calzamaglia nera. L’11 agosto i Genesis sono addirittura al festival di Reading, dove forse per l’unica volta decidono di iniziare direttamente con The Knife, prima di partire per un altro tour italiano, dove oltre a regalare versioni più uniche che rare di Seven Stones e Harold The Barrel, presentano anche Watcher Of The Skies, Can Utility And The Coastliners e Get ‘Em Out By Friday, tutte canzoni che appariranno nel disco successivo Foxtrot. Va ricordato che in alcune date del tour italiano di agosto la performance dei Genesis è preceduta da quella degli Osanna, band napoletana che a quel tempo usa salire sul palco con i visi dipinti, e non è da escludere che ciò contribuirà ad influenzare Gabriel di lì a poco.

Il cambiamento epocale arriva, inaspettato, il 28 settembre 1972: i Genesis stanno terminando la lunga parte strumentale intermedia di Musical Box quando dal backstage emerge Peter con una testa di volpe e indosso un abito femminile di colore rosso vivo. La cosa prende di sorpresa i compagni, che non ne sanno niente, ma sortisce l’effetto sperato: qualche settimana dopo la testa di volpe è sulle copertine delle riviste musicali inglesi. Quando tornano in Italia nel gennaio 1973 sono trascorsi appena cinque mesi dal tour delle balere, ma la reazione è incredibile: i Genesis, ancora cult band in Inghilterra, vendono 8 mila biglietti al Palasport di Reggio Emilia e addirittura 18 mila a Roma. Un successo sbalorditivo che però è solo il preludio a un’affermazione su più ampia scala, traghettata dall’idea di Gabriel di espandere la sua teatralità. Prepara un baule pieno di costumi che tira fuori per la prima volta al londinese Rainbow il 9 febbraio 1973 lasciando tutti a bocca aperta. Su Watcher Of The Skies indossa un copricapo con ali di pipistrello, su Supper’s Ready una corona di spine, un fiore arancione e una scatola a forma di rombo sulla testa, oltre a un mantello nero sulle spalle fatto abilmente sparire nel finale, approfittando di una esplosione al magnesio che acceca il pubblico per qualche secondo: quando torna la visibilità, Peter è vestito di bianco e solleva un neon di luce bianca a rappresentare la sconfitta delle forze del male.
Nel settembre 1973 i Genesis pubblicano Selling England By The Pound, imbarcandosi subito in uno dei loro tour più importanti, quello della consacrazione definitiva. La scaletta a questo punto è molto ben definita, aperta da Watcher Of The Skies e chiusa da Supper’s Ready, ritenuto un climax non superabile (solo in alcuni casi, su pressione dei fan, la band concede un bis, The Knife). È interessante notare la scomposizione in unità più piccole su More Fool Me (canta Collins, accompagnato dal solo Rutherford alla chitarra), su Horizons (Hackett solo) o nella lunga parte strumentale di Cinema Show (restano sul palco i soli Banks, Collins e Rutherford in una involontaria anticipazione dei tempi). Probabili valvole di sfogo per gli straordinari musicisti della band, che cominciano a soffrire della morbosa attenzione verso Gabriel. Il quale, peraltro, continua a escogitare nuove trovate, come quando appare travestito da Dea Britannia con tanto di elmo, lancia e scudo bardato di bandiera inglese su Dancing With The Moonlit Knight, o quando simula l’andatura di una falciatrice con una spiga di grano in bocca per l’intro di I Know What I Like. O, ancora, quando interpreta i vari personaggi di Battle Of Epping Forest (calza di nylon sul viso, giacca a coda, cappello a cilindro e collare da prete). Ma il massimo è l’inquietante maschera da vecchio che Gabriel indossa rientrando nel palco dopo lo strumentale di Musical Box per impersonare il bambino Henry invecchiato precocemente e sempre più morbosamente attratto da Cynthia.
Ormai i Genesis sono rockstar in tutto il mondo, ma purtroppo questa affermazione coincide con il deteriorarsi dei rapporti fra Gabriel e il resto della band, che precipitano durante la composizione di quello che diventerà The Lamb Lies Down On Broadway, fortunatamente messe da parte almeno per lo svolgimento del lungo tour, che inizia a novembre del 1974 e termina nel maggio 1975. Una rappresentazione teatrale, più che un concerto, tanto che i Genesis decidono di suonare l’intero album, nel suo dipanarsi di oltre un’ora e mezza, placando i vecchi fan solo con due bis (Musical Box e Watcher Of The Skies, quest’ultima talvolta sostituita da The Knife). Scelta difficile e coraggiosa, e tuttavia più che giustificata per l’ampio apparato scenico approntato: il palco è più raccolto e meno illuminato del tour precedente, però ci sono 1124 diapositive proiettate su tre schermi a illustrare la storia di Rael, il protagonista impersonato da Gabriel che entra in scena come un teppista vestito in giubbotto di pelle. Se per Waiting Room corre dietro lo schermo centrale in una spettrale raffigurazione della morte, su The Lamia viene avvolto da un cono di veli dove sono raffigurate le sensuali donne serpente che trasformeranno Rael in un amorfo. Di qui il disturbante travestimento di Colony Of Slippermen, dove Gabriel è completamente sommerso da una serie di disgustose verruche, testicoli e occhi deformati. Per finire, lo sdoppiamento finale di It, quando Rael è su un lato e un manichino a sua immagine dal lato opposto. L’inevitabile congedo di Gabriel si consuma dunque con il tour più ambizioso dei Genesis, uno dei più importanti della storia del rock.

Quando la band decide di andare avanti promuovendo Phil Collins anche vocalist, il batterista non è preoccupato dal canto, ma dalla scena: come fare per reggere il confronto con il carisma inimitabile di Gabriel? La soluzione, a ben vedere, è più facile del previsto. Collins non è Gabriel, deve soltanto essere se stesso, confidando nella sua simpatia innata e nella benevolenza di un pubblico che già lo ama come batterista. Ci si abitua presto a un tipo di spettacolo più sobrio sul piano della teatralità: niente travestimenti né trucchi, introduzioni meno fantasiose, sebbene talvolta divertenti (come la favola di Romeo e Giulietta prima di Cinema Show, che finisce con i due appartati in un drive in). Ancora incerto del suo ruolo di comunicatore, Phil chiede aiuto a Rutherford e Hackett, i quali presentano White Mountain e Supper’s Ready (il primo) e Entangled (il secondo). In scaletta ampie finestre strumentali sia dal nuovo album (Los Endos) che dal passato. A questa categoria appartiene la sezione strumentale di Watcher Of The Skies, collegata al finale di It, ma anche Fly On A Windshield e Broadway Melody Of 1974, entrambe private del canto all’interno del cosiddetto Lamb Stew che include anche la stessa Lamb Lies Down On Broadway e Carpet Crawlers. Alla batteria un grande musicista come Bill Bruford, che tuttavia si dimostra inadeguato al ruolo personalizzando in maniera eccessiva e talvolta pacchiana il sofisticato drumming di Collins. Questo tour inaugura però anche la doppia batteria nelle parti strumentali dei concerti dei Genesis, caratteristica che rimarrà negli anni a venire. Dal punto di vista scenico spicca l’utilizzo di un laser e l’allargamento del parco luci, mentre alcune diapositive del tour precedente si alternano a nuovi scatti proiettate su tre schermi. La prova del fuoco è ampiamente superata: se il primo disco dei Genesis post Gabriel ha venduto più dei precedenti, anche il tour va alla grande. L’entusiasmo è talmente evidente che i quattro corrono in studio per registrare un altro album, Wind & Wuthering, che viene portato in tour a partire dal capodanno 1977. Perduto Bruford, il nuovo batterista è Chester Thompson, il quale ha solo nove giorni di tempo per imparare il complicatissimo repertorio. Nonostante questo, il drummer si dimostra perfetto nel ruolo di sostituto di Collins dietro i tamburi. I Genesis non hanno mai suonato così bene e il set è una meraviglia per fan vecchi (The Lamb collegata alla sezione conclusiva di Musical Box) e nuovi (le recenti One For The Vine, Your Own Special Way, In That Quiet Earth / Afterglow, Eleventh Earl Of Mar e All In A Mouse’s Night). Phil, ora più confidente come frontman, percuote testa, gomiti e ginocchi sul tamburello a tempo della musica di I Know What I Like in una divertentissima danza. Sul palco spariscono schermi, diapositive e filmati per dare ulteriore enfasi alle luci con l’aggiunta in alto di due file di fari, gli stessi usati dall’aereo Boeing 747 in fase di atterraggio, oltre a nuovi laser di vari colori. Il tour rappresenta però il canto del cigno per Steve Hackett, che decide di proseguire per conto suo. Banks, Rutherford e Collins non si perdono d’animo e, messo giù in quattro e quattr’otto un album spiritosamente intitolato And Then There Were Three, reclutano Daryl Stuermer, chitarrista di estrazione jazz fusion, e partono per un tour lungo e articolato, che dura con poche interruzioni da marzo a dicembre del 1978. Cambia ancora l’assetto scenografico, ora articolato sul connubio di luci, laser, cerchi concentrici e specchi ottagonali che ruotano a 360 gradi, mentre la scaletta vede molte new entry (Burning Rope, Deep In The Motherlode, Say It’s Alright Joe, The Lady Lies, Follow You Follow Me, talvolta Down And Out e Ballad Of Big), ma anche recuperi inattesi come In The Cage, Ripples e Fountain Of Salmacis.
Al termine dell’estenuante tour del 1978 Collins deve però affrontare l’abbandono di sua moglie, che torna dalla madre portando con sé i figli. Questo cambierà molte cose nel batterista (che emergerà dal dolore cominciando a comporre e diventando così anche un artista solista) e nei Genesis stessi. L’album successivo, Duke, esce nel marzo 1980 contemporaneamente all’inizio di un tour, limitato a posti più piccoli in Inghilterra e Stati Uniti per venire incontro all’esigenza della band di recuperare un rapporto più intimo col pubblico. Il nuovo album è rappresentato dalla cosiddetta Duke Suite (Behind The Lines / Duchess / Guide Vocal / Turn It On Again / Duke’s Travels / Duke’s End), che Collins, accanto alla sagoma di cartone di una donna nuda a grandezza naturale, introduce con esilaranti racconti sulle avventure di Albert, il personaggio raffigurato dalla copertina del disco. Ma non mancano i rimandi al passato, come il medley Dancing With The Moonlit Knight / Carpet Crawlers e le pur rare apparizioni di Back In N.Y.C. e The Knife (in versione ridotta priva del lungo strumentale centrale). L’apparato scenico è molto più sobrio (solo un notevole impianto luci, niente specchi e laser), però questi Genesis sono una macchina da guerra sul piano tecnico: Stuermer, al suo secondo tour, si mostra un valido sostituto di Hackett e anche di Rutherford al basso quando questi suona la chitarra, Banks è la solita colonna, Thompson un’eccezionale macchina ritmica e Collins butta in musica tutte le sue energie, cantando benissimo (alcuni concerti vengono però cancellati a causa della sua laringite) e duettando con Thompson alla grande.
L’esordio solista di Phil, il celebre Face Value, non tarda, ma il trio è in pista già nel settembre 1981 con Abacab, disco secco ed elettronico dove è arduo trovare i cromosomi dei vecchi Genesis. Contemporaneamente parte anche il tour, il cui aspetto scenico più rilevante sono ancora le luci, ora un sistema computerizzato chiamato Vari-Lite che la band utilizza per prima. Alcuni dei nuovi pezzi funzionano bene sul palco (Dodo, Abacab, Man On The Corner, No Reply At All, con i fiati degli Earth, Wind & Fire rimpiazzati dalla chitarra di Stuermer), altri sono troppo sofisticati (Me & Sarah Jane) o bizzarri (Who Dunnit?). Quest’ultima, tuttavia, rappresenta un momento ludico per i cinque musicisti, tutti dotati di occhiali da aviatore e con Mike alla seconda batteria. Proprio su questa canzone, il 3 ottobre a Leiden in Olanda, la band viene sonoramente fischiata, ma questo non ne scalfisce l’enorme successo, confermato nel 1982 dallo Encore Tour, così chiamato perché non legato a nessun album in particolare. Una serie di concerti dove i Genesis stravolgono del tutto la scaletta rispetto a pochi mesi prima inserendo anche brani mancati negli anni precedenti. Spicca la performance integrale di Supper’s Ready, epica suite che compie dieci anni, ma emozionano anche il ritorno di Dance On A Volcano e il bizzarro medley The Lamb / Watcher Of The Skies.
Nel mese di ottobre 1983 esce un nuovo album, per la prima volta chiamato semplicemente Genesis. Il tour che ne consegue, dal novembre 1983 al febbraio 1984, è riservato esclusivamente all’America, lasciando all’Inghilterra solo cinque concerti. Rivoluzionaria la disposizione della band, che durerà soltanto l’arco di questo tour: Banks è ora al centro del palco su una pedana, affiancato da altri due rilievi su cui sono disposte le due batterie (quella di Chester a sinistra, quella di Phil a destra), mentre in prima fila il cantante ha Mike alla sua destra e Daryl alla sinistra. Musicalmente i Genesis regalano concerti lunghissimi, 2 ore e mezza, continuando a perseguire il nuovo corso con Mama, Home By The Sea, That’s All e Illegal Alien (d’altro canto, sono questi i Genesis che hanno sfondato in America, non certo quelli dell’era Gabriel) e dando ai vecchi appassionati un contentino che sfortunatamente comincia a prendere la direzione del medley. Oltre a quello di In The Cage (dove ora figura però anche un estratto di In That Quiet Earth), il passato vive attraverso un fritto misto inaugurato da Eleventh Earl Of Mar, cui si aggiungono Squonk e Firth Of Fifth, che nel corso del tour vengono talvolta sostituite da Behind The Lines, Musical Box e The Lamb. Un terzo medley sopraggiunge inaspettatamente sul bis di Turn It On Again, quando durante un concerto Phil ci canticchia sopra il riff di Everybody Needs Somebody. Visto che funziona, Collins spinge i compagni a inserire frammenti di altri classici degli anni 60 (Satisfaction, The Last Time, All Day And All Of The Night, You Really Got Me, In The Midnight Hour, Gimme Some Lovin’, Pinball Wizard). Showman ormai navigato, Collins tiene in pugno folle sempre più numerose su Home By The Sea, costringendo tutti a ululare per entrare in contatto con l’altro mondo, o su Illegal Alien, quando con giacchetta attillata e occhiali da sole si improvvisa deejay azionando un radiolone.

Il successo solista di Collins, a metà anni 80, diventa immenso e condiziona le tempistiche della band. A Invisible Touch, che esce solo nel giugno 1986, segue un altro tour lunghissimo, che da settembre si trascina fino al luglio 1987. Per accontentare folle oceaniche i Genesis riempiono dapprima ampie arene americane, con sortite anche in Australia, Nuova Zelanda e Giappone, per poi spostarsi in stadi sia americani che europei e chiudere nel trionfo di 4 giorni consecutivi ai primi di luglio a Wembley. Perduta la dimensione intima, i Genesis predispongono uno spettacolo che possa essere gustato da ogni posizione con due schermi giganteschi alle estremità del palco. La musica però comincia a essere decisamente sbilanciata, come è forse inevitabile, verso l’attualità. Entra in scaletta praticamente tutto il nuovo album, che a momenti ben riusciti come Domino e The Brazilian affianca le tante e inevitabili hit: Land Of Confusion, Tonight Tonight Tonight, Throwing It All Away, Invisible Touch e In Too Deep. Quest’ultima e un’incantevole versione di Your Own Special Way vengono suonate in Australia insieme a una sezione d’archi per ottemperare a una legge locale che impone che in parte dello spettacolo vengano usati artisti del posto. Oltre a Los Endos, preceduta dal duetto di batteria fra Collins e Thompson, il passato rivive ancora nel medley di In The Cage, ora collegato a In That Quiet Earth e chiuso dalla sezione finale di Supper’s Ready (che però la band sostituirà in Europa con Afterglow).
Per ascoltare un nuovo album dei Genesis, We Can’t Dance, bisogna aspettare il 1991. Il tour, che comincia dall’America nel maggio 1992 direttamente negli stadi, si confronta immediatamente con i problemi della voce di Collins, che comporteranno l’estromissione della troppo impegnativa Mama dopo poche date e la cancellazione di un paio di show. Nonostante questo è ancora un trionfo su ambo le sponde dell’Atlantico. Buona la scaletta, con l’inserimento di sette pezzi nuovi, tutti riuscitissimi anche dal vivo (No Son Of Mine, Driving The Last Spike, Dreaming While You Sleep, Jesus He Knows Me, Hold On My Heart, I Can’t Dance e Fading Lights, fra i momenti più significativi perché Tony, Mike e Phil restano soli sul palco come ai tempi della sezione strumentale di Cinema Show). Il passato viene sintetizzato in un minestrone che adesso ha ufficialmente un nome: Old Medley. E per quanto certi momenti siano indubbiamente emozionanti (la sequenza Dance On A Volcano / Lamb / Musical Box / Firth Of Fifth), lascia un po’ freddi la decisione di inserire nella parte centrale di I Know What I Like microscopici frammenti non solo di Stagnation, ma anche di Follow You Follow Me e Illegal Alien. Da lasciare senza fiato, poi, lo spettacolo, trascinato da innovativi filmati proiettati su tre schermi giganti Sony Jumbotron, utilizzabili separatamente o tutti insieme. Il tour si chiude davanti ad oltre 100 mila spettatori a Knebworth il 2 agosto, ma ci sarà un’inaspettata replica fra ottobre e novembre del 1992, quando il gruppo suona una quindicina di show nei teatri inglesi, per la prima volta dai tempi di Duke.
Nel marzo 1996 Phil Collins annuncia la sua fuoriuscita dai Genesis. Uno shock a cui Banks e Rutherford reagiscono con inaspettato vigore, manifestando l’intenzione di andare avanti. Viene reclutato il cantante Ray Wilson e Calling All Stations vede la luce nel settembre 1997. I tempi, però, sono cambiati vorticosamente. Il grande pubblico ha voltato le spalle alla band, specie in America, dove l’album è un flop e il grande tour inizialmente pianificato viene dapprima spostato in luoghi più piccoli e infine addirittura annullato. L’album vende però discretamente in Europa, dove anche il tour ha un moderato successo, anche se ora bastano (e in qualche caso, come in Italia, avanzano pure) i palasport. Tour che va avanti dalla fine di gennaio agli inizi di aprile 1998, con diversi brani tratti dal nuovo disco, alcuni fissi (Calling All Stations, There Must Be Some Other Way, Congo, The Dividing Line), altri solo in alcuni concerti (Alien Afternoon, Shipwrecked, Not About Us). Tony e Mike indovinano a sfruttare la calda voce di Wilson per brani dell’era Gabriel (come Lamb e Carpet Crawlers, entrambe integrali, mentre di Firth Of Fifth viene eseguita solo la parte strumentale), ma si ostinano a suonare canzoni che erano troppo caratterizzate dalla presenza e dal timbro di Collins, come l’intera sequenza conclusiva (Invisible Touch, Turn It On Again, Throwing It All Away, I Can’t Dance). Interessante invece il set acustico, con brevi versioni di Moonlit Knight, Lovers’ Leap e Follow You Follow Me per voce e tre chitarre acustiche: Mike, Tony e Anthony Drennan, che sostituisce Stuermer, mentre alla batteria siede l’israeliano Nir Z. Wilson, poi, non ha il carisma di Gabriel né la comunicativa di Collins, e le sue presentazioni sono sempre molto sobrie, a parte uno scherzo bizzarro in cui paragona le torri che ornano il palco alle compagne di Tony e Mike. Torri mobili che rappresentano uno dei pochi artifizi tecnici di un tour dimesso anche sul piano spettacolare, poiché gli schermi Jumbotron vengono utilizzati molto raramente (erano ovviamente concepiti per spazi più ampi).
Sembra veramente la fine della parabola live dei Genesis, specie quando qualche anno dopo trapelano voci sempre più insistenti di scioglimento. Fino al novembre 2006, quando, sfumata la ventilata reunion della line up storica, Tony, Mike e Phil annunciano in conferenza stampa il Turn It On Again Tour. In tutto oltre 40 date equamente divise fra Europa (giugno-luglio 2007, con l’epilogo al Circo Massimo di Roma davanti a mezzo milione di spettatori) e Nord America (settembre-ottobre 2007), rigorosamente pianificate in stadi o in grandi arene, nonostante Collins preferisca parlare di «a selection of shows». E che show. Una faraonica struttura a forma di W con due megaschermi ovoidali ad altissima risoluzione ai lati e un enorme muro con 90 milioni di led alle spalle della band, che diventano un ulteriore gigantesco schermo. La scaletta, in mancanza di un nuovo disco da promuovere, presenta grande equilibrio fra vecchio e nuovo, con qualche ripescaggio emozionante (Ripples e Behind The Lines, ma anche Los Endos, Firth Of Fifth strumentale e il medley In The Cage, ora con Duke’s Travels), ma pure con le consuete riproposizioni di brani commerciali prima della inattesa chiusura di show con Carpet Crawlers. La performance è ottima, ma non esente da pecche. I rientrati Stuermer e Thompson sono due rocce e anche Banks dimostra di aver spolverato accuratamente la ruggine dalle dita. Rutherford appare inappuntabile al basso, non sempre preciso alla chitarra. Collins fa quello che può: ricorda ancora come suonare la batteria (ma le sue parti appaiono leggermente semplificate) e canta bene (ma le tonalità sono quasi tutte abbassate rispetto agli originali). Un colpo di coda di alta classe per una band il cui tour 2007 rimane l’atto finale. Per ora, almeno…
(Grazie a Mino Profumo)

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