11/05/2007

Janis Joplin

Scacco matto alla Regina di Cuori

“4 ottobre 1970. Sono nella mia stanza del Landmark Hotel di Hollywood quando nel tardo pomeriggio ricevo una telefonata da Seth Morgan, il fidanzato di Janis. Sta chiamando da San Francisco. Mi dice che al suo arrivo a Los Angeles si sarebbe dovuto incontrare con Janis. Luogo dell’appuntamento, l’aeroporto di Burbank. Per confermarle il tutto, Seth ha provato a cercare Janis presso lo studio di registrazione dove lei, Paul Rothchild e i musicisti della Full Tilt Boogie Band stanno completando il nuovo album; ma gli è stato riferito che Janis non è lì. Non ne sanno nulla: non l’hanno neppure sentita.

“Allora dico a Seth che, una volta terminata la telefonata, mi sarei recato da Paul, allo studio, e avrei cercato di rintracciarla ricordandole l’appuntamento. Uscendo dall’albergo insieme a Vince Mitchell e a Phil Badella, due tecnici dello staff di J.J., noto l’auto di Janis parcheggiata nel vialetto di fronte all’hotel. Pur essendo in ritardo (avrei dovuto essere presente in studio già da un paio d’ore), decido di verificare se lei è ancora in camera. Vado alla reception, prendo una chiave e salgo.

“Appena entrato in camera, vedo Janis riversa, tra letto e comodino. Non ho quasi bisogno di toccare il suo corpo, già freddo e rigido: capisco immediatamente che è morta. Richiudo a chiave la camera, scendo di corsa in garage e, sconvolto, racconto tutto a Vince, Phil e a un altro amico che era con loro. Subito dopo telefono a Bob Gordon, l’avvocato di Janis, che mi raggiunge di lì a poco. Poi chiamo il suo impresario Albert Grossman, a Woodstock. Nel frattempo Gordon rintraccia suo cognato medico che giunge al Landmark qualche minuto dopo di lui.

“Io e Bob Gordon andiamo dal direttore dell’albergo Jack Hagy per comunicargli la ferale notizia. Hagy e Gordon avvisano la polizia. Io faccio la penosa telefonata ai genitori di Janis. Prima che i poliziotti e il coroner giungano al Landmark, mi reco allo studio per rendere partecipi del fatto Paul Rothchild e i musicisti.

“Ho trovato il corpo di Janis alle 19.30 circa. Alle 21 la notizia stava già diffondendosi in tutta la città”.

Questo il racconto di John Byrne Cooke, oggi fotografo e sceneggiatore affermato, che dal dicembre 1967 sino al 4 ottobre 1970 è stato tour manager e amico personale di Janis Joplin. Il destino ha voluto che fosse lui, quella sera d’autunno nel Sud della California, a rinvenire il corpo senza vita della prima e, forse, più grande regina del rock.

Oggi, a 35 anni di distanza dalla sua morte, è giusto chiedersi cosa rimane dell’arte di Janis Joplin, che emozioni provochi ancora l’ascolto della sua incredibile voce, che fascino continui a suscitare, su vere o presunte rockstar, l’inimitabile carattere del suo personaggio.

Così come, in modo altrettanto legittimo, è doveroso domandarsi se si celino misteri dietro la sua imprevista e imprevedibile scomparsa.

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“Ma come fai a lamentarti?” la sgridava solo qualche mese prima la sua ex fiamma Kris Kristofferson. “Hai tutto quello che vuoi: una bella casa, il produttore dei tuoi sogni, musicisti bravi che ti vogliono bene e un ragazzo che desidera sposarti”.

Tutto vero?

Effettivamente, con l’aiuto di Nick Gravenites e Albert Grossman, dal maggio 1970, Janis ha una band come si merita: quattro canadesi (Brad Campbell al basso, John Till alla chitarra, Ken Pearson all’organo e Richard Bell al piano) e un americano, il batterista Clark Pierson. Li chiama Full Tilt Boogie Band e i ragazzi si affezionano subito alla loro lead singer.

Anche Paul Rothchild, produttore dei Doors, è al suo fianco, pronto a prendersi cura del nuovo album.

E a salvarle la voce.

“La sua generosità come performer unita a una certa inesperienza” commentava il celebre producer morto di cancro al polmone nel 1994 “rischiavano di spaccarle la gola. Janis, pur senza risparmiarsi, doveva imparare a preservare le corde vocali. Le stavo insegnando a esercitarsi per mantenere un maggiore controllo”.

“Non preoccupatevi” tuonava lei in uno di quei suoi impeti furiosi che erano diventati leggendari “vorrà dire che se perderò la voce aprirò un bar a North Beach!”.

“Gli insegnamenti di Rothchild stavano funzionando” commentava John Cooke “Janis non aveva mai cantato tanto bene in vita sua!”.

Anche la nuova casa di Larkspur, nella Contea di Marin, era ciò che sognava. Così come Seth Morgan, il ragazzo che le aveva chiesto di sposarla. Ma che, secondo quanto scrive Alice Echols nel suo Scars Of Paradise – The Life And Times of Janis Joplin, non piaceva per niente alle sue amiche. “Un figlio di puttana dalla personalità inconsistente” lo definiva Sunshine, l’amichetta di origini indiane che tanto divertiva Janis. “Un tipo orribile” aveva sentenziato Linda Gravenites, amata confidente nonché stilista di fiducia. Non solo.

Secondo fonti sicure, il bel Seth non era affatto quello che sosteneva di essere. E cioè il ricco erede del banchiere J.P. Morgan; si chiamava effettivamente Morgan, ma suo padre era un poeta e lui un semplice studentello di Berkeley con il vizio della cocaina. E forse, neppure così innamorato di Janis.

Racconta Laura Joplin, nel libro Love, Janis, che nemmeno un mese dopo che i resti di sua sorella erano stati cremati e le ceneri, secondo la sua volontà, sparse al vento lungo le coste della Marin County, Seth aveva tentato di infilarsi nel suo letto nel corso di un party che si era tenuto al Lion’s Share di San Anselmo. E che, dopo il rifiuto di Laura, si era messo a far sesso con un’altra ragazza. “Un vero pezzo di merda” era stato il commento di Laura “scoparsene un’altra proprio alla festa di commemorazione di Janis.”.

Già, perché dopo aver partecipato al party post mortem voluto da un suo amico Hell’s Angel, un certo Chocolate George, anche Janis aveva previsto nel suo testamento un lascito di 2.500 dollari per finanziare una celebrazione, in suo onore, in caso di morte.

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“Se le cose non cambiano” aveva detto Janis nella primavera del 1970, provocando così la dura reazione di Kristofferson “mi sa che riprendo a farmi”.

Non parlava di lsd, alcol o barbiturici. Quel “farmi” aveva un riferimento preciso e significava una sola cosa: eroina.

L’ago era stato suo compagno fedele tra la prima metà del 1968 e la fine del 1969. Tanto quanto lo era stata Peggy Caserta, amica, amante e compagna di buchi.

Più volte, le due, avevano sfiorato l’overdose. E si erano salvate per un pelo.

“Non vedi quanto sono forte? Non ho paura di nulla” diceva Janis all’amico Sam Andrew quando i due scorrazzavano ad alta velocità per le strade della Bay Area di San Francisco, sulla Porsche Carrera che la Joplin aveva fatto ridipingere dal pittore psichedelico Dave Richards.

Eppure, mai come in quella lunga estate del 1970, Janis sembrava fragile. Nonostante (secondo il pensiero di Kris Kristofferson) le piacevoli atmosfere che la circondavano.

Mai come in quel periodo, infatti, le distanze tra la ragazzina texana di 27 anni trapiantata a San Francisco e la belva sexy che calcava i palchi d’America, tra Janis, la grande appassionata di folk, jazz e blues, e Pearl, la rockstar scontrosa e viziata, sembravano incolmabili.

Mai come in quel periodo i comportamenti estremi della Joplin sembravano ai confini della schizofrenia.

“Janis era fatta così” diceva Country Joe McDonald, quando i due vivevano da fidanzatini in una mansarda di Lyon Street, nel cuore di Haight-Ashbury, la roccaforte hippie di San Francisco. “Un istante era in lacrime (lei piangeva moltissimo) e un minuto dopo insultava tutti come un camionista. O addirittura si metteva a tirare cazzotti”.

La Janis violenta l’avevano sperimentata, tra gli altri, Peter Albin, bassista di Big Brother & The Holding Company con cui aveva fatto a pugni, e Jim Morrison, che a una festa newyorchese dopo averla umiliata s’era beccato una bottiglia di Southern Comfort in testa. Ma anche Jerry Lee Lewis, il killer del rock’n’roll.

Jerry Lee suona al Pelican Club di Port Arthur, Texas il 14 agosto 1970 proprio nei giorni in cui la Joplin aveva deciso di tornare a casa per far visita alla famiglia e partecipare a una riunione con i vecchi compagni di scuola.

Janis porta sua sorella Laura a vedere il concerto. Alla fine del quale le presenta la vecchia star del rock’n’roll che si rivolge a lei dicendole: “Saresti anche carina se non ti conciassi come tua sorella.”.

Janis tenta di tirargli un cazzotto ma Jerry Lee è più rapido e le sferra un gancio urlando: “Se questa stronza si comporta da maschiaccio, la tratto come tale”.

“Janis era facilmente adescabile dagli uomini” commentava spesso Peggy Caserta. E non solo per gelosia. Peggy è stata una che Janis l’ha conosciuta bene: forse proprio lei è stata, tra alti e bassi, tra separazioni e riunioni, la sua relazione sentimentale più stabile. “Ha sempre avuto il complesso di essere brutta” diceva di Janis Chet Helms, il grande inventore della Avalon Ballroom e primo manager di Big Brother & The Holding Company “e, così, appena un uomo le mostrava attenzioni lei cedeva all’istante”. “Me ne sono fatti più di mille!” si vantava la cantante con le amiche che però sapevano bene che Janis (anche quando urlava al pubblico di far l’amore con 25mila persone), il più delle volte tornava a casa da sola.

A metà settembre 1970 Janis sta per iniziare le registrazioni del nuovo album sotto la guida di Paul Rothchild. La notizia della morte di Jimi Hendrix l’ha colpita moltissimo. I giornalisti la chiamano per avere un suo commento. “Mi chiedo” confessa Janis ai suoi amici “cosa diranno di me quando sarò morta”. “Tranquilla” le diceva Peggy Caserta “due rockstar non possono morire lo stesso anno”. “Già” le faceva eco Seth Morgan “poi tu non sei stupida. Morire dopo uno come Hendrix, assai più famoso di te, sarebbe una sciocchezza imperdonabile”. “Mi sa” le rispondeva una Janis fatalista “che anche stavolta Jimi mi ha battuta sul tempo.”.

Gli studi di registrazione scelti da Rothchild sono a Los Angeles e la Joplin decide di stabilirsi al Landmark Hotel di Hollywood. È un posto che conosce bene e che viene abitualmente utilizzato dall’ambiente rock. Lo chiamano anche Land Mine e più che l’atmosfera rilassata o il design pseudo polinesiano, decisamente kitsch, quello che attira lì gli artisti è il fatto di essere, come ricordava David Crosby, “il posto più vicino ai pusher della zona”. Tra i quali il fidatissimo George, quello che prima di venderle una dose di eroina la sottoponeva a un test chimico. E proprio in George si imbatte Janis nella hall del Landmark, poco dopo il suo arrivo nel Sud California.

“L’avevo sentita in quei giorni” ricorda Peggy Caserta “ma lei non aveva voluto incontrarmi. Sei pulita?, mi chiedeva, perché se non è così, non voglio vederti. Io sono fuori da quella merda. E non ci voglio più rientrare!”.

Vero.

La nuova passione di Janis, prima di scendere a Hollywood, era la tequila. “Mi serve per cantar meglio” sosteneva “e poi mica mi verrete a dire che mezza bottiglia di tequila al giorno fa male? Quando la bevo sto benissimo!”.

Sempre meno gentile e sempre più ubriaca, sempre meno Janis e sempre più Pearl, la Joplin da quando inizia a lavorare al disco ritrova fiducia ed entusiasmo.

Myra Friedman, segretaria di Albert Grossman ma diventata ben presto una cara amica della Joplin, nella bella biografia Janis Joplin: Morire di blues scrive che “le registrazioni erano piuttosto faticose ma non più di quanto fosse prevedibile. C’era un problema nella scelta del materiale. Paul (Rothchild) e Janis passavano uno straordinario numero di ore ad ascoltare nastri e a decidere le canzoni da fare. Dato che sembrava esserci, almeno potenzialmente, un album di qualità assai superiore a tutto quanto avesse mai registrato in precedenza, Janis era in ansia. La scelta del repertorio era un fattore cruciale: c’era molta tensione tra tutti”.

“Eppure” ricorda sempre la Friedman “nelle nostre frequenti conversazioni, nulla (nella voce di Janis) tradiva lo scoramento di cui ero stata testimone per tutta l’estate”.

Myra Friedman, negli ultimi tempi, aveva paura.

Non riusciva più a seguire Janis e la cosa le dispiaceva.

Ma, soprattutto, non riusciva a togliersi dalla mente quell’immagine di Janis in un bar newyorchese.

Era l’11 agosto 1970 e la Full Tilt Boogie Band si era esibita a Holmdel nel New Jersey. Dopo il concerto, tornati a New York, si erano fermati in un bar, El Quijote.

“Janis sta male” le dice l’amico John Fisher “ha appena vomitato in macchina”.

Myra entra nel bar e vede Janis “seduta su uno sgabello, con una vodka e un succo d’arancia davanti a sé. Cos’è ‘sta storia che hai vomitato?” le chiede. “Non è niente” dice Janis “qualche volta mi succede”.

Myra resta colpita dal volto di Janis.

“Era chiazzato di uno strano rosa pallido” ricorda “e pareva di consistenza molle e gonfia. Mi sembrò che avesse un aspetto tremendamente malato”.

Nessuno però ci fa caso, tutto l’entourage di Janis e i suoi amici sono di nuovo pronti a fare casino.

Ma un musicista, lì presente, Toby, ha la stessa, bruttissima sensazione di Myra.

Tanto che, non molto tempo dopo, le telefona e le dice: “Myra, sei l’unica con po’ di sale in zucca che vuole bene a Janis. Quella ragazza sta morendo. Devi aiutarla. Se non lo fai tu non ci penserà nessuno. E Janis morirà”.

Myra Frieman non rivedrà mai più Janis viva dopo quella volta al El Quijote.

Le sedute di registrazione del nuovo album sono intense. Ma, per Janis, il più delle volte, anche alquanto noiose. Non è raro, infatti, vederla aspettare ore prima di poter registrare la sua voce in attesa che la base strumentale venga completata.

In una di queste lunghe pause, per divertire la truppa, Janis si mette a canticchiare una canzoncina che aveva scritto una sera, in un bar, insieme a Bobby Neuwirth. Erano stati ispirati dalla strofa di un poemetto scritto dal poeta beat Michael McClure che diceva: “Oh, Lord, won’t you buy me a Mercedes Benz”.

Mai, Janis, avrebbe pensato di inserire quella cosa buffa nel disco. Il pezzo, comunque, viene registrato al volo con Janis che, divertita, lo canta davanti ai suoi amici.

È il 1° ottobre, e quel brano scherzoso passa alla storia come la sua ultima registrazione ufficiale. Destinato, ironia della sorte, a diventare uno dei suoi pezzi più popolari: tanto che ancora oggi lei, amante e superba interprete di grandi classici blues e jazz, viene dai più ricordata per una canzoncina a cappella di neanche due minuti.

“Sono stati giorni piena di gioia” ricorda Paul Rothchild delle session di Pearl “ci siamo divertiti moltissimo. E al tempo stesso abbiamo sperimentato nuove idee musicali. Janis era una di noi. Non voglio apparire maschilista, ma lei (unica donna del gruppo), non ci ha mai fatto sentire a disagio. Si comportava come un ragazzo. Era solita dire: chi tra noi ha i coglioni più grossi? Io!”.

Eppure, Janis non ha le palle per star fuori dall’eroina.

Secondo la testimonianza di sua sorella Laura, “Janis aveva confessato a Seth che, in quei giorni, era tornata a bucarsi. Diceva che il lavoro era duro e lei non poteva permettersi di andare a registrare quando era ubriaca. Aveva bisogno di sostegno. Ma non appena finito l’album si sarebbe ripulita”.

Janis si faceva da sola, più spesso di sera, per quietarsi e dormire in pace.

Per lei l’eroina era una specie di tranquillante.

“Alla fine di ogni concerto” ricorda Myra Friedman “Janis si iniettava eroina. Era per abbassare il tasso di adrenalina e ritrovare uno stato di calma”.

“Non c’è peggiore falsità” incalza Laura Joplin “di quella che sostiene che Janis si facesse allo scopo di enfatizzare il suo carattere ribelle. Io l’ho vista sotto eroina, sembrava una ragazzina di 15 anni, timida e impaurita”.

In quei giorni Linda Gravenites, l’unica che sgridava Janis e che minacciava di abbandonarla se fosse tornata a bucarsi, era lontana. E Seth non faceva né diceva nulla per aiutare Janis a star lontana dall’ago.

“So che Janis glielo chiedeva spesso” confessa con amarezza Laura Joplin. “Mia sorella, a volte, lo ha supplicato: Seth, per piacere, aiutami a smettere. Ma lui non ha mai mosso un dito”.

Non ci sono molte testimonianze sulle ultime ore di Janis. La settimana prima lei era a Santa Fe, New Mexico, per una session fotografica con Lisa Law organizzata da Albert Grossman. Si trattava della sua prima campagna pubblicitaria: Janis sarebbe stata la testimonial di una ditta di sigari.

Lì aveva parlato con Pat Nichols e si erano dati appuntamento a L.A. lunedì 5 ottobre, per andare a vedere un film di Toshiro Mifune.

Tornata a Los Angeles, Janis si era sentita al telefono con Jerry Ragovoy, un suo amico songwriter che stava a New York.

“Ho scritto la canzone che mi avevi chiesto” le dice Jerry “si chiama I’m Going To Rock’n’Roll Heaven” (titolo profetico).

Janis è entusiasta e non sa resistere.

“Cantamela al telefono” gli chiede e, dopo averla ascoltata, esclama: “Jerry, è bellissima! Fai immediatamente un demo e mandalo a Paul”.

Lo stesso accade con Nick Gravenites. Che era a Los Angeles e, in quei giorni, aveva composto Buried Alive In The Blues (altro titolo più che profetico).

Il 1° ottobre Janis, che nel weekend precedente aveva avuto una lite furibonda con Seth, come racconta Myra Friedman, “si reca in un salone di bellezza per farsi fare delle meche ai capelli. Aveva seguito una specie di cura dimagrante ed era anche abbronzata, dopo aver passato molte ore in piscina. Non era un comportamento normale per lei.

“Di fatto, però, tutti erano colpiti dal suo aspetto (insolitamente) attraente”.

Quello stesso giorno Janis firma una revisione del suo testamento, originariamente redatto nel 1968: metà dei beni ai genitori, un quarto a suo fratello Michael e un quarto a sua sorella Laura.

Sabato 3 ottobre 1970: in mattinata Janis fa una serie di telefonate dalla sua camera d’albergo. Chiama il municipio (trovandolo chiuso), forse per informarsi sulle procedure matrimoniali.

Poi una sarta che le stava preparando dei vestiti. Quindi telefona a George, il suo spacciatore di fiducia.

Deve fare tre o quattro chiamate prima di rintracciarlo: probabilmente aveva finito l’eroina. George fa la sua consegna nel primo pomeriggio. Janis, prima di andare a registrare, si fa un buco, usando (presumibilmente) un rimasuglio di eroina della fornitura precedente. Non cercava lo sballo: doveva andare a lavorare, una minima quantità era sufficiente. Infatti, nel tardo pomeriggio fa un salto in studio. Giusto il tempo di ascoltare la base strumentale di Buried Alive In The Blues, dato che la voce sarebbe stata registrata il giorno dopo. Sono presenti più o meno una ventina di tecnici e musicisti tra i quali Bobby Womack. Finita la session si fermano tutti a scherzare per qualche minuto. Solo Vince Mitchell nota una misteriosa espressione sul viso di Janis, “uno sguardo strambo”, scrive Alice Echols, “uno strano bagliore”, dice Myra Friedman.

Ma lo rimuove dalla memoria.

Intanto il gruppo lascia la sala d’incisione per dirigersi al Barney’s Beanery, un bar frequentato spesso da Janis e dai suoi amici. Lì, la Joplin rimane appartata con Ken Pearson, il suo tastierista, con cui discute di musica e dei brani del nuovo album.

Ma trova il tempo di fare una delle sue battute fulminanti. Rivolgendosi ai suoi musicisti, esclama: “Mi volete bene, vero? Sappiate che, se qualcuno di voi si azzarda a mollarmi, lo ammazzo!”.

Dopo aver bevuto un paio di bicchieri di vodka con succo d’arancia, Janis e Ken tornano al Landmark.

Quando Janis sale in camera, sola, è mezzanotte e mezza. Quella notte, lei aveva sognato di trascorrerla insieme a Peggy e Seth. Ma Peggy aveva deciso di dormire con la sua nuova fiamma al Chateau Marmont mentre quello stronzo di Seth stava sicuramente cazzeggiando con qualche cameriera del Trident, il suo bar preferito.

La sua stanza, che aveva personalizzato con una coperta indiana e una miriade di candele, le appare più vuota che mai. Myra Friedman sostiene che Janis, “decisa veramente a smettere con la droga, ha buttato tutta l’eroina che aveva nel cestino”.

E che “dopo essersi fatta l’ultimo buco, ripone la siringa in una scatola cinese e la chiude in un cassetto mentre, di solito, la teneva sopra il tavolino da notte”.

Poi, si accorge di non aver più sigarette.

Scende nella hall, parla con Jack Hagy (l’ultima persona che la vede viva e che chiacchiera con lei) che gli cambia 5 dollari in moneta così che possa usarle per la macchinetta dell’hotel.

Risale in camera e, presumibilmente, crolla a terra, tra letto e comodino.

La droga che George le aveva dato era da 4 a 10 volte più potente del solito, pura al 40, 50%.

Il fidato George, che faceva sempre testare l’eroina da un chimico, quella volta non ha avuto il tempo di farlo. Nella stessa settimana, a Los Angeles, si segnalano una decina di overdose.

Janis Lyn Joplin aveva 27 anni.

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