20/03/2007

Jeff Tweedy

Nella grande chiesa rock

È il “day after” quando ho l’opportunità di scambiare qualche parola al telefono con Jeff Tweedy a proposito del dvd solista pubblicato a metà novembre. È il giorno dopo le midterm elections americane, le elezioni in cui si rinnova il parlamento, e la vittoria dei democratici appare evidente. Tweedy non nasconde la soddisfazione: “Sono davvero sollevato nel vedere che gli americani si sono finalmente svegliati” dice. “Posso solo sperare che adesso le cose vadano meglio. Ti dico la verità, ho pensato a lungo a cosa avrei fatto se non fosse andata così, se fosse stata un’altra notte deludente come accadde nel 2004”. Poi aggiunge: “Anzi, a dirla tutta sono deluso sin dai risultati del 2000, quando Bush rubò le elezioni, frustrato e meravigliato che sia andata avanti così a lungo”.

È un Jeff Tweedy di ottimo umore, non solo per motivi politici, quello con cui sto parlando. Uno dei registi del dvd Sunken Treasure, Brendan Canty, ha recentemente detto che “Jeff Tweedy sta davvero bene adesso, è veramente arrivato in un posto dove può esprimersi al meglio”. Chiunque abbia visto i Wilco durante l’ultima esibizione italiana, a Milano nel settembre 2005, può capire queste parole, così come lo capirà guardando questo dvd. Sono lontane le tristi vicende mai del tutto chiarite relative al suo ricovero in clinica di qualche anno fa, e quando dico a Jeff che quelle parole di Canty sono evidentemente da intendersi da un punto di vista artistico, taglia corto in modo deciso: “Sono felice di essere felice. Vuoi che parliamo di musica? Non vuoi che parliamo di musica? Di qualunque cosa tu voglia parlare, va bene, non me ne frega nulla, mi sento a mio agio nella mia pelle più di quanto lo sia mai stato, e questa è una rivelazione più per me che per chiunque altro. Credo sia una cosa bella che possa accadere e sicuramente non l’ho mai data per scontata, fare questo lavoro è l’unica cosa che ho sempre voluto e poterlo fare è la cosa più bella che abbia mai potuto chiedere”.

Conclude soppesando bene le parole: “È difficile che uno riesca a vivere facendo ciò che ama”.

Sunken Treasure è un dvd che, oltre a contenere ottima musica, è stato curato in maniera splendida dal punto di vista cinematografico. Lascia percepire in modo evidente il senso di straniamento che può vivere chi, come un musicista in tournée, si trova a spostarsi in fretta dalla fredda e piovosa Seattle per giungere fino alla soleggiata San Francisco: flash di strade, motel, sexy shop, fast food e persone incrociate di sfuggita, momenti di intimità nei camerini, intime riflessioni: “Christoph Green e Brendan Canty sono i migliori nel loro campo. Avevamo già lavorato insieme per un film sui Wilco, e sono un fan della loro serie di dvd Burn To Shine, dove prendono gruppi locali, li filmano mentre suonano in una casa e poi la casa viene distrutta. Ho lasciato loro ogni input riguardo al film, a essere onesto non ho neanche guardato il dvd definitivo, sono sicuro che hanno fatto un grande lavoro”.

E la cosa divertente è che lui, il protagonista, non ha neanche scelto le canzoni da inserire nel film: “Hanno reso tutta l’esperienza davvero confortevole, non pensavo alle telecamere quando mi esibivo. Alla fine di un concerto pensavo: se è stato una merda, il dvd non uscirà, oppure mi servirà da lezione per farne uno maggiormente interessante. Ho lasciato che decidessero loro quali canzoni utilizzare, avevano una sceneggiatura e una linea narrativa da seguire, per cui non sono state neanche inserite le performance migliori dal punto di vista musicale. Sono sicuro che ce ne sono alcune dove ho fatto delle evidenti cazzate. Ma va bene così. L’ho guardato una volta sola con mia moglie e lei è sembrata apprezzarlo. Per cui, se piace a lei, allora va bene” conclude ridacchiando.

Sarà stata un’idea dei registi, ma l’affascinante sentimento che scorre per tutto il dvd, e cioè quella sottile solitudine che circonda l’artista e che poi si scioglie per essere spazzata via quando avviene l’incontro con il pubblico, dando un senso fisico di comunità come nella miglior (e ormai rara) tradizione dei folksinger di vecchia scuola, deve aver fatto piacere anche a lui: “È come trovarsi catapultati in una comunità. A un concerto rock avviene una sorta di comunione tra le persone presenti – e in questo includo anche il performer – che non trovi da nessun’altra parte”. Come dovrebbe accadere in chiesa, se la chiesa fosse quello che dovrebbe essere, dice Jeff Tweedy nel film: “Sfortunatamente la chiesa non mi ha attirato in alcun modo, per quel poco che l’ho frequentata. Non mi ha mai dato il senso di una comunità dove la gente si sentisse a proprio agio, viceversa l’ho sempre vissuta come un posto dove la gente si guardava con sospetto e si giudicava a vicenda, e non ho mai vissuto alcunché di trascendentale. Invece, essere parte di un pubblico rock, oppure essere sul palco al servizio di un pubblico rock sera dopo sera senti che esiste qualcosa di più grande di me o di quel particolare gruppo di persone, e la possibilità di perdere te stesso in questa identità, di trovarsi in un posto dove sentirsi al sicuro. Il concerto rock è l’unico posto dove ho sentito di avere un’esperienza di intimità con un vasto gruppo di persone”.

Certo che l’idea di un musicista “al servizio del pubblico” suona come qualcosa di inusuale, in un mondo dove esiste una separazione netta tra l’idolo che si “sbatte” sul palco e il pubblico adorante ai suoi piedi. Lo dice chiaramente nel dvd, Tweedy: bisognerebbe arrendersi all’idea che sei al servizio di qualcun altro. “Ti senti un po’ più intelligente a dire che non sei solo quel tipo sul palco con una chitarra, ci farebbe sentire tutti un po’ meglio se ammettessimo di non essere al mondo solo per noi stessi. Magari suona un po’ fuori moda, o magari sembro un vecchio hippie (ride, nda), ma credo sia davvero un bel modo di comportarsi, non conosco altro modo per sentirmi meglio come essere umano”.

 

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È in studio, Jeff Tweedy, mentre avviene questa conversazione. È ovvio chiedergli a che punto siano le lavorazioni per il successore dello splendido A Ghost Is Born dei Wilco. “Siamo qui da una settimana” dice. “Abbiamo già fatto diverse sedute due mesi fa in cui abbiamo gettato le basi del disco e adesso lo stiamo terminando. Jim O’Rourke si occuperà anche questa volta del missaggio. Per quanto la produzione abbiamo fatto come al solito tutto da soli”.

E cosa dovremmo aspettarci dal nuovo disco? “Sono molto soddisfatto di come sta venendo fuori. Sarà il nostro disco più simile a Being There (il loro album più alternative country, prima della svolta “elettronica”, nda). Con la differenza che adesso siamo dei musicisti diversi. e migliori”.

Nel dvd c’è un brano inedito, The Thanks I Get. Sarà sul nuovo album? “Non ho ancora deciso. È un pezzo che facciamo dal vivo da diverso tempo, l’avevo scritto per il disco di Solomon Burke prodotto da Joe Henry, ma non feci in tempo a finirlo per la consegna prevista. Mi piace molto, chissà.”.

Lo saluto chiedendogli cosa ne pensa di quanto ha recentemente scritto la rivista inglese Q, che ha piazzato Kicking Television, il live dell’anno scorso dei Wilco, tra i migliori venti dischi dal vivo di tutti i tempi. Ridacchia: “Prendo queste cose un po’ di distacco. Nella prossima classifica, fra dieci anni, si saranno già dimenticati di noi.”.

 

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