06/03/2015

La Storia dei Pretty Things (più intervista)

E’ uscito il box set “Bouquets From A Cloudy Sky”. Un’opera completa e un ottimo pretesto per intervistare Dick Taylor
Dopo oltre 50 anni dai loro esordi i Pretty Things decidono di dare alle stampe un’opera completa che riassuma con precisione tutta la loro carriera. È un giusto e comprensibile orgoglio di fare rivivere ai vecchi fan e alle nuove generazioni le emozioni degli inizi e tutte le variazioni di percorso che una band come la loro ha avuto il coraggio di affrontare. Si tratta di un box set a cui hanno dato il nome di Bouquets From A Cloudy Sky e che comprende: undici album in studio realizzati su cd, più altri due cd di bonus che contengono 45 pezzi tra demo, versioni alternative, registrazioni dal vivo mai pubblicate; due DVD che ci regalano un nuovo documentario su di loro dal titolo Midnight to Six 1965-1970 e S.F. Sorrow Live At Abbey Road, The Pretty Things On Film; un libro illustrato di 100 pagine pieno di curiosità e memorabilia e una serie di altri gadget e bonus che fanno la felicità dei fan. Insomma, l’attesa opera davvero completa di una band che ha fatto storia.
 
Siamo nei primissimi anni ’60, la scena musicale inglese è in ebollizione. Il beat è alle porte, ma non ha ancora dato inizio alle danze. Decine di piccole band si formano e si sciolgono nel giro di pochi mesi alla ricerca del giusto sound e della giusta line-up. È il 1962 quando Dick Taylor, Keith Richards e Mick Jagger, studenti del Sicup Art College, formano i Little Boy Blue; sembrano tre ragazzi che come tanti altri cercano di dare sfogo alle loro passioni, ma pochi mesi dopo incontrano Brian Jones e fondano i Rolling Stones. Dick per un po’ lascia la chitarra a Brian e imbraccia il basso, ma oltre a continuare a suonare è anche determinato a finire gli studi e così abbandona di sua volontà la band. Alla musica ritorna un anno più tardi quando incontra, sempre nello stesso college, il coetaneo Phil May con cui forma i Pretty Things. Taylor si ributta sulla chitarra, mentre Phil, che ha una bella voce, diventa il vocalist di ruolo e suona l’armonica: alla sezione ritmica arrivano John Stax e Brian Pendleton. Manca ancora un batterista di ruolo e per i primi tempi si reclutano musicisti occasionali, poi finalmente incontrano Viv Prince e il gioco è fatto. Nel 1964 esce il primo singolo Big Boss Man, ma è il successivo Don’t Bring Me Down che entra in classifica e dà loro la notorietà. Il loro sound è fatto di un rhythm ‘n’ blues potente che influenzerà anche i cugini Stones. Il primo album esce nel 1965 e, manco a dirlo, si chiama Pretty Things che vale loro una tournée in Australia, la quale però si rivelerà problematica e darà il via alle numerose defezioni che caratterizzeranno la band nel futuro. Il primo ad andarsene è proprio Prince che viene sostituito da Mitch Mitchell, il quale più avanti darà il suo meglio con Jimi Hendrix, e poi da Skip Alan. Durante le registrazioni di Get The Picture? se ne vanno anche Stax e Pendleton a cui subentrano John Povey e Wally Allen. La band è una continua fucina di idee che crea parecchio turnover, ma non impedisce a Taylor e May di essere lucidi e produttivi. Il grande momento arriva nel 1968 quando Phil scrive la prima opera rock in assoluto, S.F. Sorrow. È la storia della vita del protagonista che va dalla nascita alla delusione della tarda età e si svela canzone dopo canzone, passando attraverso momenti intermedi che parlano di amore, guerra e difficoltà. Una specie di Tommy degli Who con un anno di anticipo. Il suono si fa più acido, con velleità psichedeliche, e in studio si alternano vari musicisti, tra cui il batterista Twink Alder, allora considerato un guru dell’underground. Nonostante la realizzazione dell’ottimo Parachute, la decade dei 60s si conclude con il gruppo in forte crisi, sull’orlo dello scioglimento, che arriverà puntuale nel 1971. Ma è solo un momento di ripensamento perché Dick e Phil si ritrovano ben presto con idee nuove che spiazzano il loro pubblico. Nel ’72 si ripresentano infatti con Freeway Madness che propone un sound tra il pop e l’hard rock ed è tutt’altra cosa rispetto al grintoso rhythm ‘n’ blues del passato. Dopo una parentesi con due membri dei Sunshine che suonano in Silk Torpedo e Savage Eye è di nuovo crisi che si presenterà quasi regolarmente negli anni. May e Taylor in questi momenti procedono per le loro strade e realizzano da soli quanto hanno in testa, salvo poi ritornare insieme e separarsi nuovamente. La stima reciproca e l’amicizia permettono loro grande libertà di movimenti e tutto ciò gioca a favore dei Pretty Things, i quali, ogni volta che si riformano, traggono beneficio dalle esperienze esterne dei due leader. L’ultimo lavoro del gruppo, Balboa Island, risale al 2007, ed è un ritorno alle radici. In esso sono infatti presenti alcuni traditional di stampo blues e addirittura un omaggio a Robert Johnson.
 
 
In occasione dell’uscita di Bouquets From A Cloudy Sky abbiamo intervistato telefonicamente Dick Taylor.
 
 
Come mai avete deciso solo ora di pubblicare un box così completo della vostra opera, dopo oltre 50 anni di carriera?
DICK TAYLOR: Dobbiamo ringraziare la Snapper Records per averlo reso possibile. Onestamente da artista penso che sia più facile interessarsi alle cose future che a quelle passate, per cui li ringrazio per l’interesse che hanno dimostrato per la nostra opera. La Snapper ha prodotto parecchi box set di grande successo, ma penso che il nostro sia il più completo in assoluto per tutti gli extra che sono stati aggiunti. Il libro, i disegni di Phil, le rarità, i vinili, i demo lo rendono davvero sorprendente. Questo per noi è un anno eccezionale, la Snapper sta ristampando tutto il vintage in vinile e poi sta per uscire un altro disco per la Repertoire Records che si chiamerà The Sweet Pretty Things are in bed now of course e anche il vinile delle nostre performance dal vivo, registrate in centinaia di club, sta ancora vendendo bene.
 
Mi puoi dire quale è stata la vostra difficoltà nel corso degli anni a mantenere una formazione stabile? Si sono alternati molti musicisti nei Pretty Things, soprattutto tra bassisti e batteristi…
D.T.: Non credo che ci sia stata una ragione precisa per la quale i musicisti hanno lasciato. Certamente non si è trattato di problemi personali, musicali o robe del genere. Ci siamo sempre relazionati in modo amichevole con chiunque abbia fatto parte della band e ci piacerebbe molto se un giorno potessimo fare un grande concerto con tutti quelli che sono sopravvissuti. Dio sa quanto sarebbe straordinario!
Seriamente, penso che soltanto un paio di volte in tutto il tempo sia stato necessario sostituire qualcuno che era un po’ sbiadito. Gli altri musicisti hanno lasciato per circostanze personali, come la malattia delle mogli o cose del genere. Per quel che mi riguarda, mi è capitato di avere avuto voglia di fare cose differenti da sviluppare fuori dalla band e mi sono preso la bellezza di otto anni di vacanza, ma sono felice di dire che quando sono tornato, sono stato accolto come se non fossi mai andato via.
 
Chi è il più esigente tra te e Phil nella scelta delle canzoni e dei musicisti?
D.T.: Penso che sia senz’altro Phil, ma quando vengono delle idee musicali allora anch’io lavoro duro per mettere “carne sulle ossa” e sono molto esigente.
 
A chi venne l’idea della prima opera rock S.F. Sorrow?
D.T.: L’idea originaria della storia venne a Phil, ma tutti avevamo chiaro di volere un album speciale con delle canzoni concatenate che raccontassero le varie tappe di una vita e per realizzarlo è stata necessaria la creatività di tutta la band.
 
C’è stato un momento in cui avete pensato che i Pretty Things fossero grandi quanto i Rolling Stones?
D.T.: Magari il prossimo anno! Scherzi a parte, è stato subito chiaro che i Rolling Stones stavano diventando enormi come i Beatles, ma attenzione: a quei tempi c’era anche un sacco di stampa che ascoltava con interesse la nostra musica e sono seriamente convinto che il loro manager Andrew Loog Oldham fosse molto preoccupato per la concorrenza che potevamo fare loro.
 
Hai qualche rimpianto per avere abbandonato i Rolling Stones proprio mentre stavano spiccando il volo?
D.T.: No, anche se la questione viene sempre fuori. Sono soddisfatto della mia vita, sono contento di fare parte dei Pretty Things e amo davvero di potere essere ancora così a contatto con la gente che ci ascolta. Non credo che mi sarebbe piaciuto vivere in una bolla di mega fama.
 
Con il senno di poi credi che saresti stato capace di fronteggiare l’ego di personaggi come Keith Richards e Mick Jagger? È meglio capitanare i Pretty Things?
D.T.: Sono sempre andato d’accordo con Keith e Mick, non credo che avrei mai avuto problemi con loro, ma sono più che felice di avere il mio ruolo nei Pretty Things.
 
Non ci sono mai stati problemi a condurre la band insieme a Phil May?
D.T.: No davvero, nel corso degli anni non siamo mai stati troppo in disaccordo. Non viviamo “uno nella tasca dell’altro” e questo probabilmente ci aiuta. Naturalmente i nostri gusti musicali possono differire, ciascuno di noi ha le sue preferenze, ma quando dobbiamo lavorare per qualcosa all’interno della band generalmente non ci sono mai problemi. Convergiamo sempre sulle idee.
 
Sono più di 50 anni che suoni e sembra tu non abbia nessuna intenzione di smettere. Cosa rappresenta per te la musica?
D.T.: La musica è sostanzialmente la mia vita. Mi piace suonare in pubblico e credo che continuerò a farlo fino a che mi sarà fisicamente possibile e naturalmente fino a che qualcuno mi offrirà la possibilità di farlo.
 
Nel corso della tua carriera hai suonato beat, rock, blues e pop. C’è una musica che senti particolarmente tua?
D.T.: Mi piace tutta la musica, l’importante è che ne percepisca l’anima, poi ogni genere va bene.
 

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