Marc Ribot

Marc Ribot, il chitarrista che ultimamente si era dedicato ai cubani posticci, con questo cd ha indovinato tutto. Spiritual Unity vuol dire unione nel nome dell’Holy Ghost, Albert Ayler, re del free jazz, a cui il progetto è dedicato. Nell’approccio pragmatico allo strumento è fantastico, Ribot, ma anche nella rivalutazione della componente mistica e spirituale che viveva in Ayler e che ha riscoperto, rivalutato e integrato nel jazz avant-garde. Qui ritrova la formula del quartetto; e che quartetto. Lui e il trombettista, Roy Campbell, fan parte della scena avant di New York, Chad Taylor è il batterista di Chicago che oltre a essere coinvolto nelle molteplici espressioni del Chicago Underground (duo, trio, orchestra) è anche molto attivo nella scena post-rock di Jim O’Rourke e compagni. Manca all’appello il contrabbassista: è Henry Grimes, l’uomo che è morto e rinato, sì, ma è morto per qualcosa come vent’anni. Non se ne sapeva più nulla di lui, poi lo hanno ripescato, homeless naturalmente. E negli anni 60 fu il contrabbassista di alcuni importanti passaggi discografici di Albert Ayler. Qui i musicisti non si comportano come se dovessero riesumare qualcuno, si tratto solo di cogliere l’essenza ultima dell’estasi ayleriana, e lo fanno a perfezione. I quattro giganteggiano su materiale totalmente improvvisato, hanno assorbito, pensato, discusso probabilmente, sicuramente rinforzato le proprie convinzioni.
L’interplay sale fino in cielo; porta i singoli esecutori su un piano di interazione corporea elevata. L’estasi ayleriana, mistica, è lì che li aspetta. Campbell estrae tutte le doti che lo hanno imposto all’attenzione fin dagli esordi: pienezza del suono, agilità dei movimenti, articolazione delle frasi, urli espressionistici. Truth Is Marching In, tra i momenti migliori dell’album, ha una sintassi visionaria e viscerale, ricorda infatti, specie per la chitarra del leader, quell’inno irriverente di Hendrix in quel di Woodstock. Che meraviglia.