28/05/2007

MARILYN MANSON

Milano, Filaforum di Assago, 3 febbraio 2001

Preceduto da un breve, potentissimo ma un po’ monocorde set dei chicagoani Disturbed, band di neo metal che fa un po’ il verso ai Korn ma il cui album d’esordio The Sickness è già disco di platino negli Usa, sale sul palco il Reverendo Manson. Sono circa le 21.30 e di fronte a lui ci sono più di 11.000 persone che riempiono in ogni ordine di posti il Filaforum di Assago. E’ una ‘fauna’ mista: punk dalle creste colorate, metallari con capelli lunghi, qualche skinhead, molte dark ladies e alcuni emuli di Mr. Manson si mescolano ad un pubblico formato prevalentemente da rock fan ‘normali’. La fascia d’età più rappresentata è quella dai 25 ai 35, con buona pace di chi sostiene che Manson possa nuocere ai ragazzini. Lo show Guns, God And Government inizia con in sottofondo la voce distorta e inquietante del Reverendo e la spettacolare sparizione di un enorme lenzuolo che copre il palco. Da subito risulta fortemente suggestivo: sulle note di Count To Six And Die e poi su quelle ancora più toste di Irresponsible Hate Anthem Manson (di nuovo single dopo la recente separazione dalla storica compagna Rose McGowan) appare a dorso nudo con pantaloni di pelle nera la cui strana foggia è una via di mezzo tra una calzamaglia e una guepière. Al suo fianco una band compatta in cui l’incalzante batteria di Ginger Fish, il basso solido di Twiggy Ramirez e la sorprendente chitarra di John 5 costituiscono la base sulla quale di tanto in tanto si innestano i colori della tastiera del clownesco Pogo. Sullo sfondo, un neonato crocefisso contribuisce a rafforzare l’immagine di Anticristo che tante polemiche continua a suscitare. Anche se l’impressione principale che animi un po’ distaccati (quorum ego) e meno soggetti a facili suggestioni emotive possono ricavare da questo spettacolo sia quella di uno show molto ben strutturato dove la musica (davvero implacabile e con diverse concessioni all’ultimo lavoro Holy Wood come Disposable Teens, The Death Song o Cruci-fiction In Space in cui una piattaforma idraulica lo eleva parecchi metri sopra il palco) diventa l’elemento più disturbante. La teatralità del soggetto, al di là di qualche prevedibile invenzione come i divertenti trampoli mentre canta Mechanical Animal, l’abito da papa in Valentine’s Day e quello da SS, con tanto di pulpito hitleriano per The Love Song, si incastra benissimo con luci raffinate, coreografie perfette (calano ad un certo punto una bandiera americana bruciacchiata mentre viene eseguita Burning Flag e le icone di Cristo, Marilyn Monroe e Lenin, John Kennedy, Elvis e Charles Manson) e un’atmosfera gotica per certi versi affascinante. Nell’immancabile Sweet Dreams (Are Made Of This), cover degli indimenticati Eurythmics, Manson non invita nessuna ragazza sul palco (lo farà a Roma un paio di giorni dopo bec-candosi la solita, scontata querela) pur incitando il pubblico a farsi abusare ses-sualmente: la gente non capisce e lo saluta con entusiasmo. Lo spettacolo (meno di un’ora e mezza compreso l’unico bis) si conclude con una pirotecnica e rumoristica 1996 con tanto di distruzione di set di batteria e strumenti vari. Già proprio come facevano The Who trent’anni fa. Nel rock è da tempo che non si inventa più nulla: Mr. Manson lo sa bene. Per questo dobbiamo dargli atto di essere stato in grado di creare un personaggio e una musica che quanto meno fanno discutere. Amen.

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