02/01/2012

MASTODON

Heavy Mental

Georgia, Georgia, non riesco a trovare pace. Solo questa vecchia dolce canzone mantiene la Georgia viva nei miei pensieri». Così cantava Ray Charles con la sua voce sporca e sensuale negli anni 60, riprendendo un brano di trent’anni prima e accarezzando «Georgia» come se fosse una lussuriosa signora discinta dalle carni generose e accoglienti. Lo Stato americano, che aveva suscitato scandalo per le leggi razziste e schiaviste fornendo il casus belli per la Guerra di Secessione, oggi è una madre che ospita nel sue ventre prolifico i gameti delle sonorità più disparate. Non più solo country e black music (si ricordi che James Brown, Otis Redding, Little Richard, ma anche i più contemporanei Outkast e Lil Jon sono tutti georgiani) e neppure più solo quel southern rock di Atlanta Rhythm Section e Black Crowes. Ora la Georgia lascia che le sue morbide spire diventino di acciaio dando vita a ibridi sonori che partono dal metal per portare questo genere a un livello ulteriore e avanguardistico, contaminato dal prog, dalla psichedelica, dallo sludge che fu dei Melvins e dal doom che fu dei Black Sabbath. È una nuova forma di hard rock intelligente e colta, che del metal conserva l’impatto forte fisico e istintivo, ma che poi sa evolvere a livello stilistico in infinite forme diverse.
I capostipiti di questa scena sono i Mastodon, gruppo seminale formatosi ad Atlanta nel 1999 che nel tempo ha ispirato una progenie di band georgiane eccellenti quali gli Zoroaster, i Kylesa e i Baroness, tutti adepti della chiesa dei suoni possenti e impastati di elucubrazioni tossiche dove la potenza, i viaggi lisergici, l’impulso hardcore punk e le citazioni progressive si miscelano in un carburante esplosivo.
Nata come band underground, oggi i Mastodon sono osannati per talento e integrità anche da musicisti di grande qualità come Josh Homme e Melissa Auf Der Maur, che recentemente li ha definiti come il suo gruppo preferito. I fan di questi quattro energumeni tatuati non si contano neppure più tra gli addetti ai lavori e, dopo più di due lustri di carriera, oggi sono assurti allo stato di fuoriclasse e di innovatori, fatto straordinario in un mondo musicale sempre più autoreferenziale e impegnato a reiterare se stesso. Da poco è uscito il loro quinto album The Hunter, dedicato al fratello del chitarrista Brent Hinds morto d’infarto durante una battuta di caccia. Malgrado l’evocazione del trapasso e i testi mai facili, è soltanto il secondo disco del gruppo a non essere un concept album infarcito di temi esoterici, e il primo lavoro ad avere un impatto immediato e meno complesso, anche se sempre stratificato e grandioso. «L’abbiamo partorito di getto», dice il chitarrista Bill Kelliher, uomo solido e padre di famiglia, grande appassionato di heavy metal. Gli fa eco il bassista Troy Sanders: «In passato i brani erano più studiati, sia a livello tematico che sonoro, mentre The Hunter ha un approccio diretto quasi punk-rock, anche se poi musicalmente non si discosta dal nostro timbro. Dopo dodici anni di carriera siamo molto orgogliosi di questo disco, perché rappresenta un passo ulteriore della nostra evoluzione, sia come singoli individui che come band. Siamo felici di essere ancora capaci di sfidarci e superare noi stessi, perché la creatività non è mai scontata e a un certo punto potrebbe anche esaurirsi. In fondo siamo come degli alpinisti, che cercano di scalare sempre nuove vette. Ci rende orgogliosi il fatto di essere ancora motivati a sufficienza per affrontare ogni volta tale fatica».

Non è sempre stato così. La semplicità dell’immediatezza per i Mastodon è il punto di arrivo, non di partenza. Nel loro primo album del 2002 uscito per la Relapse Remission, che li trasformò subito in una band di culto, i suoni deliranti e grevi esorcizzavano il dolore del batterista Brann Dailor, la cui sorella era morta suicida anni prima. C’era anche un omaggio al fuoco (gli elementi cosmici acqua e terra sarebbero stati evocati poi dai due lavori successivi), mentre l’ultima canzone era dedicata a The Elephant Man (rituale ripetutosi altre due volte in futuro). Il mastodontico Leviathan, non solo un disco ma una vera opera sinfonica post metal per il grande impatto descrittivo e immaginifico dei brani, arrivò due anni più tardi ispirato dal romanzo di Herman Melville Moby Dick e prendeva in considerazione le stesse tematiche esistenziali che il marinaio Ishmael (protagonista del libro) era stato costretto ad affrontare nel suo viaggio alla ricerca della balena bianca. Blood Mountain uscì nel 2006 per la Reprise e il passaggio su major venne accolto dai fan della prima ora come un tradimento. Ebbe a dichiarare Kelliher in quel periodo: «Come nel punk, quando una band incomincia ad avere successo commerciale e dunque cerca una migliore distribuzione, viene additata come venduta. Se ascoltate il disco, capirete che non è affatto vero. Nessuno può accusare i Mastodon di mancanza di integrità. Noi facciamo sempre e solo ciò che vogliamo e sentiamo nostro».
Il titolo era simbolico e si riferiva alle difficoltà che si incontrano per raggiungere la vetta di un monte, metafora del duro cammino della vita: ci si affatica, si vuole scendere, ci si riposa, si torna a salire, si perde il sentiero, nell’oscurità si incontrano strane creature, poi si ritrova la forza e la motivazione per rimettersi sulla strada e arrivare in cima. In due tracce comparivano anche Josh Homme dei Queens Of The Stone Age e Cedric Blixer-Zavala dei Mars Volta, come a decretare la stima che i migliori musicisti in circolazione oramai riponevano nel combo di Atlanta.
Eppure questo riconoscimento globale non bastò a tenere i Mastodonti lontani dalle rogne. In fondo non avevano mai dichiarato di essere delle educande, e non avevano mai nascosto la loro passione verace per i dogmi del rock’n’roll, droghe e sesso compresi. Fu così che alla cerimonia degli MTV Video Music Awards del 2007 Brent Hinds, il membro più eccessivo e scapestrato, ma anche l’anima più esoterica, raffinata, inquieta e ribelle dei quattro, litigò con Shavo (il bassista dei System Of A Down) e con Reverend William Burke degli Achozen, procurandosi ferite alla testa molto gravi che lo portarono a stare parecchio tempo senza conoscenza e che quasi lo condussero a miglior vita. Malgrado il suo soggiorno in ospedale e la successiva lunga riabilitazione, nel 2009 il gruppo riuscì a partorire Crack The Skye, i cui pezzi non a caso trattavano di stati psico-fisici vicino al coma e alla morte come i viaggi astrali, le esperienze fuori dal corpo e dalle dimensioni spazio-temporali, le teorie cosmologiche di Stephen Hawking e l’occultismo. Ha detto Brent Hinds: «La musica rappresenta il passaggio tra il mondo materiale e immateriale e sa condurre in altre dimensioni e stati di coscienza straordinari. Anche le droghe possono farlo, ma il potere della vibrazione sonora è molto più potente». Aggiunge Troy Sanders, intervistato per questo articolo: «La musica è diventata la mia religione, a cui dedico la maggior parte della mia vita. Le tematiche che esploriamo con la band mi stanno molto a cuore ma, appartenendo al regno della spiritualità, trovo molto difficile esprimerle a parole. La musica è un veicolo migliore per rivelarle, perché è più connessa con le forze occulte dell’inconscio e del cosmo ed è il modo più adatto per manifestare le emozioni più profonde. Quando suoni può capitarti di avere esperienze davvero strane, tipo sentirti in uno strano stato onirico o fuori dal tuo corpo. La musica ha forti poteri ritualistici ed è sempre stata, sin dalla notte dei tempi, uno strumento per connettersi con altre parti di sé, altri stati di coscienza e altri mondi. La sua vibrazione funziona nella psiche anche al di là della tua volontà e ha un potere magico e misterioso peculiare. Ma per poterne godere non devi avere l’arroganza di sentirti superiore alle muse o migliore degli altri. Io sono solamente uno dei tanti esseri umani che vivono in questo pianeta. Sono solo stato molto fortunato ad avere avuto la possibilità di fare ciò che amo circondato da amici e viaggiando per il mondo, che è sempre una grande forma di conoscenza e di esplorazione. Certo, spesso quando sei in tour sei stritolato dai tempi stretti degli impegni, ma se vuoi trovi sempre un momento per guardarti intorno ed esperire la cultura del luogo. Ad esempio, per me ha fatto la differenza essere stato in Turchia. È un Paese meraviglioso, così diverso dagli Stati Uniti. Mi ha aperto un altro orizzonte».

Gli orizzonti per i Mastodon si traducono nella varietà di stili che riescono a convogliare all’interno della loro matrice metal e che confluiscono tutti quanti ad Atlanta. Nell’humus promiscuo della città il meticciato sonoro della band ha potuto germinare e forse non sarebbe stato lo stesso in un altro luogo. «Atlanta è una metropoli molto variegata e, anche se è conosciuta soprattutto per la scena hip-hop, nell’underground si muovono molti altri fermenti indie, rock’n’roll, elettronici, metal. È una città molto calda d’estate e molto fredda d’inverno, ma artisticamente ha davvero tanto da offrire, ed è l’unico posto in cui mi sento a casa», spiega Troy. «Comunque nella nostra sonorità non c’è nulla di pianificato. Fin dalla nostra formazione si è coniata in modo naturale e credo proprio sia determinata da una sorta di magia, di alchimia che si sviluppa tra noi ogni volta che abbracciamo gli strumenti insieme. Il nostro approccio creativo è totalmente istintivo e questo è ancora più vero per The Hunter, dove anche i testi sono nati di getto. Pur volendo, non avremmo proprio la personalità per riuscire a fare diversamente. Forse in parte il segreto sta nella nostra complementarietà: siamo tutti individui molto diversi tra loro anche riguardo i gusti musicali, quindi istintivamente nella nostra sonorità vengono catalizzate un’infinità di influenze differenti. Io ascolto molta musica country tradizionale degli anni 60 e 70, ma anche jazz e musica classica. Bill arriva più dall’hard rock e dall’heavy metal, mentre gli altri sono cresciuti ascoltando punk-rock. Tra i gruppi che ci hanno influenzato ci sono Sex Pistols e Rush, Dead Kennedys e Judas Preist, Genesis e Motörhead, gli Yes e Björk, ma anche il bluegrass, i Metallica, il grunge. Siamo degli eclettici, abbiamo gusti eterogenei e non amiamo porci preclusioni di sorta. Figurati che il primo disco che ho comprato è stato quello dei Men At Work del 1982 ed è ancora uno dei miei album preferiti».
Considerata a ragione una degli ultimi baluardi del rock vero, suonato con la pancia e con la testa, la band georgiana non fa differenza tra arte e vita. Aggiunge Sanders: «La musica è la nostra vita e non potrebbe essere altrimenti. Tutto ciò che ci riguarda come persone viene indirizzato nei nostri dischi e così, mano a mano che come persone cadiamo, ci rialziamo, sbagliamo, cambiamo, anche la nostra musica muta di conseguenza. In tale modo si mantiene fresca e, spero, non ripetitiva. Siamo dei visionari, all’occorrenza anche pragmatici e consapevoli delle leggi del music business, ma non svenderemmo mai la nostra anima al diavolo, anche se spesso il satanasso ci spinge negli anfratti oscuri dell’esistenza e può rivelarsi molto utile alla creatività. Con ciò non condividiamo le scelte di Kurt Cobain o Amy Winehouse, nel senso che non riteniamo l’autodistruzione necessaria all’arte. A noi piace divertirci e, fuori dallo studio di registrazione e dai tour, conduciamo delle vite piuttosto normali».
Mica vero. Basta incontrarli di persona per sentire nello stomaco che i Mastodonti non sono dei poseur, e che posseggono quel tipo di fascinazione carismatica che hanno gli eletti, semplici nella loro maestosa grandezza. E poi alla fine per loro parlano le canzoni. I giganti possono solo assopirsi (come diceva Sleeping Giant), ma quando si risvegliano la loro forza d’urto scuote l’universo e cambia il corso della storia. È scritto in Oblivion: «Sono volato oltre il sole prima che fosse giunto il momento, bruciando tutto l’oro che mi aveva tenuto dentro al mio guscio, e in attesa che tu mi portassi indietro, ho posseduto il mondo in un sospiro». Detto, fatto.

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