30/08/2011

METALLICA

MILANO, ARENA FIERA RHO, 6 LUGLIO 2011

Catarsi e tensione. Wah wah laceranti e riff brutali. Corse spasmodiche e cadute nel vuoto. E poi fuochi d’artificio, di quelli veri, lanciati a illuminare il tetto grigio di Milano come traccianti nel cielo di Baghdad. S’è consumato sull’asfalto dell’Arena della Fiera di Rho uno degli eventi dell’anno. I Metallica sono saliti sul palco alle 21:30, alla fine di una lunga e caldissima giornata che ha riunito i Big 4, i quattro grandi gruppi thrash: loro, Slayer, Megadeth, Anthrax. Annunciati dalla scena del cimitero di Il buono, il brutto e il cattivo proiettata sugli schermi, James Hetfield, Kirk Hammett, Robert Trujillo e Lars Ulrich hanno attaccato Hit The Lights, la prima canzone del primo album, anno 1983. È il segnale che il repertorio sarà consono allo spirito della giornata: decisamente anni 80, un solo pezzo post 1991. Questa sera va così. Ed è una scaletta da sogno con gli inni (Master Of Puppets) e pezzi meno scontati (Through The Never, Shortest Straw), le esecuzioni tirate che scatenano l’inferno sotto il palco (Seek & Destroy) e qualche raro momento in cui prendere fiato (Welcome Home). Di recente c’è solo All Nightmare Long, che suona benone e non sfigura. I Metallica stanno invecchiando? Sì, e i megaschermi – di cui uno largo quanto il palco – sono impietosi nel trasmettere in alta definizione i lineamenti dei 47enni Hetfield e Ulrich. Sono meno feroci che in passato? Certo, ed è fisiologico per un gruppo che festeggia i trent’anni di carriera, per non dire della voce di Hetfield non-proprio-perfetta. Suonano meglio di chiunque altro? No, non sono i primi della classe. Tutto ciò ha un influsso negativo sul concerto? Neanche per sogno. Dotati di un sound favoloso, sono dinamici, suonano da dio assieme e hanno canzoni che i rivali sognano. Devoti alla musica, a parte qualche smorfia fatta a beneficio di camera e gli «ah ah» da spiritello malvagio del cantante, i Metallica hanno una compattezza impressionante e la capacità di muovere le canzoni con mini break di fulminante precisione. «Questi qua son matti», dice il tizio a fianco a me dopo un finale sconquassante. I tre musicisti vagano per l’enorme palco, inseguiti dalle camere che riflettono le immagini sugli schermi. Hetfield sale spesso sul muretto rialzato dietro la batteria ché da lì lo spettacolo dev’essere grandioso. E quando i tre si ritrovano davanti alla doppia cassa di Ulrich e si scrutano come bestie, è uno spettacolo anche per gli occhi. Poi il mondo si ferma quando un faro scaccia dal buio la silhouette di Hetfield e la banda attacca The Call Of Ktulu, una cosa che si ricorderà a lungo. Non solo perché lo strumentale sarà stato eseguito una decina di volte nella storia, ma perché qui diventa un’epica cosmica di lancinante bellezza. Fuochi ed esplosioni annunciano e accompagnano One, altro momento topico del concerto che finisce coi 35 mila che cantano in coro la canzone dell’omino del sonno: un enorme esorcismo. Nei bis, per Die, Die My Darling, salgono sul palco membri di Slayer, Megadeth e Anthrax per un momento che Hetfield definisce «storico». È stata grande musica, con o senza storia. Musica intensa. Una di quelle serate in cui sembra che ogni nota, ogni stop-and-go, ogni assolo, ogni arpeggio abbia un senso profondo.

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