11/05/2007

Ray LaMontagne

Londra Hammersmith Apollo, 7 febbraio 2007

Non vola una mosca tra i 3500 londinesi accorsi in processione semicartatica per il primo di due sold out dell’americano Ray LaMontagne. Dal vivo il cantautore è quanto di più disarmante ti puoi aspettare. Lo accompagnano quattro musicisti: chitarre e pedal steel, batteria suonata dal produttore Ethan Johns sulla falsariga di Levon Helm e bassista bionda. Ray, dal canto suo, seduto chitarra acustica in pugno da un lato del palco, ha presentato in 90 minuti tutto quel che ha infilato nei suoi due unici album, segnalatisi per purezza e intensità, con rigore e passione. Canzoni acustiche cantata da una voce che passa dal sussurro all’urlo in un accordo. Folk, rhythm & blues, country alla George Jones e confessional songs si sono susseguite una dietro l’altra senza che l’artista del Maine spendesse niente più di un grazie. Dal vivo, le atmosfere dei due dischi sono sostituite da quelle più gestibili del piccolo gruppo che suona raccolto su un palco immenso, su cui è facile perdersi. Ma il carisma è un dono di natura e il cantautore lo esercita tutto. Né si sente la mancanza delle tastiere e del piano, che nel secondo disco sono parti importanti di un piccolo e miracoloso puzzle. Da Trouble fino alla richiestissima Jolene, attraverso il rhythm & blues alla Muscle Shoals di Three More Days e Gone Away From Me che riporta a gente come R.B. Greaves e Clarence Carter, il concerto è una celebrazione della semplice originalità di Ray LaMontagne che sul palco appare ancora insicuro ma desideroso di fare bene. Un senso del dovere si tocca da qualche parte dei 90 minuti, come se lo spettacolo debba in qualche modo essere onorato, secondo lo stile dei vecchi cantanti di revue anche se qui di spettacolare non c’è nulla. E quando alla fine dei quattro bis l’artista si lascia scappare un commento positivo sulla serata, il teatro pare venire giù dall’ultima fila della galleria alla prima della platea. Ray però si ritrae subito e taglia corto guadagnando l’uscita a testa bassa, prima con piccoli passi lenti, poi accelerando.
Qualcuno all’uscita dell’Hammersmith compara la timidezza dell’americano a quella di Nick Drake, ma è passata troppa acqua sotto i ponti per poter pesare e misurare. Tutti, però, questa sera sono concordi nel non volerlo vedere cambiare neanche un po’. Visto il successo ricevuto pensiamo che averne molto di più potrebbe costare caro a Ray LaMontagne. A lui, mi aveva confessato nel pomeriggio, può bastare anche così. Adesso si tratta solo di non far svanire la magia.

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