22/03/2007

Rufus Wainwright

Quando il folk va all’opera

Agnello di Dio, che togli i peccati dal mondo, abbi pietà di noi. No, non è la litania della Misericordia; è quell’insolente faccia d’angelo di Rufus Wainwright, che la prima traccia del suo nuovo disco Want Two l’ha intitolata proprio Agnus Dei. L’Efebo dalla voce lacerante è un ragazzo dalla personalità vulcanica, intrattenitore nato oggi, solo sul palco però, fuori è l’antitesi della rockstar. A Roma, dove lo abbiamo incontrato in occasione di un suo concerto in solo, Rufus era veramente solo, ma proprio solo. Nessun manager intorno, nessun autista, niente albergo sontuoso. “Mi ospitano degli amici, a proposito, che ore sono? Sai, ho paura di far tardi, devo ripassare da casa, farmi una doccia e vestirmi per il concerto.” Così ci ha liquidati a fine chiacchierata dopo il soundcheck. Un ragazzo che è stato sponsorizzato da Van Dyke Parks e che Elton John ha definito il più grande songwriter in circolazione.

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Gli esordi

Rufus ha 32 anni, ma ne dimostra molti meno. È figlio di due musicisti: Loudon Wainwright III, un folksinger post dylaniano, e Kate McGarrigle cantante e autrice canadese (vedi box a pagina 50). I genitori si sono presto separati e Rufus è finito a Montreal con la madre. A 13 anni è in tour con la McGarrigle Sisters And Family: mamma Loudon, zia Anna, Rufus e la sorella Martha (tra l’altro tutte presenti in quello strambo valzer che è Hometown Waltz di Want Two).

“La mia coscienza”, dice, “è stata la prima vera influenza, non potrei nominarti tutta la musica e le band che ascoltavo da bambino. Credo che faccia parte di qualcosa di inconscio, quasi una spinta irrefrenabile, che è poi anche ciò che oggi mi motiva nel continuare a far musica. Potrei dire quasi un’esigenza innata di relazionarmi alla musica.” D’accordo, ma giureresti di non essere mai rimasto folgorato da qualcosa in particolare? “Edith Piaf e Judy Garland mi hanno scosso al primo ascolto, poi non le ho mai tradite. Leonard Cohen combina quel timbro particolare ad una grande capacità di scrivere testi come fossero poesie. Però fin da bambino, già prima di finire alla McGill University di Montreal, ho ammirato l’opera. Andare all’opera era una festa per me, era come stare in chiesa a pregare, ma è una forma di contatto con Dio molto più diretta, senza filtri. Non dimenticherò mai quando un giorno a scuola partecipai alla realizzazione di un Requiem di Verdi, da impazzire.”

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Genitori ingombranti

“No, in realtà li amo e mi sono sempre stati vicini. Nella musica mi hanno aiutato molto, mi hanno stimolato e mi hanno permesso di dedicarmi solo a ciò che mi piaceva. Questo non vuol dire che non ho mai avuto problemi con loro. In Want One cantavo anche di una volta che litigai furiosamente con mio padre. Poi cresci, cambi, inizi a capire il perché di certi atteggiamenti. Fin quando scopri che se un giorno provavi tanto odio nei loro confronti era solo perché li amavi, e l’idea di non amarli più faceva molto male. Credo poi che l’odio non possa esistere se non in riferimento all’amore.”

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Omosessualità e droga

L’esordio ufficiale risale al 1998, con l’album omonimo. Il contratto con una casa discografica importante, la DreamWorks. “In quel momento ho deciso di rendere nota la mia omosessualità, credevo fosse giusto farmi conoscere per come realmente sono. Poi mi sono sentito in obbligo anche di confessare i miei problemi con la droga, ovviamente le cose si sono sovrapposte, qualche giornalista si è permesso di esagerare, di servirsi di me per descrivere le depravazioni che accompagnano la visione che si ha della comunità gay.”

È Poses del 2001 a farlo conoscere in giro. Sembra un songwriter molto strano, ricorda Brian Wilson per alcuni aspetti, gioca con l’approccio alla canzone che avevano i tipi del Tin Pan Alley e Cole Porter in particolare. L’11 settembre lo ha cambiato, ma la sua è stata una sorta di rivoluzione molto personale, molto intima. “In qualche modo la disgrazia di quel giorno mi ha dato una smossa. Non riuscivo a prendere consapevolezza della mia infelicità, quasi non volevo crederci. Da quel giorno ho dato più senso alla vita, il bene maggiore che possediamo. In definitiva quello lo considero un periodo difficile ma di gran maturazione per me.”

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Want One & Two

Want One e Want Two contengono canzoni scritte nello stesso periodo, in quel periodo di cambiamento. “Molte, non tutte. Poi ci sono anche canzoni di questo nuovo disco come Little Sister che avevo già scritto per il mio primo album, e Peach Trees che riprende un mio vecchio tema.” Rufus tenta il confronto: “Da un lato come tipo di arrangiamenti Want Two è un disco dal respiro più contemporaneo rispetto ai precedenti e a Want One in particolare. Quello era molto più esagerato, forse pomposo con l’orchestra, bellissimo per carità, ma poi ho sentito il bisogno di incidere qualcosa di più intimo, come se suonassi in piano solo musica molto più rilassata, sgargiante e divertente, nonostante non abbia abbandonato i richiami più espliciti al mondo classico, ma insieme ci sono tante altre cose”. Il primo è di stampo orchestrale: solo Rufus è capace di mischiare il bolero alle filastrocche e di spiegare che non solo i Radiohead possono permettersi il lusso di dilatare lo spazio e il tempo della forma canzone senza risultare noiosi e retrò. I due dischi si possono in qualche modo paragonare, anche solo dal diverso peso della provocazione contenuta nella copertina. Il primo lo ritraeva come un cavaliere medioevale perché “da bambino aspettavo che questo cavaliere dall’armatura fantastica mi venisse a salvare, poi ho capito che per salvarsi bisogna risalire con le proprie forze”, oggi ha le sembianze di una donna. “Non c’entra niente con il mio essere omosessuale, è solamente un’immagine forte per cercare di esaltare quell’aspetto più intimo e profondo della sensibilità umana che oggi è sempre lasciata in secondo piano rispetto ad altri valori che ci hanno poi indirizzato verso quello che sta accadendo oggi.”

Negli Stati Uniti Want Two è uscito nel novembre 2004, con allegato un dvd che riprende l’artista dal vivo al Fillmore di San Francisco ad inizio 2004. In Italia il cd esce il 4 marzo.

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L’Agnello di Dio e l’Iraq

Rewind. L’Agnus Dei che Rufus ha pubblicato non è proprio la preghiera. Ma allora cos’è precisamente? “È solo una musica che avevo in mente da qualche anno su un’idea originariamente pensata per violino. Sai, la musica dell’opera così come le componenti classiche che sento più vicine rispecchiano il mio sentimento religioso. Appena iniziata la guerra in Iraq mi è venuta in mente Agnus Dei, poi pian piano ha preso la forma che ha oggi, e la mia intenzione non era certo quella di ironizzare sulla mia omosessualità e su come il problema è stato affrontato dalla Chiesa nel corso dei secoli. È semplicemente un modo per dire che credo in un intervento divino che riporti pace sulla terra. Se si continua a pensare con la testa degli uomini si va verso la catastrofe; è ora che qualcuno di più grande e splendente di noi intervenga.”

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Strani incontri

Cosa c’entra Rufus con Dido? “Abbiamo interpretato I Eat Dinner, una canzone scritta da mia madre per la colonna sonora del sequel di Bridget Jones, di cui fanno parte anche Mary J. Blige, Sting e Annie Lennox che cantano insieme We’ll Be Togheter, e Joss Stone, Robbie Williams se non sbaglio. È stato un momento molto commuovente e ricco di emozioni. La canzone ha un testo parecchio onesto e profondo, è come se mia madre mi avesse concesso il permesso di staccarmi definitivamente da lei. Mi ha detto che il tempo di stare al suo fianco stava per scadere, di lì in poi avrei dovuto camminare da solo. Ha molto valore per me, credo che la posso cantare oggi che ho quasi 32 anni, ma non potrò farlo quando ne avrò 50 e passa.”

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Quasi come Nicole Kidman

Ne ha fatte già tante, Rufus. Anche il cinema. Cantando per diverse colonne sonore, da Shrek a Moulin Rouge (“Che delusione, quanto avrei voluto interpretare il ruolo della Kidman”). In I Am Sam poi fa il verso ai Beatles, ungendo Across The Universe con chitarra e voce. “Le ultime cose? The Aviator di Scorsese (tra l’altro c’è anche Gwen Stefani) nel quale interpreto anche un cantante sulla falsariga di Bing Crosby, un crooner; poi Heights di Chris Terrio, anche lì piccola partecipazione. Mi diverte, ci sto pensando seriamente al cinema.”

Merito dei suoi occhi. Occhi magnetici che potrebbero bucare anche lo schermo; e della sua intelligenza. “Anche Cameron Crowe mi ha chiesto una canzone, ma dobbiamo risentirci presto, e poi c’è in ballo qualcos’altro ma ancora non posso parlarne.”

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Le collaborazioni

Rufus ha iniziato la carriera solista aprendo i concerti di Tori Amos. Ultimamente ha fatto lo stesso con Sting. “Non posso scordare la sua generosità. È il prototipo del gentleman. E mi incuriosiva terribilmente il modo di prendersi cura di sé stesso, ci tiene molto.”

Con David Byrne ha inciso un brano di Grown Backwards, l’aria d’opera di Bizet Au fond du temple saint, guarda caso: “Il suo essere così scrupoloso e perfezionista coglieva nel segno. Ho imparato molto da lui, specialmente il modo di comportarsi in studio. Prima di ogni registrazione mi si avvicinava chiedendomi esattamente cosa desiderasse da me per quel brano. La cosa più strana è che questa sua estrema rigidità bilancia l’enorme simpatia”.

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Un angelo

Un angelo, una volta, lo ha incontrato. “La prima volta che ho incontrato Jeff Buckley quando arrivai a New York, l’ho odiato profondamente. Qualche anno dopo ci siamo rivisti per caso e rimasi colpito dalla sua tristezza, dal suo modo di comportarsi così cupo. Nascondeva però un’enorme fragilità, quella debolezza che ho sentito mia per molto tempo.”

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Bush e il referendum anti gay

“Rieleggere Bush è stata una pazzia. Sai qual è il problema? È che la gente identifica Bush come il potere, esorcizzando quella smania di successo e la paura di non raggiungere mai qualcosa di importante nella loro vita. È un po’ come tornare al Medioevo, anzi come tornare agli anni 50, a quella sorta di assolutismo strisciante e imposto. Il referendum che si è votato contemporaneamente che ha depennato i matrimoni tra gay ne è la controprova: ancora dobbiamo pensare in che termini affrontare i diritti delle donne, dei gay e delle minoranze. E poi viviamo nei luoghi comuni che mi fanno venire l’allergia, tipo quello di identificare l’arabo con il terrorista. Trovo assurdo essere costretto ancora a dover dire: sai, sono omosessuale, tiriamo avanti…”

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Un folksinger anomalo

“Sono un folksinger, credo che le mie canzoni abbiano tutte le caratteristiche giuste: hanno sangue caldo che scorre nelle vene, vengono dall’esperienza diretta, raccontano una storia. E la musica è divertente e felice ma è anche frutto di sofferenza, di quella sofferenza attraverso cui bisogna passare per essere nuovamente felici.”

“Pensa che un mio amico è stato in carcere negli Stati Uniti. Mi raccontava che l’unica cosa che gli ha permesso di passare quei giorni bui era la sua chitarra; ogni volta che suonava sentiva i suoi pensieri liberarsi dalla pena terribile della prigione. Non credo di essere un innovatore in quello che faccio, ma solo un esploratore a livello musicale. Cerco di trasmettere un’aria classica con un feeling rock. Sono due realtà che esistono e visto che convivono perfettamente in me: perché non provare a rigurgitarle insieme?”

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