10/04/2018

Stone Temple Pilots

Dopo otto anni torna la rock band californiana con un nuovo cantante
Quante ne hanno passate gli Stone Temple Pilots? Tante. La loro carriera è stato un susseguirsi di eventi, tra cui scioglimenti e reunion, licenziamenti di figure storiche come Scott Weiland, sostituito poi dal compianto Chester Bennington dei Linkin Park, ma soprattutto sette dischi e un’impronta importante lasciata nella scena rock degli anni ’90. Uniche costanti, i fratelli DeLeo al basso e chitarra ed Eric Kretz alla batteria, vere colonne portanti della band californiana. 
 
Li ritroviamo oggi con un nuovo album, anche questo omonimo come il precedente pubblicato nel 2010, e soprattutto con un nuovo cantante: Jeff Gutt, ex concorrente di X Factor USA e con un passato nel crossover. Sono dodici i brani che vanno a comporre questo nuovo “self-titled” e sono diversi gli aspetti che risaltano: iniziamo dalle parti vocali, vera novità degli STP; Gutt si dimostra un vocalist energico, efficace, in linea col sound proposto, ma questo talvolta rischia di diventare un’arma a doppio taglio perché non sono pochi gli episodi dove il nostro cammina su un filo di lana, rischiando di scimmiottare il compianto Weiland. I veri protagonisti di questo disco sono i DeLeo Bros., abili e capaci di spaziare su più orizzonti, dai richiami grunge della opener Middle Of Nowhere, al sound più “southern” di Guilty. Non mancano ammiccamenti verso sonorità blues, forse più evidenti rispetto al passato, come nel caso di Just A Little Eye, o anche verso i 70s, fortemente evocati nel riff di Six Eight, e questo continuo spaziare, accennare, può diventar la forza di questo album, tant’è che viene fatto senza tradire o cadere in facili crisi d’identità.
 
Gli STP riprendono il discorso interrotto otto anni fa, con fatica, con qualche rischio, ma riuscendo sufficientemente nell’intento. Se la prima metà del disco porta con sé una discreta energia, la stessa va lentamente ad affievolirsi verso le ultime tracce, che risultano più deboli e meno d’impatto. Questo secondo omonimo album non passerà certo come uno dei migliori lavori dei Pilots, ma potrebbe rappresentare un nuovo, ennesimo, inizio per una band che ha sempre saputo rialzarsi. Sarà ancora così?
 

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