04/02/2011

UMBRIA JAZZ WINTER

Orvieto, varie sedi, 29 dicembre 2010-2 gennaio 2011

Dall’alto della rupe, sospesi sulla pianura, il tempo pare essersi cristallizzato. È la magia di Umbria Jazz Winter, della splendida Orvieto e di un programma che ha sempre il pregio di mescolare star del jazz con giovani artisti di indubbia prospettiva. Il duo pianistico formato da Stefano Bollani e Chick Corea era senza dubbio il clou del cartellone. Durante i tre concerti al Teatro Mancinelli, registrati integralmente dalla Ecm di Manfred Eicher per farne un live, hanno dato vita ad altrettante esaltanti performance. Due musicisti straordinari, due generazioni a confronto, due mondi lontani con un’idea della musica simile, vissuta con creatività, voglia di giocare e grande apertura a ogni genere di contaminazione. Dalla tradizione classica agli standard, dalla canzone italiana al Brasile di Jobim e Gilberto si sono rincorsi sulle rispettive tastiere con gioia e naturalezza. Più irriverente ed estroverso Bollani, più controllato ma non per questo meno incline al gioco Corea. Forte scansione ritmica, grande attenzione al suono, un jazz di gran classe.
Protagoniste della manifestazione sono state le brass band con tre formazioni di altissimo livello capaci di offrire approcci totalmente differenti all’interno di un perimetro strumentale tutto sommato simile. Paolo Fresu, Gianluca Petrella, Steven Bernstein e Oren Marshall hanno dato vita, sotto lo pseudonimo Brass Bang!, a concerti vibranti. La musica colta europea si è alternata con quella popolare, le influenze afroamericane (Lester Bowie su tutti) con la canzone italiana. Ascolto reciproco, equilibrio di gruppo, divertiti e divertenti. Coinvolgente anche la formazione capitanata dal trombonista Ray Anderson. Con lui la tromba di Lew Soloff, il basso tuba di Matt Perrine e il fantasioso drumming dell’eccentrico Bobby Previte. Il sound di New Orleans riletto in chiave contemporanea, grandi assoli e un suono funky originale e potente. Four Others è il nome della terza brass band e di un bel progetto firmato dal raffinato sassofonista bianco Harry Allen. Ammaliato dal suono della grande orchestra di Woody Herman degli anni 40, e in particolare da quella sezione sax capitanata da Stan Getz e conosciuta come Four Brothers, Allen ha proposto un quartetto di sassofoni (tre tenori e un baritono) accompagnato da un trio tradizionale. Per lo più brani originali e la rivisitazione di alcuni pezzi di Billie Holiday suonati con la classe delle big band dell’epoca d’oro. In grande evidenza nei solo il pianista italiano Rossano Sportiello. Come in quasi ogni edizione di UJW anche quest’anno grande spazio ai tributi. Il pianista Danilo Rea ha omaggiato Fabrizio De André seducendo le platee con un piano solo di rara poesia. Grande sensibilità nella più completa libertà d’interpretazione hanno consentito a Rea di avvicinarsi con successo a un mostro sacro come Faber. Negli encore hanno trovato spazio anche brani di Tenco (Vedrai, vedrai) e Beatles (Here Comes The Sun). Il quintetto di Roberto Gatto ha invece reso tributo a Shelly Manne, uno dei più versatili batteristi della storia del jazz. Lo swing e l’eleganza stilistica di Manne sono stati per il percussionista romano lo stimolo a riscrivere alcune partiture ormai perdute e a formare un quintetto giovane e pulsante per rileggere una musica senza tempo. I Quintorigo hanno omaggiato Charles Mingus con un fortunato e collaudato spettacolo che si è avvalso di una suggestiva messa in scena giocata su grandi abat-jour. Ospite d’eccezione la bravissima Maria Pia De Vito che tra un brano e l’altro ha letto estratti della vita del compositore di Nogales ma soprattutto ha cantato magistralmente alcuni pezzi provenienti dal famoso Mingus di Joni Mitchell. Chiudiamo segnalando due ottime formazioni. Il trio formato dal vibrafonista Joe Locke, da Rosario Giuliani al tenore e da Dado Moroni al pianoforte, eleganti e mai banali, e il trio dell’incredibile pianista cubano Alfredo Rodriguez, nuova star della scuderia di Quincy Jones che con disinvoltura fonde la musica classica con Thelonious Monk e Bill Evans. Sentiremo ancora parlare di lui.

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