30/06/2015

Zac Brown Band

Quarto disco per la band che già da tempo ha conquistato gli Stati Uniti. E’ giunto il momento di conquistare anche il resto del mondo?
Country ma anche pop-rock in questo quarto lavoro in studio. Il gruppo ha successo principalmente negli Stati Uniti, come dimostrano i primi posti raggiunti in classifica con i precedenti dischi You Get What You Give e Uncaged (pubblicati rispettivamente nel 2010 e nel 2012, quest’ultimo inoltre è anche il disco con il quale la band ha vinto il Grammy per il Best country album 2013, mentre prima si era aggiudicata quello come Best new artist 2010). Lo stesso è accaduto con questa nuova fatica discografica, Jekyll + Hyde, che si è guadagnata la vetta più alta della chart la settimana successiva alla data di pubblicazione (28 aprile).
 
Ma a parte numeri e altri riconoscimenti, adesso è il momento di ascoltare il quarto album della Zac Brown Band, uscito a tre anni di distanza dal precedente. Le sensazioni scorrono subito in maniera pop con Beautiful Drug e Loving You Easy. Interessanti appaiono poi i pezzi composti da Jason Isbell (ex chitarrista dei Drive-By Truckers), Homegrown e Dress Blues: il secondo in particolare è una ballad intensa che si apre nella coralità del ritornello e fornisce nuovi elementi alla varietà di generi musicali affrontati dal gruppo. E a tal proposito si fa fatica nei primi ascolti a comprendere all’interno del disco lo swing orchestrale di Mango Tree con ospite la cantautrice Sara Bareilles, il conseguente brusco passaggio al grunge di Heavy Is The Head dove partecipa peraltro Chris Cornell (Soundgarden, Audioslave) e il calypso di Castaway. Allo stesso tempo non è però difficile estrapolare da subito i singoli pezzi e apprezzarne il valore stilistico, considerando che lo stesso Zac Brown aveva già dimostrato una certa versatilità grazie ad esempio alle collaborazioni con i Foo Fighters (dove quella in Congregation, brano dell’ultimo album Sonic Highways, è solo una delle tante).
 
I cinque minuti di Bittersweet riassumono bene il lavoro grazie a un andamento docile da ballad che a un certo punto cresce in maniera inaspettatamente rock, per poi tornare al punto di partenza. Degni di attenzione anche i pensieri sulla vita di Tomorrow Never Comes proposti sia a metà album sia al termine in versione acustica, per un disco dai molteplici sapori, sicuramente in grado di conquistare più generazioni o comunque più appassionati di più generi musicali di origine americana. Ora è tempo di (provare a) conquistare anche il resto del mondo…
 

 

 

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