L’elezione, avvenuta circa un anno fa, di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti ha dato non pochi argomenti di discussione. Non vogliamo entrare in ambito politico perché non è la sede, ma non poca fu la curiosità su quali potevano essere le reazioni dei musicisti a questa elezione.
Il punk nasce come musica di protesta, e, senza voler scomodare storici nomi di questo genere, parliamo degli Anti-Flag. La band di Pittsburgh da sempre ha fatto della protesta il filo conduttore dei propri testi, e come potevano reagire all’elezione di Trump se non con un disco? American Fall, il cui titolo appare già eloquente, racchiude in undici pezzi storie di degrado di vita quotidiana, lancia forti accuse verso il sistema e verso la politica del loro paese e del suo nuovo Presidente, racconta di problemi sociali quali la disoccupazione, e lo fa puntando particolarmente il dito contro i media, colpevoli di distrarre la massa dai veri problemi della loro terra natale.
L’art-work della copertina del disco è già un chiaro biglietto da visita su ciò che American Fall propone; una stanza presidenziale con un cumulo di banconote che vanno a formare un teschio: più chiaro di così?
Gli Anti-Flag non si smentiscono e non stupiscono, restano fedeli e coerenti a ciò che hanno raccontato in quasi 30 anni di carriera. Se le liriche mostrano una costante crescita in fatto di maturità, a pari passo cammina il sound dei quattro, che diventa sempre più curato nei minimi dettagli. Il loro è sempre stato un punk-rock diretto, mai grezzo ed allo stesso tempo mai radio-friendly, e questo album mostra, ancora una volta, la capacità che il gruppo ha di sterzare verso altre sonorità, come nello ska (When The Wall Falls), verso lidi più vicini all’hard-rock (American Attractions), o più affini punk-rock (The Criminals), tutto questo senza mai perder la loro identità.
Non diventerà il disco dell’anno, ma American Fall è una chiara dimostrazione che la musica può, e deve, ancora mandare messaggi e far da megafono. E attualmente, in ambito punk, gli Anti-Flag sono tra quelli che ci riescono meglio.
Il punk nasce come musica di protesta, e, senza voler scomodare storici nomi di questo genere, parliamo degli Anti-Flag. La band di Pittsburgh da sempre ha fatto della protesta il filo conduttore dei propri testi, e come potevano reagire all’elezione di Trump se non con un disco? American Fall, il cui titolo appare già eloquente, racchiude in undici pezzi storie di degrado di vita quotidiana, lancia forti accuse verso il sistema e verso la politica del loro paese e del suo nuovo Presidente, racconta di problemi sociali quali la disoccupazione, e lo fa puntando particolarmente il dito contro i media, colpevoli di distrarre la massa dai veri problemi della loro terra natale.
L’art-work della copertina del disco è già un chiaro biglietto da visita su ciò che American Fall propone; una stanza presidenziale con un cumulo di banconote che vanno a formare un teschio: più chiaro di così?
Gli Anti-Flag non si smentiscono e non stupiscono, restano fedeli e coerenti a ciò che hanno raccontato in quasi 30 anni di carriera. Se le liriche mostrano una costante crescita in fatto di maturità, a pari passo cammina il sound dei quattro, che diventa sempre più curato nei minimi dettagli. Il loro è sempre stato un punk-rock diretto, mai grezzo ed allo stesso tempo mai radio-friendly, e questo album mostra, ancora una volta, la capacità che il gruppo ha di sterzare verso altre sonorità, come nello ska (When The Wall Falls), verso lidi più vicini all’hard-rock (American Attractions), o più affini punk-rock (The Criminals), tutto questo senza mai perder la loro identità.
Non diventerà il disco dell’anno, ma American Fall è una chiara dimostrazione che la musica può, e deve, ancora mandare messaggi e far da megafono. E attualmente, in ambito punk, gli Anti-Flag sono tra quelli che ci riescono meglio.