Un tempo vi riposavano solo gli scheletri di foche e balene; negli anni poi centinaia di relitti si sono lentamente adagiati al loro fianco, imbarcazioni sventrate, sorprese dai numerosi scogli e dalle secche nascoste.
Il batterista Billy Cobham, uno dei padri indiscussi del jazz fusion, porta il suo Tales From The Skeleton Coast sul palco del Blue Note il 20 febbraio, per la seconda di tre date nel locale milanese.
Brani che rievocano un viaggio intrapreso nel 1994 in Namibia, lo stato dove si trova questa zona costiera nota per la sua inospitalità, con il desiderio di restituire le sensazioni provocate dai ricordi, lasciati sedimentare insieme a memorie di altri posti e periodi.
La partenza fulminea del concerto con Pomegranates e Sal Si Puedes prepara adeguatamente il terreno agli scenici assoli di batteria sparsi generosamente qua e là. Il pubblico in sala è poco, ma molto reattivo. Particolarmente apprezzate Cap Breton, Locustus Incoming e la lunga improvvisazione che scaturisce da Behold! e Reunion 9. A dispetto del nome che ha ereditato, la musica che Cobham propone con Tales From The Skeleton Coast è tutt’altro che lugubre. È anzi esuberante e intensa, un’intessitura di voci differenti che dialogano e coesistono, colma di una vitalità che si trasmette senza difficoltà ai presenti.
Non mancano brani più delicati come Insel Inside o la title track Tale From The Skeleton Coast, un breve pezzo riservato alla sola chitarra di Jean-Marie Ecay. Anche The March Of The Pomegranates, penultimo brano, viene accolto calorosamente.
Le correnti che portano i loro racconti alla costa degli scheletri di Cobham arrivano da molto lontano. Giungono da Panama e dai Caraibi, i luoghi dove il batterista è nato e che hanno indelebilmente segnato la sua musica; dagli Stati Uniti, dove ha passato quarant’anni, trovando la maturità artistica, un ambiente ricco di stimoli e incontri preziosi. E perché no, un po’ di brezza soffia anche dall’Europa, il continente che lo ospita da trent’anni e dal quale provengono i membri del suo gruppo, per metà francese e per metà britannico.
Sembra che i numerosi inverni che si porta sulle spalle non abbiano avuto un grosso effetto su Billy Cobham, che resta un musicista fuori dal comune. I suoi settantun anni però ci sono, qualche segno di stanchezza durante il concerto si avverte e il batterista ironizza più volte sulla tarda ora. Quello delle 23.30 d’altronde è già il secondo spettacolo della serata. Il resto del gruppo fa bene il suo dovere, in particolar modo i due tastieristi Camélia Ben Naceur e Steve Hamilton, ma senza mai mettere troppo in discussione chi dei cinque sia il vero padrone del palco.
In questo ritorno al passato non poteva infine mancare qualche estratto dal capolavoro Spectrum, tra cui Red Baron, il graditissimo pezzo conclusivo dello show.
Chi si fosse perso Tales From The Skeleton Coast toccherà aspettare la prossima calata di Billy Cobham dalla sua Svizzera, il 13 maggio al Druso Circus di Bergamo.
Il batterista Billy Cobham, uno dei padri indiscussi del jazz fusion, porta il suo Tales From The Skeleton Coast sul palco del Blue Note il 20 febbraio, per la seconda di tre date nel locale milanese.
Brani che rievocano un viaggio intrapreso nel 1994 in Namibia, lo stato dove si trova questa zona costiera nota per la sua inospitalità, con il desiderio di restituire le sensazioni provocate dai ricordi, lasciati sedimentare insieme a memorie di altri posti e periodi.
La partenza fulminea del concerto con Pomegranates e Sal Si Puedes prepara adeguatamente il terreno agli scenici assoli di batteria sparsi generosamente qua e là. Il pubblico in sala è poco, ma molto reattivo. Particolarmente apprezzate Cap Breton, Locustus Incoming e la lunga improvvisazione che scaturisce da Behold! e Reunion 9. A dispetto del nome che ha ereditato, la musica che Cobham propone con Tales From The Skeleton Coast è tutt’altro che lugubre. È anzi esuberante e intensa, un’intessitura di voci differenti che dialogano e coesistono, colma di una vitalità che si trasmette senza difficoltà ai presenti.
Non mancano brani più delicati come Insel Inside o la title track Tale From The Skeleton Coast, un breve pezzo riservato alla sola chitarra di Jean-Marie Ecay. Anche The March Of The Pomegranates, penultimo brano, viene accolto calorosamente.
Le correnti che portano i loro racconti alla costa degli scheletri di Cobham arrivano da molto lontano. Giungono da Panama e dai Caraibi, i luoghi dove il batterista è nato e che hanno indelebilmente segnato la sua musica; dagli Stati Uniti, dove ha passato quarant’anni, trovando la maturità artistica, un ambiente ricco di stimoli e incontri preziosi. E perché no, un po’ di brezza soffia anche dall’Europa, il continente che lo ospita da trent’anni e dal quale provengono i membri del suo gruppo, per metà francese e per metà britannico.
Sembra che i numerosi inverni che si porta sulle spalle non abbiano avuto un grosso effetto su Billy Cobham, che resta un musicista fuori dal comune. I suoi settantun anni però ci sono, qualche segno di stanchezza durante il concerto si avverte e il batterista ironizza più volte sulla tarda ora. Quello delle 23.30 d’altronde è già il secondo spettacolo della serata. Il resto del gruppo fa bene il suo dovere, in particolar modo i due tastieristi Camélia Ben Naceur e Steve Hamilton, ma senza mai mettere troppo in discussione chi dei cinque sia il vero padrone del palco.
In questo ritorno al passato non poteva infine mancare qualche estratto dal capolavoro Spectrum, tra cui Red Baron, il graditissimo pezzo conclusivo dello show.
Chi si fosse perso Tales From The Skeleton Coast toccherà aspettare la prossima calata di Billy Cobham dalla sua Svizzera, il 13 maggio al Druso Circus di Bergamo.