17/02/2015

Eagles, intervista a Sergio D’Alesio

Il nuovo libro del popolare giornalista incentrato sulla lunga carriera della leggendaria band country-rock
Non è semplice raccontare gli Eagles. Si può isolare la componente discografica approfondendone gli incastri, le relazioni incestuose, le collaborazioni fuori e dentro gli studi. Si può intraprendere una scelta romanzata rivelando l’animo sognatore di Glenn Frey o il talento strumentale di Bernie Leadon. Sergio D’Alesio, prolifico giornalista di grande esperienza e fotografo rock, storico seguace degli Eagles sempre attento alle connessioni tra il rock americano e le culture “altre”, fonde queste due direzioni e confeziona per Aereostella un interessante saggio sulla band.
Eagles. La leggenda del country rock è un ideale compendio per chi conosce gli Eagles fermandosi solo all’intramontabile Hotel California, per chi li ha dimenticati snobbandoli o preferendogli altri colleghi nordamericani, per chi ha confidenza con la band ma desidera un nuovo punto di vista, compresi i testi tradotti in italiano.
 
Sergio, raccontare quarant’anni di musica degli Eagles non è semplice, farlo in 160 pagine ancor meno: da quale punto di osservazione hai pensato di condurre la tua indagine sulle Aquile?
Per spiegare ai lettori di Jam chi sono, occorre fare una piccola presentazione dell’autore… Io lavoro nell’ambiente giornalistico musicale dal 1972 con la passione e l’entusiasmo che ha sempre accompagnato gli anni d’oro del rock e l’evoluzione sonora di ogni stile sonoro del pianeta. La mia è essenzialmente una esperienza formativa sul campo, a fare fotografie sotto il palco in Italia e all’estero come negli studi della RAI. Sempre a stretto contatto con i musicisti, le band, i cantautori e tutto quello che ruota attorno ai tour mondiali e alle uscite discografiche. Collezionare oltre 1000 interviste pubblicate su oltre 108 testate in 42 anni di professionismo: da Rockstar/Popster a Stereoplay e Suono sino a New Age e la più recente esperienza con Play Music della Panini non è cosa da poco per un professionista. All’inizio degli anni Ottanta ho iniziato anche a scrivere libri per la Lato Side da CSNY e Jackson Browne a Bruce Springsteen, Genesis, David Bowie e Police. Ma è soprattutto nel libro L’epopea del Country-rock del 1982 che ho ben focalizzato questo fenomeno di controtendenza, suddiviso in tre sezioni: i capiscuola, i cantautori e i gruppi che mi è valso il “Premio del Giornalismo Musicale”…
La mia indagine sul mondo degli Eagles parte dunque da molto lontano. Come ho cercato di raccontare in diretta nello special di Radio Città Futura disponibile sulla mia pagina Facebook, tutto inizia dalla conversione di Dylan alla chitarra elettrica al Newport Festival e dalla registrazione di Sweetheart of the Rodeo dei Byrds di Roger McGuinn, Chris Hillman e Gram Parsons bissato e in parte emulato da gruppi paralleli come i Flying Burrito Bros, la Dillard & Clark Expedition, i Buffalo Springfield, i Poco, i Manassas di Steven Stills e cento altri. Gli Eagles nascono nel 1973 e ne raccolgono l’eredità. Personalmente nel corso degli ultimi quarant’anni li ho seguiti ovunque a Los Angeles, al Midsummer Festival londinese a Wembley nel 1974 e nelle sale da concerti o nei grandi stadi e arene all’aperto del pianeta. Ovviamente senza mai disdegnare i concerti dei Poco, degli America o la splendida esibizione dei Manassas al Rainbow Theatre di Londra. Il mio libro racconta tutto questo, partendo dall’ispirazione della musica, le interviste dei sette musicisti coinvolti nei vari line-up della band, privilegiando l’apporto compositivo e il carattere umano di Bernie Leadon (il purista e unico veterano della band), la vena romantica di Randy Meisner e lo spirito che animava e anima a tutt’oggi la vena compositiva dei due leader, Don Henley e Glenn Frey. Qui per la prima volta appaiono le traduzioni italiane di 42 canzoni degli Eagles.
 
La storia del rock è inevitabilmente legata ai personaggi, alle singole personalità dei membri dei gruppi. Probabilmente non è esistito un gruppo così assortito – e per questo anche litigioso – come gli Eagles: immagino sia anche questo il loro fascino…
L’aspetto più interessante è che quando il libro finisce… ricomincia praticamente dall’inizio, approfondendo la carriera solista, pre e post Eagles di Glenn Frey, Don Henley, Randy Meisner, Bernie Leadon, Don Felder, Joe Walsh e Timothy B. Schmit rivelando aspetti inediti, misconosciuti in Italia del loro far musica… Nel mondo del rock più che di liti parlerei sempre di scontri caratteriali. Vedi Lennon e McCartney nei Beatles, Crosby e McGuinn nei Byrds e Stills e Young in CSNY. Leadon odiava il divismo, le groupie e le mistificazioni, quindi è fuggito all’apice della popolarità, asserendo semplicemente: “Io vado a fare surf”… e non è mai più tornato! Randy Meisner era stufo di cantare ogni sera Take it to the Limit come gli chiedeva Frey e nel backstage del Coliseum di Knokville, Tennessee, è finita in rissa. Don Felder voleva più soldi ed è stato semplicemente licenziato, chiedendo poi i danni in tribunale. Nel 1980 gli stessi Henley e Frey si odiavano e non scrivevano più una nota insieme. Era la fine degli Eagles, senza appello… anche se 14 anni dopo in uno studio della MTV la rinascita era ormai alle porte.
  
Qual è la posizione degli Eagles all’interno del grande panorama folk/country-rock americano? Spesso si ha la sensazione che si tratti di un gruppo amato e odiato…
Se leggi attentamente fra le righe, capirai che gran parte della scena rock californiana li odiava. Nel 1979, quando ho intervistato Chris Hillman nella tappa parigina del tour europeo di McGuinn-Clark-Hillman, lui ha avuto parole di fuoco per gli Eagles. Non era invidia – come qualcuno ha scritto – ma la semplice constatazione che le radici delle Aquile erano una lucida sintesi della musica di gruppi precedenti già citati sopra. Non a caso, almeno all’inizio, Frey & Henley preferivano cantare dei brani scritti dai cantautori della scuderia Asylum di David Geffen. Parliamo di Jackson Browne, John David Souther, David Blue e Tom Waits, ma anche di Gene Clark e Jack Tempchin. Solo con il trascorrere delle stagioni, Henley e Frey hanno esplorato la loro vena artistica, diventando veramente originali. Poi – cosa ben più pressante – c’era una doppia concorrenza. Se a Los Angeles e nel sud del paese impazzavano i Little Feat di Lowell George e i Lynyrd Skynyrd e gli Allman Brothers… gli States erano invasi dai gruppi inglesi di seconda generazione, post-Beatles e post-Stones, i Deep Purple, i Jethro Tull o i Traffic riempivano centomila posti nei grandi stadi all’aperto e in quel circuito per gli Eagles era molto più importante avere sulla scena un tipo roboante come Joe Walsh con la sua Rocky Mountain Way che il banjo di Bernie Leadon. Di fatto, però… e finalmente rispondo direttamente alla tua domanda: da allievi gli Eagles sono diventati dei capiscuola del settore! Anche se nessuno dimentica che il primo Greatest Hits della band (con le canzoni di Leadon e Meisner) ha venduto in progressione 49 milioni di dischi più di The Dark Side of the Moon, Sgt. Pepper, Tapestry o Rumours. 
 
La stesura del testo avrà comportato sicuramente il lungo riascolto dei dischi. C’è qualche album degli Eagles che hai avuto modo di riscoprire, che magari all’epoca non avevi apprezzato e che col passare del tempo ha guadagnato punti?
Se distendi la mente e ti rilassi, fuoriuscendo dalla scena sonora del 2015, la musica degli Eagles è qualcosa che fa parte del dna umano. Non ha tempo. Non segue le mode. La puoi vivere, sognare o identificare col tuo vissuto in mille modi differenti. Due sono i dati a sostegno delle mie parole. Da The Long Run a Long Road out of Eden sono trascorsi 28 anni. Un lasso di tempo incredibile senza registrare un disco in studio. Eppure, ogni anno dal 1994 in poi guardando le classifiche d’incasso dei concerti, gli Eagles sono sempre avanti o dietro degli U2 e degli Stones che i dischi li hanno sempre fatti. L’ultimo album, tanto bistrattato dalla critica nostrana, ha venduto otto milioni di copie aggiudicandosi il Grammy Award. Il vero problema è che in Italia si vive di riflusso e di mode e tutti dimenticano in fretta…
 
Quali sono invece i titoli degli Eagles immancabili in ogni discografia rock e perché?
Se per titoli intendi album, io citerei senz’altro i primi quattro LP/CD per intero: Eagles, Desperado, On the Border e One of These Nights dai quali sono selezionate le canzoni del primo Greatest Hits amato e riscoperto, di volta in volta, da almeno tre generazioni di ascoltatori in tutto il mondo. Ricordiamoci che noi in Italia siamo ai confini dell’impero. Solo in Giappone come in Corea o in Australia, si vendono cento volte i dischi che si vendono in Italia. In termini di marketing, il nostro paese non conta niente. Dati alla mano, Long Road out of Eden nella sola Los Angeles ha venduto più dischi che l’intera carriera della band in Italia. Questo è il motivo per cui le aquile sono arrivate a suonare nella penisola solo nel 2001 al Lucca Music Summer, proprio come nel 2014 nell’ultima tappa logistica del tour europeo per poi andare in vacanza-relax a Capri per quattro giorni prima d’intraprendere altre 126 date negli States.
 
Racconti un interessante episodio legato a Desperado e al mito del vecchio West che lo ispirò: in anni di clamorose invenzioni rock come venne questo accostamento “old time” degli Eagles?
Quando uscì Desperado David Geffen era contrario che una band poco più che esordiente registrasse un concept-album. All’inizio fu un flop, vendendo solo 25.000 copie in America. Poi Neil Young li ingaggiò per aprire il tour britannico di Tonight’s the Night (edito due anni più tardi) e l’album iniziò a far capolino nelle classifiche del pianeta… Desperado s’ispira alla storia della gang di fuorilegge guidata da Bill Dalton e Bill Doolin che intorno al 1890 scorrazzava per il Kansas derubando banche, diligenze e la paga della Union Pacific Railrod. Per oltre sei mesi, la band insieme a Browne, Souther e Blue si rifugiò in una città fantasma del vecchio west, scrivendo canzoni e girando un filmato che incuriosiva anche i cineasti di Hollywood. Nel mio libro ho scritto una storia anch’essa ambientata nel west e suddivisa in tre parti, dove i sette musicisti s’incontrano per la prima volta tutti insieme, ma non anticipo altro per lasciare la sorpresa al lettore…
 
Hotel California è considerato ancora oggi una grande allegoria della decadenza del mondo del rock. D’altronde il 1976 fu un anno di transizione verso nuove forme come il punk. Quella decadenza è stata la tomba degli Eagles o hanno avuto forza e vitalità per andare avanti?
A proposito di questo apro con un aneddoto. Nel Natale 2014 (quindi si parla di due Natali fa, non degli anni Settanta!), in occasione della riapertura dell’Inglewood Forum di Los Angeles, gli Eagles hanno fatto costruire sul tetto un enorme disco in vinile di 124 metri di diametro che girava a 27 km orari, esattamente come un LP, avvistabile da tutti gli aerei che atterravano nella città degli angeli… Come dice Don Henley, si è molto speculato sul testo di Hotel California che in realtà parla solo di un viaggio allegorico all’interno di te stesso, ambientato nel deserto e in uno strano hotel, dove chiunque arriva è il benvenuto, ma dal quale non potrà mai più ripartire… Al riguardo, non parlerei di “tomba” ma di rinascita consapevole dei propri limiti, paure e debolezze. Conoscere se stessi, non è una sconfitta, ma un punto di partenza. Quanto al punk, ho pochi commenti da fare. A parte i Sex Pistols in Inghilterra, il punk non ha mai venduto milioni di dischi, rivelandosi alla distanza solo una tappa significativa dell’evoluzione sociale giovanile dell’epoca.
 
Eagles: band di grandi pregi, di indiscussa musicalità, di hit dall’immenso successo. Ma i difetti? Quali sono stati secondo te i lati più oscuri di Frey e soci?
L’unico aspetto che non condivido al cento per cento è l’estrema, maniacale cura della difesa del copyright. Solo negli ultimi mesi, Don Henley ha fatto causa alla Duluth Trading co., rea d’aver distribuito sul mercato una t-shirt con il suo faccione e la scritta Take it Easy, e la William Shelley Archives, proprietaria illegalmente di diecimila ore di filmati live e ampex televisivi non autorizzati. E in questi giorni, Frey & Henley, attraverso la Global Music Rights che rappresenta 40 artisti come Smokey Robinson e Pharrell Williams, ha chiesto un risarcimento di un “miliardo” di dollari a YouTube per la mancata rimozione di 20.000 video in streaming distribuiti in sette paesi, Italia inclusa, attraverso il servizio a pagamento Music Key. Probabilmente, dopo la causa intentata da Don Felder, la Holding che amministra gli Eagles ha indurito la sua linea di condotta. Ogni artista di medio successo solo negli USA guadagna non meno di 500.000 dollari l’anno, ma in casa Eagles ogni mese entrano incassi da milioni di dollari e non è facile gestire cifre così colossali di denaro. Praticamente Henley e Frey sono diventati una sorta di banchieri-amministratori di loro stessi.
 
A breve partiranno dei nuovi concerti in Australia e Nuova Zelanda: operazione nostalgia o gli Eagles hanno ancora qualcosa da dire?
Esatto, sono 27 concerti, già sold-out da prima di Natale. Probabilmente il Farewell Tour o tour d’addio iniziato nel 2001 non finirà mai. Io lo spero e ci credo, anche se Timothy B. Schmit mi ha detto che probabilmente Long Road out of Eden è l’ultimo album della band. “Non credo che ci sarà un seguito – queste le sue parole – Per noi è stato molto difficile registrare 20 nuove canzoni, scambiandoci i file di mp3 da un capo all’altro degli Stati Uniti”. Mai dire mai. Lo ha detto anche McGuinn riguardo alla riunione dei Byrds rispondendo alla richiesta di Crosby e Hillman per il 50° anniversario della band. L’operazione nostalgia è una affermazione fuori luogo per gli Eagles. Hanno ancora qualcosa da dire? Probabilmente ancora tantissimo. A giorni dovrebbe uscire anche Cass Country, il nuovo album solista di Don Henley, più volte rimandato e già descritto in questo libro che spero rimarrà nel cuore di molta, molta gente negli anni a venire…
 
 

 

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