E’ un garage rock visionario e onirico quello dei vicentini Sultan Bathery, giunti all’esordio discografico dopo una gavetta in giro per Europa e Stati Uniti – che li ha visti partecipare anche al Primavera Sound Festival dello scorso anno – e a seguito di una serie di EP e singoli.
Album omonimo che esce per l’etichetta underground Slovenly Recordings – la stessa di Acid Baby Jesus, The Spits, The Anomalys – imprescindibile per gli amanti del genere. Tutto ha inizio quando, pochi anni fa, i tre rocker italiani (Boy, Fred e Madnut) approdano in India, in un viaggio che cambierà per sempre le loro esistenze e li convincerà a mettere in piedi una garage band. Sultan Bathery è infatti una piccola città del distretto di Wayanad, nella regione del Kerala: “il peggior posto nel quale siamo mai stati” raccontano ironicamente i nostri.
Il power trio veneto dà alla luce un eccitante garage lo fi dalle tinte psichedeliche e grezzo al punto giusto, marchiando un sound debitore di 13th Floor Elevators e Oblivians ma anche dello space rock di Hawkwind (On The Run) e fatto di cavalcate devastanti (Satellite), rock blues acidissimo degno di Nuggets (Mirror) ed echi barrettiani (Spings of Youth), il tutto “soffocato” in un oceano di riverberi ed echi esotici.
Nel dna dei Sultan Bathery non manca l’ironia anarchica dei Black Lips nonché l’irruenza dei compagni di etichetta Acid Baby Jesus, anche se la band vicentina vive di luce propria e con questo lavoro dimostra ampiamente di valere quanto gli illustri colleghi d’oltreoceano.
Quest’album è un ottimo punto di partenza per una carriera che potrebbe ambire ad essere una delle realtà più interessanti in un genere come quello del garage rock: ambito in cui forse non s’inventa nulla di nuovo ma che, almeno nel loro caso, non sfocia mai nel mero citazionismo. It’s Only Rock’n Roll (But I Like It)…
