Se si considera che tra collaborazioni, tour, ep e ospitate varie, Antony Hegarty sembra non prendersi mai un attimo di pausa, tre album in nove anni sono un bottino davvero magro. Quasi una tortura per i fan che vorrebbero avere più materiale a disposizione da divorare. Ma per Antony un nuovo album con i Johnsons è veramente qualcosa di epocale, che corrisponde alla chiusura dell’ennesimo capitolo di una vita in continua trasformazione tra nuove convinzioni filosofiche e conquiste nella propria coscienza di essere umano. Ora però l’attesa è finita e, a quattro anni di distanza, vede la luce il successore dell’apprezzatissimo I Am A Bird Now.
Parlando di Antony era inevitabile che la luce fosse quantomeno “piangente”. Anche in virtù del travaglio (emotivo e lavorativo) che ne è alla base, The Crying Light non è affatto un album facile. Entra sotto pelle poco alla volta e necessita più ascolti per essere apprezzato in tutte le sue sfumature. Sfumature che vanno dal grigio al nero profondo per poi ritrovare uno sprazzo di chiarore. Malinconia e dolore dominano come sempre nelle composizioni di Antony, nonostante lui ogni tanto si diverta a stupire prestando la voce a esperimenti dance un po’ tamarri, come Blind di Hercules And Love Affair che ha spopolato nelle radio la scorsa estate. Ma questa volta l’asticella è stata alzata di una tacca. In fondo è tutto nel bianco e nero dell’immagine di copertina che ritrae il danzatore giapponese di Butoh, Kazuo Ohno, investito da un raggio di luce: la maschera tragica e vissuta, il trucco bianco pesante e l’espressione che sembra invocare allo stesso tempo la culla così come la tomba. Antony ha dedicato l’album a Ohno affermando che «in ogni gesto incarna il bambino e il divino femminile. La sua arte è in qualche modo parente della mia». E così nell’album tutto è pacato e pervaso da un senso di perdita che si va componendo nota dopo nota, con l’interpretazione di Hegarty se possibile più sofferta e intensa che in passato. Pochissimi i momenti in cui il tono si alleggerisce: il valzerino di Epilepsy Is Dancing, la gioiosità di Kiss My Name e il sollievo di Everglade. Non a caso per arrangiare questi brani Antony si è avvalso della collaborazione di Nico Muhly, compositore noto per le intersezioni operate tra musica classica e d’avanguardia. A lui si devono le dissonanze disturbanti, gli stranianti rumori di sottofondo, le intersezioni che aprono squarci improvvisi nelle architetture melodiche e che in passato non facevano parte del bagaglio di Antony.
Al cambio di registro corrisponde un cambio tematico nelle liriche. Il travaglio di Antony per una vita vissuta in un corpo sbagliato e il processo di trasformazione raccontato negli anni scorsi vengono trasferiti su un piano più ampio e universale dove la caducità e la triade disagio-morte-rinascita vanno a investire la natura stessa. Natura che non è altro dall’essere umano, ma tutt’uno in anima e persino corpo. Non siamo all’ecologismo spiccio ma a una vera e propria visione animista del mondo. Una visione espressa già nella dolcissima apertura Her Eyes Are Underneath The Ground, e che ha il suo culmine in Another World (già presente nell’ep omonimo), con il disperato smarrimento di fronte a un mondo che sparisce. Salvo poi correre in discesa fino alla chiusura di speranza di Everglade. In mezzo c’è la struggente Daylight And The Sun, la vagamente beatlesiana Aeon, in cui la voce di Antony si moltiplica in una sovrapposizione di cori, l’onirica Dust And Water. Il tutto cesellato con un mirabile equilibrio formale in cui la tensione si sviluppa lungo una curva che vede proprio in Another World il culmine delle visione pessimistica tra la presa di coscienza iniziale di una comunione con la natura e la liberazione e la speranza finale.
Brani che contengono un valore in sé si trovano poi illuminati dalla voce incredibile di Antony. Timbro unico, ma soprattutto una rara capacità di infondere emozioni in ogni nota. Quella forza interpretativa che fa sì che, comunque si sia giudicato il film, dopo aver visto Come Dio comanda di Gabriele Salvatores non si può che uscire dalla sala con i brividi lungo la schiena: quelli assicurati dalla versione di Antony di Knocking On Heaven’s Door che accompagna i titoli di coda.
Her Eyes Are Underneath
The Ground
Epilepsy Is Dancing
One Dove
Kiss My Name
The Crying Light
Another World
Daylight And The Sun
Aeon
Dust And Water
Everglade