Atmosfere soffuse, impianto audio al mimino e tutto lasciato alla dinamica vera, quella creata dalle mani sugli strumenti. È così che si presentano i Lambchop sul palco dell’Anfiteatro delle Cascine a Firenze, nel cuore del parco più bello della città e in uno spazio per concerti meraviglioso che, per varie difficoltà, purtroppo non sempre viene sfruttato a pieno.
La formazione modulare guidata da Kurt Wagner questa volta conta sei strumentisti: basso, batteria, tastiere e chitarra, fiati, pianoforte e Wagner a chitarra e voce. Li hanno definiti alternative country per via della città di provenienza, Nashville, Tennessee. In realtà non c’è molto country nello spirito e nello stile dei loro brani, se non una reminiscenza lontana. Piuttosto, il loro concerto è il trionfo di un cantautorato meditativo e composto, strettamente selettivo nel numero di note, negli interventi, nelle parti. Difficile che un assolo di qualcuno nella band si apra all’improvviso trasportando i brani verso chissà quale territorio inedito. A vincere sono sempre la scelta, la cura, il controllo.
Wagner apre la serata con il brano iniziale del loro ultimo lavoro, Mr. M, da cui regalano molti episodi come Gone Tomorrow, Nice Without Mercy, Betty’s Ouverture. La voce inconfondibile di Wagner è quasi sussurrata ed estremamente espressiva mentre si alterna con le trame leggere degli strumenti a fiato. È un concerto dal grande impatto emotivo, in cui i brani conservano la purezza ascoltata nei dischi. Un’esibizione della lunghezza perfetta così che, quando la tensione è ancora alta, i Lambchop lasciano il palco annunciando di «andare a cercare uno spray per le zanzare». Ritornano invece per regalare un bis fatto di tre pezzi, Fa-q, Never My Love e Interrupted, e raccogliere i meritati applausi del pubblico.
