03/07/2013

Momenti di gloria

Confidenze a una fanzine

“Late For The Sky”, una lettera, una storia quasi vera. Sembrano passati mille anni da quando abbiamo ascoltato questa confidenza. Ma la musica non si ferma: mille anni e mille altre storie come questa verranno raccontate.

“Non sono un giornalista musicale, credo che non lo sarò mai, anche se col tempo ho sviluppato una grande passione per la musica e ora, leggendo molte recensioni, capisco che sono diventato anche competente. Perciò non voglio rubarvi un lavoro che fate molto bene, solo bussare un attimo alla vostra porta, dopo quasi sette anni passati da fedele lettore e sperare che almeno voi leggiate questo mio “articolo”. Se vorrete pubblicarlo, avete il mio consenso.
Lo scrivo pensando alla rubrica “Momenti di gloria”, perchè proprio di questo si tratta. Vi racconto un po’ della mia vita, un periodo “bello forte”, attraverso i dischi che lo hanno accompagnato, alimentato, sostenuto. E che ne hanno placato le sofferenze.

Già perchè, naturalmente, si parla di una donna oltre che di dischi. Prima una premessa: oggi ho 28 anni e posso guardare a questo periodo, passato ormai da qualche tempo, con un po’ di distacco. Devo però ringraziarvi se, almeno all’inizio, ho sviluppato questa passione: mio padre è un vostro abbonato della prima ora e io, pur detestando la musica che ascolta, gli ho sempre invidiato questa passione, gli scaffali pieni di vinili e la voglia di ascoltarli. Così ho cominciato a sbirciare “Late For The Sky” e, da lingua straniera che era all’inizio, ho imparato lentamente a decifrare qualcosa che poteva essere di mio interesse. Non so perchè, ma ricordo benissimo che il primo mio “vero” disco acquistato (non considerando i vari Vasco, Queen e Zucchero, a ripensarci mi vengono i brividi) è stato l’album di cover di Cat Power. Le parole del vostro PJ nella recensione mi avevano colpito allo stomaco e perciò l’ho cercato, trovandolo con un po’ di fatica. Ma è stato una specie di battesimo anche per scegliermi il negozio di fiducia, che non lascerò mai. Un album spettacolare che mi ha proiettato in questo universo in un attimo. Da curioso che ero, ho poi cominciato a navigare sui siti di alcuni artisti: oltre a Cat Power, Smog, 16 Horsepower, Spain. Mi interessavo di tutto quello che che leggevo sulla vostra gloriosa rubrica “Out Of The Darkness”, di cui mi sento orfano. Diciamo che sono stato risucchiato in un mondo nuovo con un gran bel calcio nel sedere da parte vostra.

L’altro calcio in culo me lo ha dato “lei”. Proprio su uno di questi siti, scorrendo tra le mail spedite dai fans nella guest list, sono incappato in quelle magiche parole che “lei” (scusate, ma non faccio il nome, anche se temo sia ancora una vostra fedele abbonata) aveva scritto: “Il mio stomaco ribolle, il mio cuore sanguina, la mia anima è inquieta. Solo la tua voce placa il mio tormento, solo la tua chitarra accarezza i miei affanni”. Scritta in inglese da un indirizzo e-mail italiano. Sono andato a cercarmi il disco, il secondo album dei Black Heart Procession, intitolato proprio con il numero 2. Non vi dico l’impatto emotivo anche su di me, talmente devastante da non riuscire a toglierlo dal lettore e ascoltarlo fino a notte fonda (nel frattempo ascoltavo un album degli Spain e uno dei Dirty Three). Mi sentivo risucchiato in un mondo “altro”, un universo inedito in cui mi riconoscevo e in cui riconoscevo “mie” quelle parole trovate nel guest book dei BHP. Le ho scritto. Mi ha risposto. Le ho scritto ancora, controllando la casella e-mail ogni minuto per quasi tutta la notte. Mi ha risposto sempre.

Da quel momento è seguita una fitta corrispondenza fatta di musica e vita in cui ho imparato il significato di molte cose. Nel frattempo. in pratica, facevo un corso intensivo e veloce di indie rock. Da una parte c’eravate voi (e Rockerilla, che avevo cominciato a comperare). Dall’altra c’era lei, i suoi dischi, la sua vita, il modo viscerale e passionale di arrivarmi, incarnando perfettamente ciò che ascoltavo (suoi suggerimenti) nei dischi dei Tindersticks, Nick Cave, Low, Mark Lanegan, Songs:Ohia, Arab Strap, Palace… 

Spesso lo scrivete anche voi nelle recensioni ed è una cosa vera, nel bene e nel male: l’immaginario di questa musica è davvero potente, tant’è che per un buon periodo di tempo non sapevo più se stavo vivendo la mia vita o quella delle canzoni che ascoltavo. Provavo piacere nel soffrire e la mia “vicenda” privata me ne forniva occasioni in abbondanza. La vita reale non m’interessava. Quando le mail fittissime calavano d’intensità o quando passava più di un giorno senza un “segnale”, mi rifugiavo in alcune canzoni che non potrò mai dimenticare: Homecoming Queen di Sparklehorse; Another Day Full Of Dread di Bonnie “Prince” Billy; This Purple Child di Howe Gelb; Lovely Head di Goldfrapp… ma potrei citarvi album interi: Heither/Or di Elliott Smith; Swinger 500 di Chris & Carla; Weevils dei Willard Grant Conspiracy; Under The Western Freeway dei Grandaddy; XIV degli Home e I Feel Alright di Mike Johnson, ma sono i primi che mi vengono in mente adesso. Un dolore fatto su misura, come un abito. 

Alla fine l’ho incontrata, a un concerto. A Bologna. Lavorava in una radio e sognava di fare la giornalista. A dire il vero ci stava pure riuscendo, anche se il suo marcato accento meridionale faceva a pugni con i microfoni di un’emittente del centro nord. Aveva ottenuto un accredito per entrambi. Le nostre mail si erano fatte caldissime e ormai era inevitabile vederci. Trecento chilometri di distanza che, dopo quel nostro incontro, sono diventati milioni e miliardi di anni luce. Una distanza siderale che non riuscivo a sopportare e che cresceva di minuto in minuto. E che sarebbe cresciuta di giorno in giorno.

Non era bella, non mi avrebbe colpito in un’altra occasione. Ma ormai era “lei” ed era entrata nella mia vita. L’aveva marchiata a fuoco col suo nome. Me lo avreste chiesto allora, vi avrei detto che l’amavo, che era lei la mia donna. Lei e nessun’altra. Mi aveva insegnato tutto: a vivere, ad ascoltare la musica, a interpretare i segnali dell’anima. Dopo il concerto invece non riuscivamo nemmeno a parlare, a guardarci negli occhi, come se avessimo consumato una specie di peccato mortale. Lo scarto tra le e-mail infuocate e il freddo della stazione alla una di notte era davvero troppo grande. Nel viaggio di ritorno ho pianto, ho scritto poesie struggenti, ho chiesto perchè, perchè, perchè…e naturalmente ho ascoltato alcuni dischi: Dry di PJ Harvey; If You’re Feeling Sinister dei Belle and Sebastian; American Water di Silver Jews. Sapevo che, perdendo lei, avrei perso quella vita, quel me stesso ritrovato. E lei mi stava sfuggendo, come poi è accaduto, nel peggiore dei modi: fuggendo.

Ci ho messo un po’ a venirne fuori, ad accettare di lasciarmi tutto alle spalle; soprattutto a ricominciare ad andare a letto presto. Ma ancora una volta la musica mi ha aiutato, trasformandosi da belva divoratrice a compagna di stati d’animo mutevoli. Ho imparato, sempre grazie a voi, a trovare una canzone per ogni sensazione scoprendo un sacco di cose morbide, serene, non autodistruttive. Mi avete contagiato nella passione per la Morr Music, per il rock spaziale dei dischi della Ochre, i Boards Of Canada. Lontano dall’identificazione in un “certain kind of mood” (scusate la citazione) ho scoperto un universo musicale raffinato che mi fa sentire davvero un privilegiato quando lo ascolto. Sono corso a comprarmi il nuovo album dei Bark Psychosys (che consiglio caldamente a tutti quanti), sono entrato nell’universo incredibile dei Lanterna, degli Slowblow e dei Brooks; sono già in attesa del nuovo disco dei Tarwater e ho scoperto una piccola chicca della Warp di cui quasi nessuno ha ancora parlato: Gravenhurst.

Mio padre continua ad ascoltarsi i Canned Heat e i Jefferson Airplane, rigorosamente in vinile. Viene a trovarvi alla fiera del disco e torna a casa con i suoi album che già ha consumato con gli occhi prima ancora di ascoltare. Ogni tanto si incuriosisce anche ai miei Cd e mi chiede se li ho letti su Late For The Sky. Se gli dico di sì, magari se li ascolta. Una cosa mi ha fatto ridere: gli ho consigliato il disco di cover di Cat Power dicendogli che era un po’ come ascoltare Joni Mitchell.
L’ha ascoltato e gli è piaciuto.
Speriamo non cominci a navigare in rete… alla sua età emozioni così forti potrebbero essere letali.
 

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