29/06/2009

RODRIGUEZ

Morte e resurrezione di un folksinger

Nato a Detroit nel pieno della Seconda guerra mondiale, Sixto Diaz Rodriguez prende quel nome perché è il sesto figlio di una famiglia immigrata negli anni 20 dal Messico. «Non è facile per me parlare della mia vita privata: mia madre è morta quando avevo 3 anni, mio padre è stato però un ottimo modello, anche se, dovendo lavorare e non potendo occuparsi di me, durante la settimana mi lasciava in un orfanotrofio cattolico. Alla domenica mi veniva a prendere e mi portava fuori a vedere il mondo reale».
I primi passi verso la musica Rodriguez li muove a 16 anni imparando a suonare la chitarra di casa e scrivendo canzoni nel tempo libero che il lavoro in una fabbrica motoristica gli concede. A 20 anni frequenta il circuito dei bar, e nel 1967, con il nome di Rod Riguez, pubblica per la piccola etichetta locale Impact il primo singolo, I’ll Slip Away, che non avrà alcun riscontro. «Un amico organista mi presentò a Harry Balk, un produttore che aveva questa etichetta; mi fece firmare un contratto di sette anni, ma poi non si è più occupato di me». Così il giovane Sixto Diaz continua a lavorare in fabbrica e riprende a esibirsi nei bar, dove una sera del 1969 viene notato da Dennis Coffey, chitarrista dei Funk Brothers (la backing band di casa Motown), mentre suona dando le spalle al pubblico. «Coffey è forse il miglior chitarrista che abbia mai conosciuto. Io suonavo in giro per i bar, a quel tempo, e una sera ero in un locale che si chiamava The Sewer, vicino al Detroit River, che è stato demolito molto tempo fa. Lui capitò lì per caso, ci incontrammo e decidemmo di fare qualcosa insieme. Era veramente un grande chitarrista: bastava che accennassi un paio di accordi che subito lui trovava la linea melodica giusta». Con la produzione di Coffey (che suona anche la chitarra in ogni canzone del disco), e del produttore e arrangiatore Mike Theodore, nel 1970 l’artista pubblica a nome Rodriguez per la Sussex il suo primo long playing, Cold Fact, con l’iniziale e bellissima Sugar Man che diviene la canzone che gli si appiccica addosso come tratto distintivo. Il disco non è solo bello musicalmente, con quel fresco e naïf talkin’ blues dylaniano che si arricchisce di atmosfere West Coast, di suoni psichedelici e di sapori soul, non mostra solo una bella voce “chicana” alla Ritchie Valens, ma anche testi che catturano quel particolare momento a cavallo di due decadi, e che dunque parlano della guerra del Vietnam, di pacifismo e amore, della povertà, delle droghe. «Nel rock ci sono due grandi argomenti: le relazioni tra uomo e donna e i problemi sociali. Io mi considero un musicista politico e ho sempre pensato che per me fosse più adatto parlare di quei temi piuttosto che dei sentimenti. Era il periodo della contestazione, degli studenti che si ribellavano, degli omicidi politici: a me interessava fare musica realistica, parlare di quello che mi circondava». Nonostante la bontà del progetto, Cold Fact non brilla per vendite, e ancor meno il disco successivo del 1971, il già citato Coming From Reality, prodotto da Steve Rowland sempre per la Sussex, e registrato in poco più di tre settimane nei Lansdowne Studios di Londra. «Rowland era un po’ Hollywood che incontrava la musica inglese. Lui era andato in giro con James Dean, con Natalie Wood, aveva conosciuto Presley, ma nello stesso tempo stava scoprendo le nuove band che nascevano a Londra. Chiese al mio manager di produrre il mio secondo disco e mi portò nella capitale britannica, dove decise di farmi lavorare, invece che con una semplice sezione ritmica come per il mio primo disco, con un’intera orchestra d’archi e cose del genere. Guidava una Aston Martin col nome sulla targa, era un mix di cose tipicamente americane e inglesi, un eccentrico».

Il cantautore abbandona così l’etichetta (che chiuderà comunque nel 1975) e torna a lavorare in fabbrica, ignorando totalmente che dall’altra parte del mondo, in Australia e Nuova Zelanda (ma anche, come vedremo poi, nel Sudafrica dell’apartheid), l’etichetta australiana Blue Goose e aveva comprato i diritti per quei paesi, vendeva suoi dischi a palate. Quando ne viene a conoscenza, Rodriguez compie due tour in Australia, nel 1979, e nel 1981 con i Midnight Oil. «Ci sono andato perché un deejay locale, Holger Brockman, aveva passato alla radio Cold Fact per intero, e il disco aveva suscitato grande interesse. In realtà, e l’ho saputo solo molto dopo, tutto era cominciato in Sudafrica». Infatti, per non pagare le royalties, in quel paese i dischi dell’artista erano venduti col nome Jesus Rodriguez, o Sixth Prince, adattamento inglese del suo vero nome. In Australia Rodriguez registra nel 1979 anche un album dal vivo solo per quel mercato, Alive, così titolato poiché si era sparsa anche la voce che l’artista fosse deceduto. Dopo questi tour, Rodriguez torna alla vita normale, lavora come insegnante, nell’81 prende una laurea in filosofia alla Wayne State University di Detroit, cambia tipologia di impegno civile, presentandosi candidato per le elezioni del consiglio comunale, per quelle di sindaco e per quelle di rappresentante per lo stato del Michigan. «Ho preso una laurea in dieci anni quando normalmente ce ne vogliono quattro, ma il mio passato è pieno di lavori duri per mantenermi, in fabbrica, nelle costruzioni, nelle demolizioni, quindi studiavo quando potevo. Nel 1974 ho deciso di iniziare una carriera politica, che poi ho abbandonato, presentandomi alle elezioni per il consiglio comunale, e cercando di raccogliere voti nella mia comunità. Le cose non sono poi molto cambiate, ma a quei tempi le condizioni dei lavoratori a Detroit erano terrificanti, la polizia era molto dura nel reprimere le proteste, e questi erano gli argomenti su cui volevo presentarmi e impegnarmi».
Arriviamo così al 1998, quando Eva, la figlia maggiore del cantautore, scopre casualmente su Internet l’esistenza in Sudafrica del fan site di Stephen Segerman (www.sugarman.org) che poi diventerà il sito ufficiale dell’artista. La scoperta apre scenari completamente nuovi per Rodriguez, che in quell’anno compie il suo primo acclamato tour in quel paese, denominato Dead Men Don’t Tour, ripreso in un documentario che la televisione sudafricana SABC manderà in onda nel 2001. «In Sudafrica dei fan avevano addirittura fatto applicare sui cartoni del latte una mia foto con la scritta “Missing”: avevo avuto successo lì e non ne avevo saputo mai niente. Anche se il  mio vero successo personale è che le mie figlie (oltre ad Eva, ne ha altre due, Sandra e Regan, nda) mi abbiano seguito in tour e si sentano così coinvolte da questa mia nuova vita».
Nel 2001 e nel 2005 Rodriguez compie altre due tournée in Sudafrica, nel 2007 partecipa in Australia ai festival East Coast Blues e Roots Festival, suonando anche a Sidney e Melbourne. Nel 2006 la sua Sugar Man viene inclusa nella colonna sonora del film Candy, con lo scomparso Heath Ledger come protagonista. Liberamente ispirato alla vita dell’artista, viene poi girato un film diretto da Craig Bartholemew, Looking For Jesus. «Ero bloccato a inizio carriera dal contratto con la Impact, così chiesi a uno dei miei fratelli, Jesus per l’appunto, di poter usare il suo nome per incidere materiale al di fuori di quell’etichetta (e, come abbiamo visto, questo “scambio” tra fratelli verrà usato da etichette sudafricane per non pagare alcun tipo di diritto d’autore, nda), sicché in Sudafrica molti mi conoscevano con quel nome, ma stavano cercando la persona sbagliata. Il film ricalca questa storia».
La nostra intervista dovrebbe finire qui, ma a microfono spento Rodriguez ci riserva una sorpresa. Ci mostra entrambe le mani, e ci accorgiamo che all’anulare della mano sinistra manca un’intera falange. Lui ci dice sorridendo: «Un incidente in fabbrica quando avevo 21 anni. Ho dovuto imparare di nuovo a suonare la chitarra, ed è per questo che suonavo di spalle, per non farmi vedere». Gli chiediamo se possiamo scriverlo, e lui candidamente ci risponde: «C’è libertà di stampa».

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