05/12/2012

RINGO

FESTEGGIA 50 ANNI DI MUSICA È come rituffarsi indietro di mezzo secolo: certe cose non cambiano mai. Richard Parkin Starkey in arte Ringo Starr, 50 anni dopo gli esordi con i Beatles sembra imbalsamato. Siamo qui per farci spiegare qualcosa del suo diciassettesimo album.

È come rituffarsi indietro di mezzo secolo: certe cose non cambiano mai. Richard Parkin Starkey in arte Ringo Starr, 50 anni dopo gli esordi con i Beatles sembra imbalsamato. Stesso sorriso, stesso sguardo da furbetto, stessa postura da cartone animato. Ha voglia di scherzare l’ex Beatle e ci accoglie sorridendo negli studi della Apple su Ovington Square a pochi metri dallo shopping compulsivo del centro di Londra. Nella stanza le foto originali dei Fab Four: giovani, belli e all’apice del successo. Foto che Ringo guarda con orgoglio e un pizzico di distacco come a dire che lui ha ancora tanto da raccontare a cominciare dalla sua ultima fatica: Ringo 2012. Siamo qui per farci spiegare qualcosa del suo diciassettesimo album solista in uscita a fine gennaio. Non sarà certamente il disco dell’anno ma stupisce per le sonorità vintage e per il carattere fresco e scanzonato che Ringo ha saputo dargli.
Ha voglia di chiacchierare, ma come sua abitudine si nega al rito dell’autografo. Ha un modo di fare diretto che arriva subito, dalle prime battute.
Che lato di Ringo esprime il nuovo lavoro?
«Parla veramente di me stesso, è un riassunto del mio passato, della musica che ho sempre amato».
Com’è nato?
«Ringo 2012 ha iniziato il suo corso a Los Angeles un po’ per caso dopo che mi è stato chiesto di registrare una traccia in memoria di Buddy Holly. È stata l’artista che con la sua voce mi ha più ispirato musicalmente parlando. Ho suonato Think It Over e poi mi sono detto: perché non fare un altro disco? Ed è cosi che tutto è iniziato. Ho buttato giù idee e suonato la batteria in un primo momento, poi ho chiamato un po’ di amici autori che mi hanno aiutato coi testi. Ho proposto il progetto ad altri musicisti e con il loro contributo ho completato il cd. Exciting».
Tutto così semplice?
«Sì, è successo tutto in modo libero e leggero, senza pressioni. Ho lavorato da casa, quando volevo tra una tazza di tè e una passeggiata… Non voglio più andare in grossi studi di registrazione con vetri che mi separano dalle persone. Non mi sento più a mio agio, mi paralizza. Voglio poter chiamare un amico e chiedergli: “Quando passi a suonare?”».
Ringo, cos’è pop?
«Io sono pop, i Beatles lo erano. Nessuno è stato più popolare di noi».
Com’è stato essere uno dei Beatles?
«È strano. Si sogna sempre di diventare famosi quando si è agli inizi. Poi quando lo si diventa si sognano privacy e tempo libero. È il prezzo da pagare. Di certo non mi lamento, sono una persona molto fortunata».
Con la All Starr Band vi divertite un mondo e lo si può notare ai vostri concerti. Riesci a considerarlo ancora un lavoro?
«Certamente! Un lavoro durissimo. Mi diverto molto, è vero. A 72 anni mi sento ancora un ragazzino. La vera fatica sta nelle prove, non nei concerti, otto ore al giorno per diverse settimane. Ma va bene così, sono felice».
Com’è stato tornare in Italia?
«Fantastico. Grande entusiasmo e risposta del pubblico. Ero molto sorpreso da questa energia, sicuramente diversa dall’ultima volta in cui ero venuto qualche anno fa dove mi sembrava non mi amassero abbastanza [ride]. Milano e Roma mi hanno ringiovanito grazie all’affetto dimostratomi».
Il 2012 è il cinquantesimo anniversario dei Beatles.
«Sì, mezzo secolo! E pensare che io suono da ancora più tempo. Ho incominciato con Rory Storm ed eravamo la band più famosa di Liverpool fino all’arrivo dei Beatles che mi chiesero di suonare con loro. Ero sorpreso, amavo già i loro primi pezzi ed ero sempre in prima fila ai loro concerti. Sono cominciati così gli anni più belli della mia carriera fino a diventare la band più famosa al mondo».
Cosa amavi di quella Liverpool?
«Era casa nostra. Si poteva respirare la sua atmosfera e la sua anima a ogni angolo. La scena musicale di quegli anni era favolosa. C’erano tanti gruppi, tanta voglia di fare. Ricordo una sera a un concerto di aver suonato con tre band una dopo l’altra perché i batteristi non si erano presentati. È stato tutto facile, conoscevo i brani, suonavamo tutti le stesse canzoni, si impara molto stando nelle cover band».
Cos’è cambiato poi?
«Sono arrivati i Beatles e con le nostre canzoni abbiamo cambiato la storia della musica».
Ti mancano?
«No. Sono stati come fratelli per me, ma la vita va avanti e ognuno ha fatto quello che voleva fare. Mi sono messo in gioco e provato a fare tante cose dopo i Beatles. Ho fatto l’attore per diversi anni, e così ho anche conosciuto mia moglie sul set di Caveman nel 1980. Poco dopo ho smesso di recitare perché ho capito che l’unica cosa che desideravo era la musica. Ho sempre potuto scegliere, sono un privilegiato».
Uno sguardo e una speranza sul futuro?
«Peace and love, always».

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