10/03/2010

ANAÏS MITCHELL

Hadestown (Righteous Babe)

È l’Ade, il mondo degli Inferi. L’oscurità, la morte. Oppure, come raccontato da Anaïs Mitchell, una città circondata da mura, dove gli abitanti, plagiati dal loro sovrano, sono convinti di vivere in mezzo alla sicurezza materiale e al benessere, nonostante non siano liberi e non possano mai vedere la luce del sole. «Il nemico è la povertà, il muro tiene fuori il nemico, per questo costruiamo il muro, per restare liberi», cantano i sudditi nel brano Why We Build The Wall. Questo è il set dove la giovane cantautrice del Vermont ambienta la sua versione del mito di Orfeo ed Euridice, una storia post moderna in una società in rovina, dove sono rimaste solo incertezze e povertà. Euridice non muore morsa da un serpente, ma viene sedotta da Ade (Hey Little Songbird) che le promette una vita di agio rispetto a ciò che le può offrire il buon Orfeo, musicista ottimista e speranzoso, sicuro che la natura saprà aiutare la sopravvivenza della giovane coppia (Wedding Song). Ma d’altra parte, come ci ricorda il fato, «una ragazza deve lottare per ciò che le spetta». È facile avere dei principi, con la pancia piena. Ma voi, cosa fareste al suo posto, quando i soldi finiscono e arrivano i morsi della fame (When The Chips Are Down)? Euridice quindi decide di seguire Ade nella città murata (Way Down To Hadestown), completamente suggestionata dal fascino del misterioso re, inconsapevole che l’amato la sta seguendo per riportarla con sé (Wait For Me). Le regole dell’Ade però sono ferree: nessuno torna indietro dagli Inferi (Nothing Changes). Orfeo non si fa intimidire (If It’s True), e con il suo canto appassionato seduce Persefone, la moglie di Ade, che convince il marito a dare una possibilità ai giovani amanti (How Long). Il patto, si sa, è che Orfeo non si volti mai a guardare la sua innamorata durante l’ascesa al mondo dei vivi. Ade conosce bene le debolezze dell’animo umano, infatti la curiosità del menestrello è troppo forte e si rivela fatale: poco prima di raggiungere la superficie si volta, perdendo per sempre la sua Euridice (Doubt Comes In).
L’attesa folk opera della minuta Anaïs vedrà la luce in aprile, dopo anni di lavorazione: nata nel 2006 come spettacolo teatrale itinerante con un gruppo di musicisti suoi compaesani, è stata finalmente incisa su disco (già nel precedente lavoro della Mitchell, The Brightness, ne avevamo avuto un assaggio, con la traccia Hades And Persephone). Orchestrata dal compositore Michael Chorney e diretta dal regista Ben Matchstick, l’opera giunge a noi con ospiti d’eccezione, un cast di tutto rispetto che farà leccare i baffi soprattutto agli appassionati di indie folk. Justin Vernon (meglio conosciuto come Bon Iver) con la sua voce ariosa, malinconica, profonda e il suo falsetto struggente è perfetto nella parte di Orfeo: in Wait For Me saprebbe sciogliere anche il cuore più ruvido. In contrasto, il cantautore Greg Brown presta il suo profondo timbro baritonale al re degli Inferi, che sa far tremare anche i ventri dei più impavidi. Il messaggero Ermes, colui che mostra la strada, impervia, spaventosa, terrificante, verso l’Ade, è una sorta di Tom Waits beffardo interpretato da Ben Knox Miller dei Low Anthem. Ani DiFranco è un’irresistibile e sovversiva Persefone, mentre le tre sorelle Haden (figlie del contrabbassista Charlie Haden) sono la voce beffarda e ineludibile del Fato. La dolce Anaïs, manco a dirlo, è Euridice. Musicalmente le 20 tracce in cui è articolata la storia scorrono evocative. La rielaborazione e la produzione finale sono opera di un altro fedele collaboratore di Ani DiFranco, il contrabbassista Todd Sickafoose, che è riuscito a mantenere impressa nei brani la loro impronta teatrale: spesso infatti le immagini del mito ci scorrono davanti agli occhi, sembra che le scene prendano vita davanti a noi durante l’ascolto, come in una recita privata ed esclusiva. Non si pensi però a un musical o a un’opera nel senso convenzionale del termine: nonostante il disco sia stato concepito come un’unità, e per questo maggiormente apprezzabile, i singoli brani sono altrettanto godibili anche a sé stanti (quasi impossibile non cantare assieme ai cori di Way To Hadestown o The Wall). Gli arrangiamenti, manco a dirlo, sono ricchi e cambiano in base al momento della narrazione: si passa da ballate acustiche a brani corali da vaudeville, a effetti sonori che fanno venire i brividi, a episodi squisitamente strumentali (Papers, o il brano tradizionale afgano Lover’s Desire). Ma lo spirito del lavoro è talmente ricco di suggestioni, stimoli, interpretazioni, che un tentativo di spiegazione risulterebbe semplicistico ed estremamente limitato. Hadestown racchiude in sé una riflessione sulla società materialistica, una struggente storia d’amore, la ricerca della speranza in un periodo oscuro. Euridice non è solo una vittima, ma un personaggio a cui non resta che biasimare se stessa per la scelta compiuta. Orfeo rappresenta l’ottimismo dei musicisti e (in prospettiva) di tutti i sognatori, che in un momento dove non si intravede via d’uscita, non si rassegnano e non rinunciano alla bellezza dei piccoli gesti, possano essere una canzone, una poesia, una parola. Convinti, se non di poter cambiare le cose, almeno, di poter ridare uno spiraglio di speranza, perché «l’ora più scura della notte più buia arriva poco prima dell’alba».

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