Circa due anni fa, in Giamaica, un folle alchimista inglese di nome Dave Stewart ha avuto un’illuminazione.
«Vivo a Lime Hall, che si affaccia sulla baia di Sant’Anna. È come essere nella giungla. A volte, da casa, riesco a sentire la musica proveniente da tre diversi sound system. È una cosa che adoro». Nella testa di Stewart inizia a prendere forma l’idea di un progetto che riunisca «il maggior numero possibile di generi musicali». A quel punto arriva la seconda illuminazione: perché non chiamare un amico altrettanto folle e innamorato della Giamaica?
«Dave voleva realizzare un disco con un gruppo eterogeneo di musicisti, ognuno con il proprio background musicale», spiega Mick Jagger. «Gli ho detto che era una buona idea, ma non pensavo che sarebbe diventata realtà». Jagger, però, sottovaluta la contagiosa e vulcanica creatività dell’amico, e in men che non si dica si ritrova in uno studio di Los Angeles con Stewart e la sua nuova pupilla Joss Stone. «È stata una scelta ovvia», racconta l’ex Eurythmics, «è una cantante incredibile». Il meccanismo si è ormai azionato, e la terza illuminazione non tarda ad arrivare: «Ascoltavamo un sacco di cose e improvvisamente abbiamo pensato a Damian Marley», di cui Jagger ammira le doti di autore di testi, toaster e, ovviamente, la spiccata predisposizione alla sperimentazione. Un acquisto, quello di Marley, fondamentale anche dal punto di vista ritmico, perché l’artista giamaicano porta con sé il bassista e compositore Shiah Coore e il batterista Courtney Diedrick. Alla formazione si aggiungono infine la violinista Ann Marie Calhoun, collaboratrice di vecchia data di Stewart, e il quinto peso massimo, il compositore indiano A.R. Rahman, premio Oscar per la colonna sonora di The Millionaire. «Avere Rahman nel gruppo è elettrizzante», continua Stewart, «contribuisce con il suo straordinario talento, la sua profonda conoscenza musicale, la melodia e il potente canto di un’antica cultura». In soli 6 giorni, da questo vulcanico melting pot culturale sono nate ben 22 canzoni: «Il primo giorno ero stordito», racconta Rahman, «ma poi abbiamo lentamente cominciato a scrivere insieme ed è stato fantastico. Mi ha riportato agli anni del liceo, quando suonavo in una rock band». «Facevamo jam», dice Stone, «creavamo sul momento, seguendo l’ispirazione». «Abbiamo percorso l’intera gamma dei nostri stili e li abbiamo mixati», fa eco Jagger, «poi io e Joss abbiamo iniziato a cantare e Damian ha fatto il suo toasting». Ed è proprio dal toasting di Marley che è nato il nome del progetto: «Ispirato da Muhammad Ali, aveva realizzato un riff con il termine “SuperHeavy”», racconta Stewart, «e dopo averlo ascoltato Mick ha suggerito di adottarlo come nome della band».
Non è stato facile radunare 5 pesi massimi nello stesso luogo contemporaneamente, ma questo alla fine ha favorito ancor di più il processo di meticciato musicale: Stewart assicura che SuperHeavy «è il disco più complesso mai realizzato: una parte è stata registrata a L.A., una parte nel Sud della Francia, un’altra lungo le coste di Cipro, altre parti in Turchia, qualcosa a Miami, qualcos’altro ai Caraibi e infine a Chennai, in India». A detta di Joss Stone, «si tratta di un nuovo tipo di musica, un nuovo stile che sfugge alle classificazioni». Allo stesso tempo, però, «è molto accessibile», assicura Jagger. «Se sei un fan dei Rolling Stones, troverai di sicuro materiale di tuo gradimento. Le sonorità che magari conosci meno potrebbero essere una piacevole scoperta».
01/09/2011
SUPERHEAVY
Mick Jagger incontra Dave Stewart